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Sostenibilità di un marketing dell’intangibile

Tra individualismo crescente e necessità di cooperazione, compartecipazione e condivisione.

Il progresso e la catastrofe sono il diritto e il rovescio della stessa medaglia
(Anna Arendt, 1968)

 

Il XX secolo è stato definito il secolo del progresso scientifico, il XXI sarà ricordato come quello del progredire delle catastrofi”. Sembra privo di speranza il futuro immaginato da Paul Virilio, un filosofo e urbanista francese che ha ideato la mostra “Ce qui arrive” alla Fondazione Cartier per l’arte moderna. A vedere la coda delle persone che attendono il proprio turno per visitarla – e si parla di oltre 20000 visitatori già passati – si direbbe che il desiderio dei molti che si spingono per andare a vedere le immagini catastrofiche e allo stesso tempo macabre (da Bhopal alla navetta Challenger, non trascurando le Twin Towers) è quanto mai indicativo di una certa evoluzione del gusto; che in un certo senso è quello poi dell’automobilista che rallenta per osservare meglio lo spettacolo dell’incidente.

Paul Virilio è uno dei più arguti uomini di pensiero del nostro tempo, una persona che riflette con disincanto sui diversi atteggiamenti intellettuali del mondo contemporaneo e ci mette in guardia – spesso servendosi di testimonianze veramente scioccanti – contro le idee troppo semplicistiche, troppo alla moda, eccessivamente lineari e prive di contraddizioni, che vengono offerte dai “media del tutto e subito” (medias de l’immediat). Quei messaggi che spesso hanno solo stillato il nettare del successo nascondendoci l’amaro calice di eventuali momenti di criticità; evitandoci la prospettiva della precarietà della certezza e la prevedibilità dell’accidente (Ce qui arrive). Un memento mori e un “dovere di memoria” anche presente nel catalogo della mostra, che diventa ineluttabile di fronte a quelle creazioni del progresso che in vario modo hanno scotomizzato il loro inevitabile pendant, gli eventi critici nelle loro varie forme: dall’incidente fino alle catastrofi, il rovescio della medaglia.
Immagini di incidenti aerei, treni deragliati, navi in procinto di essere inghiottite dai flutti; immagini di attentati (che potremmo chiamare incidenti volontari) , pellicole impressionate da irradiazioni, interviste filmate, ma anche opere di artisti che mettono in scena l’instabilità attraverso l’uso di oggetti, suoni, fotografie: segnali di una catastrofe imminente o soltanto possibile.

Se dovessimo definirla dovremmo parlare di una mostra che “mette in guardia”, che non stimola il compiacimento e ci spinge a cercare altrove il senso delle crisi che stiamo vivendo.
Tolstoi o Manzoni ci avrebbero offerto altre immagini. Altri tempi. Nella sostanza però il discorso non cambia. Le trasformazioni dei “mondi” passati, le mutazioni e le contemporanee crisi attuali – talvolta molto profonde – non hanno carattere esclusivamente sociale o economico, esse sono prima di tutto umane e individuali, riguardano le persone e il loro mondo interiore.

Certamente, la paura del domani (del doman non v’è certezza) accompagna l’essere umano sin dall’antichità e l’incertezza non è un fenomeno nuovo; tuttavia essa si inserisce in un contesto diverso rispetto al passato. In qualche modo la globalizzazione ha finito per fare piazza pulita degli ultimi punti di riferimento “sicuri” ed è diventato sempre più evidente quello che già nel Rapporto Censis 1998, ad esempio, era stato definito il disagio dei “piccoli popoli” di produttori e consumatori che hanno come solo destino quello di navigare nel mare dei processi macro di mondializzazione.

Lo smarrimento si registra dappertutto. Mancano o fanno difetto i sistemi importanti, la famiglia, lo stato e la bandiera; un contesto affettivo di vicinato, con i suoi codici fondati sul rispetto per l’autorità e soprattutto sul rispetto della persona. Sembra che tutto sia andato o stia andando in frantumi. Si perde il contatto con i riferimenti morali, sociali, economici, politici… E a differenza del mondo descritto da Tolstoi o da Manzoni, questo nostro ha perduto il suo senso religioso della carità e della comunità. Da una parte ciascuno di noi sente di poter fare a meno del “maestro” e agire in prima persona investendo tutta la sua responsabilità; dall’altra ognuno può accorgersi che quando la individualità (individualismo) trionfa e prende le distanze dal “sociale”, il contesto non gli offre più la cintura di sicurezza di un tempo.

Le cause sono sicuramente importanti, molteplici e di vario ordine, ma a guardar bene la situazione non possiamo trascurare che è avvenuto un forte cambiamento nelle persone e che ciascuno è cambiato di fronte a una forte sproporzione tra le attese individuali e le prospettive del futuro. Si percepisce una lacerante mancanza di prospettiva personale e diventa sempre più larga la sproporzione tra le esigenze di maggiore coinvolgimento nel lavoro e le attese individuali in termini di qualità della vita. Nel caso del lavoro ormai è evidente che non basta più proporre “ponti d’oro” alle persone se esse non hanno più il tempo di vivere; se esse non hanno più un minimo di disponibilità interiore e di serenità (fondamentale per ognuno di noi).

Lo stesso concetto del lavoro definisce una realtà che è molto diversa rispetto a quella degli anni passati, attualmente il lavoro sta assumendo sempre di più gli aspetti della precarietà professionale; siamo nell’era dei lavoratori “mutanti”. A tutto ciò si aggiunge la sensazione che “la festa è finita”, che non torneranno più i begli anni di un tempo e che il sacrosanto progetto di vita personale molto spesso (si potrebbe dire sempre) non rappresenta più un progetto e un’aspettativa individualizzata. Molte persone oggi si occupano soprattutto di sopravvivere allo stress e ciò dimostra con evidenza che – almeno per certuni – il limite è stato ormai raggiunto.

