Tra individualismo crescente e necessità di cooperazione, compartecipazione e condivisione.
Il progresso e la catastrofe sono il diritto e il rovescio della stessa medaglia
(Anna Arendt, 1968)
“Il XX secolo è stato definito il secolo del progresso scientifico, il XXI sarà ricordato come quello del progredire delle catastrofi”. Sembra privo di speranza il futuro immaginato da Paul Virilio, un filosofo e urbanista francese che ha ideato la mostra “Ce qui arrive” alla Fondazione Cartier per l’arte moderna. A vedere la coda delle persone che attendono il proprio turno per visitarla – e si parla di oltre 20000 visitatori già passati – si direbbe che il desiderio dei molti che si spingono per andare a vedere le immagini catastrofiche e allo stesso tempo macabre (da Bhopal alla navetta Challenger, non trascurando le Twin Towers) è quanto mai indicativo di una certa evoluzione del gusto; che in un certo senso è quello poi dell’automobilista che rallenta per osservare meglio lo spettacolo dell’incidente.
Paul Virilio è uno dei più arguti uomini di pensiero del nostro tempo, una persona che riflette con disincanto sui diversi atteggiamenti intellettuali del mondo contemporaneo e ci mette in guardia – spesso servendosi di testimonianze veramente scioccanti – contro le idee troppo semplicistiche, troppo alla moda, eccessivamente lineari e prive di contraddizioni, che vengono offerte dai “media del tutto e subito” (medias de l’immediat). Quei messaggi che spesso hanno solo stillato il nettare del successo nascondendoci l’amaro calice di eventuali momenti di criticità; evitandoci la prospettiva della precarietà della certezza e la prevedibilità dell’accidente (Ce qui arrive). Un memento mori e un “dovere di memoria” anche presente nel catalogo della mostra, che diventa ineluttabile di fronte a quelle creazioni del progresso che in vario modo hanno scotomizzato il loro inevitabile pendant, gli eventi critici nelle loro varie forme: dall’incidente fino alle catastrofi, il rovescio della medaglia.
Immagini di incidenti aerei, treni deragliati, navi in procinto di essere inghiottite dai flutti; immagini di attentati (che potremmo chiamare incidenti volontari) , pellicole impressionate da irradiazioni, interviste filmate, ma anche opere di artisti che mettono in scena l’instabilità attraverso l’uso di oggetti, suoni, fotografie: segnali di una catastrofe imminente o soltanto possibile.
Se dovessimo definirla dovremmo parlare di una mostra che “mette in guardia”, che non stimola il compiacimento e ci spinge a cercare altrove il senso delle crisi che stiamo vivendo.
Tolstoi o Manzoni ci avrebbero offerto altre immagini. Altri tempi. Nella sostanza però il discorso non cambia. Le trasformazioni dei “mondi” passati, le mutazioni e le contemporanee crisi attuali – talvolta molto profonde – non hanno carattere esclusivamente sociale o economico, esse sono prima di tutto umane e individuali, riguardano le persone e il loro mondo interiore.
Certamente, la paura del domani (del doman non v’è certezza) accompagna l’essere umano sin dall’antichità e l’incertezza non è un fenomeno nuovo; tuttavia essa si inserisce in un contesto diverso rispetto al passato. In qualche modo la globalizzazione ha finito per fare piazza pulita degli ultimi punti di riferimento “sicuri” ed è diventato sempre più evidente quello che già nel Rapporto Censis 1998, ad esempio, era stato definito il disagio dei “piccoli popoli” di produttori e consumatori che hanno come solo destino quello di navigare nel mare dei processi macro di mondializzazione.
Lo smarrimento si registra dappertutto. Mancano o fanno difetto i sistemi importanti, la famiglia, lo stato e la bandiera; un contesto affettivo di vicinato, con i suoi codici fondati sul rispetto per l’autorità e soprattutto sul rispetto della persona. Sembra che tutto sia andato o stia andando in frantumi. Si perde il contatto con i riferimenti morali, sociali, economici, politici… E a differenza del mondo descritto da Tolstoi o da Manzoni, questo nostro ha perduto il suo senso religioso della carità e della comunità. Da una parte ciascuno di noi sente di poter fare a meno del “maestro” e agire in prima persona investendo tutta la sua responsabilità; dall’altra ognuno può accorgersi che quando la individualità (individualismo) trionfa e prende le distanze dal “sociale”, il contesto non gli offre più la cintura di sicurezza di un tempo.