I riferimenti certi si sfilacciano lasciando vuoto lo spazio dei valori e delle speranze; in questa condizione di incertezza mancano le prospettive, i progetti, i sogni di futuro. L’incertezza diventa una realtà tangibile con la quale saremo chiamati a porci in relazione costantemente; ma è proprio a partire dalla gestione efficace delle instabilità che diventeremo capaci di stillare la “qualità” della nostra vita. Negoziando con costanza tra la nostra vita privata e quella professionale, per un equilibrio continuamente instabile.
In realtà la questione riguarderà essenzialmente il nostro mondo relazionale nel quale ciascuno di noi dovrà far fronte al carattere imprevedibile e inatteso del suo interlocutore: marito/moglie, figlia/figlio, del collaboratore o del capo, del cliente o del fornitore, ecc.; comportandosi possibilmente in un modo pro-positivo piuttosto che reattivo.

L’incertezza è più che mai compagna della nostra vita ed è presente nelle nostre prospettive personali e nelle nostre relazioni individuali; inoltre, è legata a un nostro limite percettivo che molto spesso trascuriamo.

Del resto, non siamo stati preparati per affrontare la realtà. A scuola ci hanno trasmesso la cultura della “certezza” e una visione abbastanza rigida del mondo. La nostra educazione, e più tardi il mondo professionale ci ha incoraggiato a fissare la realtà non certa in schemi di probabilità che a lungo andare ci sta abituando a sostituire il “prevedibile” o il “programmato” con la realtà che emerge e che non può essere repertoriata a priori.

Lo smarrimento è una realtà alla quale non si può far fronte con delle tecniche rigide e alla fin fine inadatte alle situazioni che cambiano continuamente. Conviene dunque riprendere in considerazione la persona, anima e corpo (senza dimenticare l’elemento spirituale individuale) e ciò che essa possiede in termini di qualità di adattamento e di comprensione di fronte all’incertezza del cambiamento e dell’emergenza. Comprendere opportunamente che le situazioni sono in costante mutamento e che ogni strategia previsionale dovrà, per forza, confrontarsi con una realtà imprevedibile. E sappiamo bene ormai che la capacità di adattamento delle persone di fronte a una realtà nuova dipende dallo stato d’animo e dalla capacità di esse di integrare i vari aspetti della realtà.
Considerare in modo nuovo, da punti di vista ulteriori, la vita professionale e privata, guidandole consapevolmente tra i flutti dell’incertezza e dell’imprevedibilità.

Un mondo diverso è possibile
Soprattutto per chi sceglierà di affrontare le crisi con umiltà, umanità e umorismo.

 

Questo articolo è stato pubblicato per la prima volta, con lo stesso titolo su MKT, gennaio 2003. Ho l’impressione che l’argomento possa stimolare ancora molte riflessioni

La minaccia e la grazia

Capita di trovarci di fronte a una situazione difficile in cui non sappiamo cosa fare, non abbiamo idea di come affrontarla. Oppure ci mancano gli strumenti necessari per intervenire in modo efficace su di essa. Di conseguenza, non possiamo agire in modo adeguato.
Può essere un evento, un compito o una prova che in quel momento fa emergere il limite delle nostre possibilità ed è da noi vissuto con un certo grado di disagio.

Il segnale della nostra inadeguatezza si esprime attraverso l’ansia che a sua volta sottintende l’entità della nostra fatica psicofisica o del nostro stress. Tutto questo può capitare in modo sporadico. Altre volte, invece si presenta quotidianamente: in famiglia, a scuola, al lavoro, ecc.

Un momento in cui non riusciamo a raggiungere l’obiettivo, a realizzare cioè un compito che abbiamo di fronte, può – in moltissimi casi – tramutarsi in una minaccia nei nostri confronti. Lo viviamo inconsciamente come un attacco alla nostra autostima, uno sconvolgimento della nostra zona di confort.

Tuttavia, quando stiamo vivendo una tale situazione, avremmo la possibilità di dire: “io mi sento minacciato da questa difficoltà e posso lottare, posso far fronte al pericolo incombente per la mia autostima”.

Ad esempio, in linea del tutto schematica, nel caso ci trovassimo nella situazione appena descritta, potremmo renderci conto di quanto sta accadendo in due modi:

Possiamo entrare in contatto con il nostro corpo, attraverso il quale ci “sentiamo” e “comprendiamo” qual è la situazione interiore, valutando così le nostre energie e risorse (bisogna considerare però che tale situazione potremmo viverla anche come minaccia e in questo caso il “sentirci” in tale stato può diventare l’anticamera dello stress).

Abbiamo la capacità di entrare in contatto con l’esterno, verificare e valutare. Per comprendere se il nostro “potere” personale è sufficiente e adeguato per affrontare la situazione. Vivremo pertanto l’evento come sfida e nel momento in cui viviamo qualcosa in termini di competizione, ci attiviamo in modo sicuramente positivo. E’ il modo migliore per affrontare i problemi, anche se, naturalmente, non è sempre possibile interpretare o re-interpretare gli eventi in termini di “superamento di Sè”.

C’è, tuttavia, un rischio incombente, quello di voler vincere ad ogni costo, di superare con ingenuità e entusiasmo sprezzante il limite che si pone come sfida; e allora …
E’ facile rimanere impantanati nelle nostre emozioni.

La linea d’ombra nella continuità dell’azienda familiare

Lasciare il timone è un’impresa eroica; il senior che lo cede compie un grande sacrificio. Il gusto, l’orgoglio di vedere la propria azienda prosperare, acquisire credito e ispirare fiducia, hanno sostenuto nel tempo gli investimenti d’energie e di capitali; allo stesso tempo hanno reso la sua vita un viaggio interessante ed avventuroso. In futuro sarà tutto diverso per lui.

Chi sarà chiamato a succedergli, ancora prima di assicurare continuità all’azienda e dare inizio ad un nuovo ciclo d’espansione, dovrà attraversare la sua linea d’ombra. Si troverà da una parte a sentirsi in obbligo di garantire la continuità aziendale – perché non è certo utile ad alcuno che l’azienda perda valore – dovendo allo stesso tempo assumersene le responsabilità.

Dall’altra parte proverà sentimenti ed emozioni contrastanti come ha descritto efficacemente in una bella canzone il cantante Jovanotti (cfr. La linea d’ombra, nell’album “l’albero”).

Egli da voce ad un giovane a cui è affidato un incarico di responsabilità e per la prima volta nella vita si trova a considerare quello che lascia e a non sapere immaginare ciò che troverà.
Incaricato di portare una “nave” verso una rotta che nessuno conosce in dettaglio e in un momento di stabilità precaria, egli considera quanto è più facile stare in mare se sono gli altri a far la direzione.

Gli è stato detto “che una nave ha bisogno di un comandante, che la paga è interessante e che il carico è importante”. Il pensiero della responsabilità però è enorme.

Quella del giovane protagonista – narra la canzone – è un’età in cui si sa come si stava e non si sa dove si sta andando e che cosa si sarà. Nella quale la dimensione delle responsabilità che si hanno nei confronti degli esseri umani che ti vivono accanto non è ancora ben chiara. Un’età dove ogni mossa “può cambiare la partita intera e si ha paura di essere mangiato”.

In cui non si sa ancora cos’è il coraggio, “se prendere o mollare tutto, se scegliere la fuga o affrontare questa realtà difficile da interpretare ma bella da esplorare”.

Tuttavia, pur non potendo ancora immaginare cosa avverrà, una volta “attraversato il mare e portato questo carico importante a destinazione”, quel timoniere accetterà un compito così sfidante e dirà che è pronto a partire. Studierà le carte e quando sarà il momento dirà “levate l’ancora diritta, avanti tutta: questa è la rotta, questa è la direzione, questa è la decisione”.

Tornando al passaggio del timone aziendale, dobbiamo riconoscere che in realtà è del tutto assente, nell’agire di molte aziende familiari, la definizione di obiettivi e modalità per raggiungerli e verificarli. Appare spesso inconcepibile, per l’imprenditore che vuole cedere il comando, riflettere sulla opportunità di pianificare una successione sulla base di una ponderata valutazione della strategia aziendale, delle deleghe da assegnare, delle competenze necessarie per raggiungere quegli obiettivi.

In un modo del tutto implicito, un senior si aspetta che anche i successori, da lui immaginati identici per competenze e conoscenze, riusciranno nell’impresa così come lui è riuscito a raggiungere il successo, superando le prove e gli ostacoli insiti nel proprio percorso imprenditoriale.

Quest’implicita riflessione o, meglio, attribuzione di senso e significato, porta il senior ad organizzare per il successore o i successori delle prove di ingresso che riecheggiano quelle alle quali egli è stato sottoposto in giovane età e che ritiene “naturale” far passare anche ai successori. Nell’inconscio tentativo di guidare il destino del figlio/figli, quasi fosse il prolungamento di quello proprio e in una dinamica emotiva, già nota alla psicologia sociale dalla seconda metà del secolo scorso, che Heider (1958) aveva definito con il termine Fundamental Attribution Error.

Ciò rappresenta un elemento di criticità, in quanto pone un insieme di problemi nei rapporti interpersonali e scarsa chiarezza di ruoli. Generando spesso, nella fase del passaggio generazionale e anche successivamente, conflitti a partire dalla omogeneità/eterogeneità degli schemi cognitivi (i cosiddetti assunti di base) delle persone in gioco e delle loro rappresentazioni della realtà e delle evoluzioni future.

Pertanto, non si tratta più semplicemente di un “ricambio” o “passaggio” generazionale quanto di una “integrazione” di generazioni; o, meglio, di una mediazione di punti di vista legittimamente differenti), volta a definire un piano di Sviluppo Generativo Competitivo, capace di creare nuove opportunità e nuove ricchezze per l’azienda e la famiglia.

Allora si, il nuovo timoniere finalmente potrà dire: “levate l’ancora diritta, avanti tutta: questa è la rotta, questa è la direzione, questa è la decisione”.

La prevenzione della salute psicologica nei luoghi di lavoro come modalità di gestione delle risorse umane

Essendo ormai introvabile la raccolta degli Atti del Convegno che conteneva questo contributo, lo trascrivo integralmente a beneficio di quanti gentilmente hanno espresso il desiderio di leggerlo.

***

Il pensiero corre, con molta riconoscenza e ammirazione a Francesco Novara che ci ha sempre incoraggiato a “fratturare quello che siamo diventati, per divenire possibilità svelate”.

E non si può fare a meno di citare un suo concetto.
“Sovente l’organizzazione si ammala perché espia il tradimento della missione cui deve servire: le disfunzioni interne risultano – in un circolo vizioso di aggravamento – effetto e causa di una perdita di contatto con la realtà per la quale l’organizzazione deve operare.
Ciò impedisce un orientamento realistico e un mantenimento dinamico dell’equilibrio complessivo: l’avvio alla confusione prepara la disintegrazione”
.

Perché investire sulla prevenzione della salute psicologica attivando la gestione delle risorse umane?
Innanzitutto, occorre chiarire che il miglioramento della salute sul posto di lavoro non deve essere necessariamente complicato o dispendioso e tantomeno esigere molto tempo per la sua realizzazione.
È sufficiente impegnarsi per facilitare i processi relazionali alla base della salute mentale delle persone al lavoro. Attraverso una gestione funzionale proprio delle risorse umane, quell’elemento che costituisce il fondamentale capitale fondamentale dell’azienda.