Le cause sono sicuramente importanti, molteplici e di vario ordine, ma a guardar bene la situazione non possiamo trascurare che è avvenuto un forte cambiamento nelle persone e che ciascuno è cambiato di fronte a una forte sproporzione tra le attese individuali e le prospettive del futuro. Si percepisce una lacerante mancanza di prospettiva personale e diventa sempre più larga la sproporzione tra le esigenze di maggiore coinvolgimento nel lavoro e le attese individuali in termini di qualità della vita. Nel caso del lavoro ormai è evidente che non basta più proporre “ponti d’oro” alle persone se esse non hanno più il tempo di vivere; se esse non hanno più un minimo di disponibilità interiore e di serenità (fondamentale per ognuno di noi).
Lo stesso concetto del lavoro definisce una realtà che è molto diversa rispetto a quella degli anni passati, attualmente il lavoro sta assumendo sempre di più gli aspetti della precarietà professionale; siamo nell’era dei lavoratori “mutanti”. A tutto ciò si aggiunge la sensazione che “la festa è finita”, che non torneranno più i begli anni di un tempo e che il sacrosanto progetto di vita personale molto spesso (si potrebbe dire sempre) non rappresenta più un progetto e un’aspettativa individualizzata. Molte persone oggi si occupano soprattutto di sopravvivere allo stress e ciò dimostra con evidenza che – almeno per certuni – il limite è stato ormai raggiunto.
I riferimenti certi si sfilacciano lasciando vuoto lo spazio dei valori e delle speranze; in questa condizione di incertezza mancano le prospettive, i progetti, i sogni di futuro. L’incertezza diventa una realtà tangibile con la quale saremo chiamati a porci in relazione costantemente; ma è proprio a partire dalla gestione efficace delle instabilità che diventeremo capaci di stillare la “qualità” della nostra vita. Negoziando con costanza tra la nostra vita privata e quella professionale, per un equilibrio continuamente instabile.
In realtà la questione riguarderà essenzialmente il nostro mondo relazionale nel quale ciascuno di noi dovrà far fronte al carattere imprevedibile e inatteso del suo interlocutore: marito/moglie, figlia/figlio, del collaboratore o del capo, del cliente o del fornitore, ecc.; comportandosi possibilmente in un modo pro-positivo piuttosto che reattivo.
L’incertezza è più che mai compagna della nostra vita ed è presente nelle nostre prospettive personali e nelle nostre relazioni individuali; inoltre, è legata a un nostro limite percettivo che molto spesso trascuriamo.
Del resto, non siamo stati preparati per affrontare la realtà. A scuola ci hanno trasmesso la cultura della “certezza” e una visione abbastanza rigida del mondo. La nostra educazione, e più tardi il mondo professionale ci ha incoraggiato a fissare la realtà non certa in schemi di probabilità che a lungo andare ci sta abituando a sostituire il “prevedibile” o il “programmato” con la realtà che emerge e che non può essere repertoriata a priori.
Lo smarrimento è una realtà alla quale non si può far fronte con delle tecniche rigide e alla fin fine inadatte alle situazioni che cambiano continuamente. Conviene dunque riprendere in considerazione la persona, anima e corpo (senza dimenticare l’elemento spirituale individuale) e ciò che essa possiede in termini di qualità di adattamento e di comprensione di fronte all’incertezza del cambiamento e dell’emergenza. Comprendere opportunamente che le situazioni sono in costante mutamento e che ogni strategia previsionale dovrà, per forza, confrontarsi con una realtà imprevedibile. E sappiamo bene ormai che la capacità di adattamento delle persone di fronte a una realtà nuova dipende dallo stato d’animo e dalla capacità di esse di integrare i vari aspetti della realtà.
Considerare in modo nuovo, da punti di vista ulteriori, la vita professionale e privata, guidandole consapevolmente tra i flutti dell’incertezza e dell’imprevedibilità.
Un mondo diverso è possibile
Soprattutto per chi sceglierà di affrontare le crisi con umiltà, umanità e umorismo.
Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta, con lo stesso titolo su MKT, gennaio 2003. Ho l’impressione che l’argomento possa stimolare ancora molte riflessioni