Qui vorrei fare un piccolo inciso richiamando quanto ricordato dall’amico e collega William Levati (W. Levati, M. Saraò: Psicologia e sviluppo delle risorse umane nelle organizzazioni, FrancoAngeli)
Se riformuliamo i tre classici fattori della produzione (capitale, terra e lavoro come finanza, tecnologia/organizzazione e risorse umane) possiamo constatare che di fatto le prime due hanno conquistato nelle organizzazioni una credibilità, un peso e una visibilità che manca totalmente alla terza.
Prova ne è che raramente, (…) i direttori risorse umane fanno parte dei Board of Directors a differenza degli altri primi livelli aziendali.
In altri termini a un direttore di finanza o a un direttore commerciale viene chiesto di contribuire alla formulazione delle strategie attraverso la pianificazione di loro competenza, mentre al direttore risorse umane viene chiesto solo a valle di eliminare i possibili ostacoli legali, amministrativi, sindacali o al massimo di presentare una analisi quantitativa del fabbisogno di risorse umane.

In realtà le risorse umane non sono un semplice fattore della produzione, ma rappresentano un meta fattore, nel senso che la finanza, l’organizzazione o la tecnologia non esistono in sé, ma esistono uomini (e donne) che fanno funzionare la finanza, la tecnologia, l’organizzazione.

Quindi un’indagine qualitativa che riguardi queste persone dovrebbe essere l’elemento portante di un discorso di pianificazione economica dell’azienda. Invece alla funzione Risorse umane si chiede quanti sono gli individui e quanti potranno essere, non quali sono e quali dovranno essere per rendere fattibile la strategia aziendale.

In questo modo, precludendosi la possibilità di formulare una pianificazione qualitativa, si impedisce alla funzione Risorse Umane di passare da un ruolo tattico a un ruolo strategico all’interno dell’organizzazione.

La promozione della salute psicologica al lavoro riguarda innanzitutto le relazioni esistenti tra la salute e il benessere dei dipendenti – da una parte – e il successo della azienda dall’altra. Successo che a sua volta può essere inteso come “salute” (dei bilanci, delle relazioni, ecc.) e “sofferenza” (ahimè è ormai costante la sofferenza dei mercati!)

Riguardo ai costi e ai vantaggi
Va subito detto che è più impegnativo e costoso sostituire i dipendenti qualificati o affrontare gli aumenti dei costi di gestione dipendenti da una non puntuale organizzazione del lavoro. Si pensi ad esempio ai costi legati alla ricerca del personale, ai relativi colloqui, alla formazione, al reclutamento, ecc. Si rifletta sul valore della perdita delle competenze, delle conoscenze e della “memoria istituzionale”, che viene a mancare nel momento in cui un valido collaboratore ci lascia.

Per non parlare poi dei costi aggiunti derivanti da assenteismo, bassa produttività, insoddisfazione al lavoro, ecc. Tenendo presente che, secondo le ricerche e la letteratura scientifica sull’argomento, il fatto di investire sulla salute e sulla sicurezza permette di risollevare il morale dei dipendenti e aumentare il successo dell’azienda.

Investiamo quindi sulla promozione della salute psicologica per il successo della nostra azienda!
Come dirigenti o collaboratori di una azienda siamo consapevoli dei problemi derivanti dalla demotivazione del personale, dell’organizzazione del lavoro, dal tasso di assenteismo cronico, dei numerosi conflitti da gestire, e degli sforzi necessari per trovare la “persona giusta per il posto giusto” soprattutto quando un dipendente molto stimato decide di lasciare il posto di lavoro.

Oltre ad essere lunghi, costosi e onerosi, questi compiti impediscono di spendere tutte le energie in un progetto più vantaggioso per l’azienda, come la cura della clientela e la pianificazione strategica dell’azienda.

Investiamo per migliorare la nostra salute mentale!
Sapendo che la maggior parte delle persone trascorre i 2/3 della giornata al lavoro, parlando di qualità della vita non possiamo fare a meno di riferirci alla qualità del nostro lavoro

Di fatto, le ricerche evidenziano che il luogo di lavoro ha una certa incidenza sulla salute e il benessere dei dipendenti e anche sulla salute dell’azienda.
Ormai conosciamo molto bene la incidenza dello stress professionale sulla salute e molti fattori che possono determinarlo. Ad esempio: il livello di controllo sul lavoro, il carico di lavoro, la responsabilità nei confronti degli altri, le esigenze di riconoscimento personale, l’ambiguità rispetto all’avvenire dell’impiego, ecc. Tra questi elementi la variabile principale che incide sulla salute – e contemporaneamente sul livello di soddisfazione che il dipendente ha verso il suo ambiente di lavoro – è il controllo che egli esercita sul suo lavoro stesso, ossia la sua sfera (ampiezza) decisionale. Più semplicemente, l’ampiezza decisionale può essere definita come il grado di controllo che una persona può esercitare sul suo ambiente di lavoro e sulle sue attività quotidiane, le decisioni che vengono prese e i risultati di tali decisioni. Essa è anche correlata con la capacità di poter dire “no” o di negoziare il carico di lavoro senza timore di rappresaglie o di reprimende.

Dirigere, essere a capo di un comparto o di una equipe, insegnare, delegare delle responsabilità, significa trasmettere esperienza. Ciò che viene trasmesso o trasferito dovrebbe essere garantito dalla storia della persona che avvia tale scambio e dai suoi “maestri” di riferimento.
Dirigere, comandare, essere leader, vuol dire anche “drammatizzare” la propria storia e il proprio vissuto professionale e personale.

Una gestione delle risorse umane che si basa sull’esperienza, non dovrebbe ridursi alla ripetizione di un corpus asettico di norme e procedure.
Non è un caso che molti autori in questi ultimi anni abbiano affrontato l’argomento, mettendo in relazione la funzionalità e le competenze di “facilitazione” insite nella leadership con la qualità del lavoro e il benessere delle persone.

Cito tra i molti:

• BACHMANN Kimberley, 2000, La création de milieux de travail sains: pas juste une histoire de casques e de battes de securité, Le Conference Board du Canada, (novembre), p. 37
Bachmann discute sul bisogno per i quadri superiori di affrontare la salute e il ben essere in ambito lavorativo in modo integrato; affinché si possa successo in una economia globale competitiva. Definisce un approccio globale in grado di promuovere la elaborazione di politiche e di programmi capaci di affrontare le questioni relative all’ambiente fisico, all’ambiente psico sociale e alle pratiche di salute individuale. Il lavoro suggerisce che tutti i diretti interessati, compreso i governi, i datori di lavoro, le organizzazioni non governative, le organizzazioni sindacali e i fornitori di servizi profit, hanno un ruolo da giocare creando un approccio globale alla salute nell’ambito lavorativo.

• BADARACCO Joseph L. Jr. 2001. “We Don’t Need Another Hero”, Harvard Business Review, vol. 79, n. 2 (settembre). P. 120 (7).
Questo testo descrive le caratteristiche dei leaders morali che agiscono in modo trasversale in prospettiva di vittorie discrete. Esso suggerisce che i leader discreti sono pratici, efficaci e validi. Sostiene che spesso è più efficace per i leader scegliere accuratamente i loro combattimenti piuttosto che “immergersi in una fiammata di gloria per un semplice sforzo drammatico”.
Badaracco fornisce linee direttrici di base per i leader morali: riportare le cose al domani, scegliere il combattimento, aggirare i regolamenti senza violarli, trovare un compromesso. Utilizza degli aneddoti per illustrare come ciascuna di queste linee direttrici può essere utilizzata per gestire dei dilemmi di ordine etico. Include un inserto che descrive due caratteristiche distintive dei leader morali discreti: le loro motivazioni sono definitivamente sfumate e la loro visione del mondo è chiaramente realista.

• BUHLER Patricia M., 2001, “Managing in the New Millennium: the agile manager”, Supervision, vol. 6, n. 8 (agosto), p. 13 (3)
Buhler descrive la necessità per i dirigenti di essere flessibili affinchè possano efficacemente incoraggiare la vivacità nel loro ambiente di lavoro. Fa emergere la necessità di trattare i dipendenti in modo eqanime e di rispondere ai loro bisogni individuali. Il documento fornisce esempi del modo in cui i dirigenti possono dare prova di flessibilità nel loro modo di ricompensare i dipendenti, di pianificare per il futuro, di utilizzare le nuove tecnologie per incentivare il lavoro, di far fronte ai giochi politici interni all’ufficio e di risolvere dei problemi.

• Canada. SOUS-COMITE’ DU CHF SUR LE MIEUX ETRE EN MILIEU DE TRAVAIL. 2000, Le mieux etre en milieu de travail – un défi a relever; Rapport du Sous Comité. (settembre), 74 p. Bilingue
Questo rapporto definisce il senso del benessere al lavoro e discute sulla sfida attuale da accogliere affinché la funzione pubblica federale diventi un “datore di lavoro di prima qualità”. Discute le principali questioni sollevate dai dipendenti nel Sondaggio promosso presso i funzionari federali nel 1999: carico di lavoro, equità nei processi di selezione, molestie morali e discriminazione, avanzamento professionale e apprendimento. Raccomanda anche dei mezzi secondo i quali i dirigenti possono abbordare tali questioni nel quadro della funzione pubblica federale. Contiene anche degli esempi di iniziative prese da diversi ministeri ed organismi di governo per affrontare tali questioni.

• Centre syndacal et patronal du Canada. 2000, Point de vue 2000: Le milieu de travail sain, 15 p., 17 grafiques.
Questo rapporto presenta i risultati di un sondaggio presso i dirigenti del settore pubblico e privato e di organizzazioni sindacali. Presenta un confronto di punti di vista degli intervistati in merito al ciò che costituisce un ambiente di lavoro sano.

Non volendo trascurare la importanza della qualità dell’organizzazione del lavoro per la salute psicologica dei lavoratori. Cito ad esempio:

• CANADA. SANTE’ CANADA, 2002, Conseil sur la gestion des risques associés au stress en milieu de travail, partie 2, p. 23-38
Questo documento fornisce delle informazioni sulle cause di stress organizzativo e le sue ripercussioni per le organizzazioni e le persone. Cerca di “aumentare la presa di coscienza e a ispirare l’azione concernente i rischi molto reali per la salute e la sicurezza portati da diversi agenti di stress tossico presenti in ambiente di lavoro”. Fornisce dei consigli sia alle direzioni che ai comitati per l’ambiente sulle modalità di affrontare efficacemente la questione dello stress. Include una serie di lucidi che possono essere utilizzati nel corso di una presentazione.

• DUGDILL L., 2000, “Developing a Holistic Undestanding of Workplace Health: The Case of Bank Workers”, Ergonomic, vol. 43, n. 10, p. 1738 (12).
Dugdill esamina i risultati di uno studio riguardante gli impiegati di una banca del Regno Unito e riferito al loro punto di vista sul rapporto tra i fattori psicologici, lo stile di vita e la salute. Enumera alcuni fattori che contribuiscono alla salute dei dipendenti includendovi il contenuto del lavoro, le relazioni, la concezione dei compiti, l’ampiezza del processo decisionale e il controllo del lavoro. Suggerisce che le strategie di promozione della salute in ambiente di lavoro devono affrontare sia questioni di stile di vita psicosociali che individuali.

• DYCK Dianne e Tony ROITHMAYR, 2001, “The Toxic Workplace”, Benefits Canada, vol. 25, n. 3 (marzo), p. 52 (1=9
Gli autori riferiscono dell’impatto di agenti stressanti dell’ambiente di lavoro su individui e organizzazioni. Sottolineano i costi dello stress e pongono dei dubbi sul livello dei successi dei programmi che hanno come finalità il benessere nel trattare le cause dello stress. Presentano uno schema per individuare e misurare le cause fondamentali dello stress in ambito lavorativo.

• GEMIGNANI Janet, 2001, “When Work Becomes Toil”, Business & Health, vol. 19, n. 6 (giugno) p. 7 (1)
L’autrice presenta i risultati di un sondaggio riferito su 1000 operai americani effettuato da Families and Work Institute. Essa discute della prevalenza dei sentimenti di surmenage tra gli operai americani. Enumera una serie di fattori relativi all’ambiente di lavoro che contribuiscono al surmenage. Descive le conseguenze del surmenage per le persone e le organizzazioni. L’articolo include brevi statistiche riguardo le differenze dei sentimenti di surmenage dichiarati per età e professione.

• LEITER Michael P. e Christina MASLACH, 2001, “Burnout and Quality in a Sped-Up World”, The Journal for Quality and Participation, vol. 24, n. 2 (estate), p. 48-51
In questo articolo, gli autori trattano della importanza di affrontare la questione dell’esaurimento all’interno delle organizzazioni. Presentano uno schema diagnostico del potenziale di esaurimento nei dipendenti. Segnalano un metodo per valutare la situazione attuale nelle organizzazioni e avviare il processo di cambiamento.

• LYNCH Wendy D., 2001, “Health Affects Work and Work Affects Health: We Know How Health Affects Productivity, But Do We Undestand How Work Affects Healt?”, Business & Healt, vol. 19, n. 10 (nov-dic) p. 31 (4)
Questo articolo tratta degli inconvenienti del lavorare per tante ore e rinunciare alle vacanze. Presenta i risultati delle ricerche che evidenziano il costo per i dipendenti dei comportamenti ad alto rischio come ad esempio il tabagismo. Formula dei dubbi riguardo i provvedimenti in cui piccoli compromessi da parte dei dipendenti in favore del lavoro possono avere un impatto negativo a lungo termine sulla produttività. Enumera alcune conseguenze negative delle troppe ore di lavoro includendo la privazione del sonno, la depressione e la diminuzione delle competenze interpersonali. Tratta anche dei problemi acuti ai quali fanno fronte i dipendenti in situazioni di lavoro di forte domanda e debole controllo, in particolare coloro che devono anche trattare con un cattivo dirigente. Sottolinea il bisogno di affrontare i problemi sistemici nel contesto di lavoro piuttosto che semplicemente concentrarsi su interventi circoscritti come i programmi di gestione dello stress.

• MASLACH Christina e Michael P. LEITER, 1999, “Take This Job and Love It!”, Psychology Today, vol. 32, n. 5, p. 50 (6)
Questo articolo mette in luce come gli ambienti di lavoro contribuiscono all’esaurimento dei dipendenti. Gli autori pongono in evidenza sei fattori chiave che contribuiscono al senso di benessere di un dipendente: un carico di lavoro ragionevole, il sentimento di avere il controllo della situazione, l’occasione di ricevere dei riconoscimenti (ricompense), un sentimento di comunità, la fiducia nel luogo di lavoro e la condivisione di valori. L’articolo fornisce esempi della manifestazione di questi fattori nell’ambito lavorativo e descrive degli scenari che mostrano come i dipendenti possano far fronte alle situazioni e alle sfide che possono sorgere. Include una lista di misure da prendere per provocare miglioramenti dell’ambiente di lavoro.

• Mental Health in the Workplace, 2001, Worklife Report, vol. 13, n. 2, p. 11 (2)
Questo articolo riassume i risultati di uno studio dell’Organizzazione Internazionale del Lavoro sulla incidenza e il costo dei problemi di salute mentale in ambito lavorativo. Fornisce informazioni sulla incidenza e le cause delle malattie legate alla salute mentale in cinque paesi: gli Stati Uniti, l’inghilterra, la Germania, Finlandia e Polonia. Tratta dei costi malattia mentale per le persone e i datori di lavoro ma anche dei progressi fatti fino a questo momento nelle soluzioni da apportare a questo problema.

• RAIMY Eric, 2001, “Back to the Table”, Human Resource Executive, (15 marzo) p. 1, 28-32
Questo autore presenta il concetto di un processo doppio di ristrutturazione degli orari di lavoro nel quale degli sforzi vengono fatti per concepire i compiti con la finalità di aumentare la produttività e allo stesso tempo ridurre le ore di lavoro. Include degli esempi che mostrano come delle organizzazioni come FleetBoston, Bank of America e Marriot International hanno messo in opera questo processo con successo.

Ho citato solo due aspetti della questione, vi è però un certo numero di dati comuni che emergono dalle ricerche e che possono essere riassunti in tre ambiti: le caratteristiche di un buon posto in cui lavorare, le condizioni che facilitano la creazione di salutari posti di lavoro e allo stesso tempo gli strumenti e le tecniche per aiutare i datori di lavoro a creare dei posti di lavoro di qualità.
Ecco un riassunto di questi messaggi:

Le caratteristiche di buoni posti di lavoro
–  le persone sono dedite al lavoro
–  vi è una reciprocità di rispetto e fiducia tra i dipendenti e i dirigenti
–  le persone ritengono di essere trattate con equità
–  vi è uno scopo ben preciso
–  i dipendenti sono capaci di garantire un equilibrio tra il loro lavoro e le loro responsabilità personali
–  i dipendenti si sentono al riparo dalle molestie psicologiche o morali e dalla discriminazione

Condizioni che aiutano a creare dei posti di lavoro salutari
–  la direzione è dedita al compito
–  i quadri intermedi sono motivati e vengono adeguatamente riconosciuti e compensati
–  comunicazioni aperte e oneste vengono incoraggiate dovunque nell’organizzazione
–  il rendimento viene valutato in funzione dei risultati piuttosto che sulle apparenze
–  la partecipazione dei dipendenti al processo decisionale viene incoraggiata e facilitata
–  viene delegata ai dipendenti una parte del controllo sul loro lavoro

Strumenti per agevolare la crescita delle persone e dell’azienda
–  sondaggi sul clima organizzativo
–  programmi di formazione e di perfezionamento “centrati”
–  impiego di strumenti di valutazione per misurare i progressi
–  elaborazione e messa in opera di strategie e programmi che favoriscono l’impegno responsabile sul piano professionale e personale
–  elaborazione di progetti pilota e creazione di gruppi di lavoro impegnati sugli elementi chiave dell’ambiente di lavoro
–  programmi di gestione del cambiamento che facciano perno sui comportamenti come mezzi per realizzare un cambiamento culturale durevole
–  tecniche specifiche per definire meglio il compito, l’impegno, carico di lavoro e la programmazione delle attività

Per una più accurata descrizione dei casi di “sofferenza” organizzativa e individuale e degli interventi di prevenzione che possono essere realizzati, sono a disposizione per i vostri quesiti. Sia durante la pausa che inizierà a breve, subito dopo avere ringraziato tutti voi per la presenza e la cordiale attenzione. Sia nel caso vogliate incontrami o scrivermi in un altro momento.

Grazie.

 

Contributo di Vittorio Tripeni al convegno:

Qualità dell’organizzazione del lavoro e salute psicologica – Una riflessione nell’ottica della Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione per prevenire i rischi della salute psicologica correlati al lavoro.

Milano, Via Bernardino Luini 5 – 29 maggio 2003

 

L’assistenza agli anziani nel corso di eventi critici

Gli anziani costituiscono un gruppo vulnerabile che ha bisogno di attenzione e di servizi specializzati, durante e dopo un’emergenza.
Lo stato di salute, la situazione finanziaria e sociale, l’isolamento come pure la mancanza di risorse che permettono di superare le situazioni difficili, costituiscono alcuni dei numerosi fattori che possono aumentare i bisogni delle persone anziane alle prese con un evento critico. Come quello rappresentato dalla grande epidemia di Coronavirus che ci sta coinvolgendo ora.

Il primo obiettivo di un intervento nei confronti delle persone anziane riguarda la eliminazione degli stereotipi che di solito si hanno nei loro riguardi.
La maggioranza delle persone anziane non sono fragili, malate, disorientate, inattive, dipendenti, ecc.
Gli anziani costituiscono, nella stragrande maggioranza, un gruppo autonomo pieno di risorse che vuole soddisfare i propri bisogni e pianificare in che modo soddisfarli.

Dalla letteratura scientifica e dalle ricerche sul campo, emerge chiaramente che molte persone anziane provano notevoli difficoltà prima di un evento critico. Ad esempio, non ricevono sempre adeguate segnalazioni concernenti la incombenza di un pericolo, una emergenza imminente o in corso. Anche perché a volte queste persone si trovano fuori del circuito di allertamento della protezione civile, oppure non inserite nelle reti sociali parentali o amicali.
Poi ci sono i casi di disabilità fisiche, come ad esempio la sordità o altre malattie, tanto che l’isolamento può impedir loro di udire i messaggi di allerta.

Anche se le persone anziane comprendono i segnali o i messaggi di allarme, diversi fattori possono impedire di allontanarsi dai luoghi dell’emergenza o di auto proteggersi. Ad esempio:

Inabilità
L’inabilità fisica o mentale, lo stare su una sedia a rotelle, la cecità, la sordità, le difficoltà di muoversi autonomamente, sono alcuni dei fattori che possono diminuire la loro capacità di lasciare – se necessario – il loro appartamento o di prendere le necessarie misure di auto tutela.

Mancanza di risorse e di informazioni
Alcune persone anziane spesso non dispongono dei mezzi di trasporto necessari o di assistenza fisica sufficiente per evacuare il loro alloggio. Può capitare anche che esse non sappiano dove andare o che fare per proteggersi, ne’ dove reperire le informazioni necessarie per conoscere meglio il pericolo che le minaccia.

Rifiuto di lasciare il luogo in cui stanno
Alcune persone anziane possono porre molta resistenza ad una evacuazione, per il fatto di sentirsi molto legate affettivamente ai loro beni: la casa, gli oggetti o gli animali, che esse si rifiutano di abbandonare. Perché hanno paura che entrino degli estranei, non vogliono lasciare la loro casa vuota per paura di essere derubati, o perché sono incapaci di valutare adeguatamente la situazione che si sta presentando.

Cosa fare?
Dato che la maggior parte delle persone anziane sono in grado di gestire autonomamente gli eventi, è importante occuparsi di quelle che sono a rischio; affinché si possa intervenire in tempo per avvertirle e nel caso evacuarle, oppure aiutarle a mettere in atto tutte le misure di autotutela necessarie per proteggersi.
Le persone che corrono maggiori rischi potrebbero essere quelle che:
– hanno più di 75 anni;
– abitano sole o che sono socialmente isolate;
– presentano problemi di locomozione;
– hanno perduto una persona cara nel corso degli ultimi due anni;
– sono state ricoverate in ospedale recentemente;
– sono incontinenti;
– sono disorientate e/o confuse;
– abitano in zone a forte concentrazione di anziani, come quelle in cui vi sono centri di accoglienza, di abitazioni protette, di luoghi di cura specializzati per persone anziane.

Ecco qualche punto di riferimento che può migliorare la pianificazione di interventi di urgenza per gli anziani a rischio:
un registro (tutelato dai vincoli previsti dalla legge) in cui scrivere nomi, indirizzi e bisogni (in termini di inabilità) delle persone anziane maggiormente sensibili;
un piano di emergenza comprendente le modalità e i meccanismi di avvertimento diretto delle persone anziane a rischio, così pure dei metodi e mezzi di evacuazione da parte della polizia, il 118 o il volontariato;
allo scopo di accelerare le procedure di evacuazione in caso di evento improvviso, sarà bene evidenziare sulla topografia comunale le residenze delle persone anziane a rischio.

Avvertire le persone anziane
Considerate le problematiche di natura sensoriale di numerose persone anziane, una segnalazione di un evento imminente o di una evacuazione fatta attraverso i sistemi di informazione audio e video potrebbe rivelarsi insufficiente.
Sarebbe dunque opportuno discutere, prima di tutto, di queste difficoltà con gli operatori dei mezzi di informazione e suggerire loro un sistema di allarme più appropriato; tale da compensare i disturbi visivi o uditivi che riguardano le persone anziane. Ad esempio, nei loro messaggi di allerta, i mezzi di informazione potrebbero consigliare ai loro ascoltatori di avvertire le persone anziane a loro vicine dell’evento imminente e aiutarle a evacuare o ad attivarsi per prendere le necessarie precauzioni.

Collegamenti
I responsabili di organizzazioni sociali che rappresentano interessi di categoria o attività di cura e assistenza per le persone anziane, il volontariato e le parrocchie (naturalmente anche le altre rappresentanze religiose) dovrebbero costituire una rete con l’organizzazione della protezione civile locale. Questa a sua volta sarà in continuo contatto con gli operatori dell’emergenza incaricati di seguire la evoluzione dell’imminente evento. Tutti questi organismi possono così lavorare in rete concertando le loro iniziative e assicurando in questo modo un adeguato coordinamento del piano di emergenza.

Assistenza in caso di evacuazione
– Il personale del soccorso pubblico 118, la polizia urbana, il volontariato di protezione civile, devono entrare immediatamente in comunicazione con le persone anziane a rischio che abitano la zona coinvolta dall’evento.
– Occorre prevedere delle modalità di assistenza per l’evacuazione ed anche dei mezzi di trasporto verso i centri di accoglienza o verso altri ricoveri temporanei.
– Rassicurare le persone anziane, che esse possono lasciare le loro abitazioni e i loro beni, perché la polizia sorveglierà le case e proteggerà le loro cose. (il piano di emergenza potrebbe contenere anche un piano di evacuazione degli animali domestici).
– Ricordare alle persone anziane di portare con loro le medicine e non soltanto le pillole. Quando si è pressati dall’urgenza, si dimenticano facilmente altre cose importanti: le gocce per gli occhi, gli inalatori, le pastiglie antiacido, le pastiglie di nitroglicerina. Sarebbe bene portare con se le eventuali grucce oppure l’apparecchio acustico o la dentiera.
– Gli operatori del soccorso 118 e gli altri soccorritori devono essere informati dei problemi particolari di trasporto delle persone anziane fragili verso i centri di accoglienza di urgenza o presso altre sedi, e della necessità di garantire loro le necessarie cure.

Reazioni emotive negli anziani
La maggior parte delle persone danno prova di resistenza e di coraggio di fronte all’emergenza, perché la loro esperienza (separazioni, divorzi, perdite di persone care, malattie, ecc.) ha permesso loro di costruirsi una capacità di recupero. Secondo la letteratura sulle emergenze,  le persone anziane, in quanto gruppo, hanno la tendenza a recuperare in fretta e più a loro agio, nel giro di un anno, rispetto ad altre fasce di età.
Tuttavia, per il fatto che certi anziani presentano effettivamente delle reazioni emotive e un certo stress, gli operatori del soccorso dovranno essere pronti a riconoscere queste situazioni e a soccorrere coloro che, nel periodo successivo all’evento critico, provano una reazione depressiva, confusione, accompagnata da una scarsa capacità di organizzarsi; oppure un sentimento di disperazione, di impotenza, di desolazione di fronte alla prospettiva di rifarsi una vita.

L’ansia, la depressione, la paura, la collera, i sensi di colpa e la tristezza sono sentimenti normali, anzi anche appropriati, c’è da aspettarseli.
Per le persone anziane, ciò può essere un mezzo per esprimere la propria inquietudine di fronte al loro avvenire, alla perdita della salute fisica, dei loro ruoli familiari, dei contatti sociali e della loro sicurezza finanziaria. Gli anziani tengono a conservare un senso di autonomia e in una certa misura di controllo sulla loro vita e il loro ambiente.
La collera è ugualmente una reazione normale da prevedere poiché essa permette alla persona di rispondere a ciò che l’ha colpita. Questa collera può essere diretta contro i bambini, i familiari o gli operatori del soccorso che non dovrebbero però allarmarsi ma anzi vedere in questa reazione delle persone anziane una modalità terapeutica di confrontarsi con le loro perdite.

La tristezza costituisce una reazione altrettanto normale e occorre permettere ed incoraggiare le persone anziane a piangere le loro perdite. I soccorritori dovrebbero riconoscere questo bisogno che hanno le persone anziane di piangere le loro perdite e dovrebbero tenere a bada i ragazzi o i familiari e tutti coloro che pensano di far bene cercando di evitare questa manifestazione di tristezza.

Il processo di lutto nelle persone anziane può esprimersi in maniere diverse:
– dimenticarsi di prendere le medicine;
– rifiutare di mangiare;
– incapacità di decidere che fare;
– rimuginare sull’incidente occorso.

Talvolta la reazione iniziale delle persone anziane è di dire che “tutto va bene”, ma ciò può essere una falsa impressione; queste persone hanno in realtà bisogno di aiuto per superare le perdite. E’ allora che gli operatori del soccorso rivestono un ruolo molto importante prestando loro un ascolto attivo.

 

 

 

Già pubblicato in:
V. Tripeni – La gestione dell’emergenza. I rapporti con la cittadinanza nel corso di eventi critici sul territorio. Il ruolo degli amministratori pubblici durante l’emergenza
Dispensa del corso FORMEL, Venezia, 21 settembre 2007