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La compassione non sarà sufficiente

A margine della giornata mondiale delle infermiere e degli infermieri che viene celebrata oggi, in coincidenza anche con i 200 anni dalla nascita di Florence Nightignale, fondatrice dell’infermieristca moderna,

credo sia chiaro a tutti noi che sorge o, meglio, rinasce un interesse generale per la sofferenza e il superlavoro del personale ospedaliero e di tutti gli operatori socio-sanitari.

Un interesse sicuramente spinto dalla terribile dall’emergenza della pandemia Covid-19, sollecitato anche dalla comunicazione mediatica che, giustamente, ci invita a prenderci cura di medici e infermieri e a sostenerli.

Sicuramente in molti lo stiamo facendo e in questo particolare momento, fintanto che il virus continua a limitare la presenza fisica, sono ovviamente disponibile ad ascoltare storie a volte terribili con la necessaria attenzione e compassione. Da parte mia, fornendo un supporto professionale che ho affinato nel corso degli anni anche grazie alle esperienze di altri professionisti che in precedenza ho assistito.

Tuttavia, mi rendo conto non sarà sufficiente questo aiuto psicologico e umanitario.

Secondo me non sarà sufficiente perché la maggior parte dei problemi che affrontano quotidianamente gli operatori sanitari, non dipendono dai loro spazi intrapsichici, dal loro inconscio, dai tratti della loro personalità o dalle loro nevrosi.

Certo, emerge in questo momento, in molti casi, una condizione di stress intenso che occorre alleviare attraverso debrifing adeguati o, nei casi più complessi, supportare con interventi più strutturati.

Tuttavia – continuo a credere – se vogliamo prenderci cura del lavoro dei medici e degli operatori sanitari, se vogliamo sostenerli e riconoscere il loro impegno e dare un senso al loro sacrificio,

dovremo prenderci cura delle loro condizioni di lavoro materiali, della carenza di personale, dell’assenza di dispositivi di protezione adeguati, degli orari di lavoro, del razionamento forzato delle risorse sul territorio, del sacrificio individuale che viene costantemente richiesto loro dietro la maschera dell’eroismo.

Ecco perché dico che la compassione non sarà sufficiente. L’eroizzazione del sacrificio degli operatori sanitari ancora meno.

La minaccia e la grazia

Capita di trovarci di fronte a una situazione difficile in cui non sappiamo cosa fare, non abbiamo idea di come affrontarla. Oppure ci mancano gli strumenti necessari per intervenire in modo efficace su di essa. Di conseguenza, non possiamo agire in modo adeguato.
Può essere un evento, un compito o una prova che in quel momento fa emergere il limite delle nostre possibilità ed è da noi vissuto con un certo grado di disagio.

Il segnale della nostra inadeguatezza si esprime attraverso l’ansia che a sua volta sottintende l’entità della nostra fatica psicofisica o del nostro stress. Tutto questo può capitare in modo sporadico. Altre volte, invece si presenta quotidianamente: in famiglia, a scuola, al lavoro, ecc.

Un momento in cui non riusciamo a raggiungere l’obiettivo, a realizzare cioè un compito che abbiamo di fronte, può – in moltissimi casi – tramutarsi in una minaccia nei nostri confronti. Lo viviamo inconsciamente come un attacco alla nostra autostima, uno sconvolgimento della nostra zona di confort.

Tuttavia, quando stiamo vivendo una tale situazione, avremmo la possibilità di dire: “io mi sento minacciato da questa difficoltà e posso lottare, posso far fronte al pericolo incombente per la mia autostima”.

Ad esempio, in linea del tutto schematica, nel caso ci trovassimo nella situazione appena descritta, potremmo renderci conto di quanto sta accadendo in due modi:

Possiamo entrare in contatto con il nostro corpo, attraverso il quale ci “sentiamo” e “comprendiamo” qual è la situazione interiore, valutando così le nostre energie e risorse (bisogna considerare però che tale situazione potremmo viverla anche come minaccia e in questo caso il “sentirci” in tale stato può diventare l’anticamera dello stress).

Abbiamo la capacità di entrare in contatto con l’esterno, verificare e valutare. Per comprendere se il nostro “potere” personale è sufficiente e adeguato per affrontare la situazione. Vivremo pertanto l’evento come sfida e nel momento in cui viviamo qualcosa in termini di competizione, ci attiviamo in modo sicuramente positivo. E’ il modo migliore per affrontare i problemi, anche se, naturalmente, non è sempre possibile interpretare o re-interpretare gli eventi in termini di “superamento di Sè”.

C’è, tuttavia, un rischio incombente, quello di voler vincere ad ogni costo, di superare con ingenuità e entusiasmo sprezzante il limite che si pone come sfida; e allora …
E’ facile rimanere impantanati nelle nostre emozioni.

1 – Un equilibrio costantemente instabile

La nostra, continua a essere l’epoca delle mutevoli (instabili) esigenze del mercato, della cosiddetta deregulation delle forme d’impiego, della “complessità”, della flessibilità e … della precarietà. Un’epoca in cui: l’incertezza per l’avvenire, l’intensificazione dei ritmi, la velocità degli adeguamenti, i conflitti, ecc., nuocciono alla costruzione identitaria dell’individuo e al suo equilibrio fisiologico e psicologico.

È in atto, ormai da tempo, una profonda trasformazione delle condizioni di lavoro, in tutti i settori di attività, completamente trasformati dall’impiego di nuove tecnologie e dal conseguente cambiamento dei modelli di produzione.

Tutto ciò – era già chiaro molti anni fa, se considerato dal punto di vista della sicurezza e della salute nei luoghi di lavoro, continua a determinare “la comparsa di nuovi rischi, e induce una progressiva modificazione dei modelli tradizionali di esposizione al rischio. La mutata organizzazione del lavoro, la comparsa e il rapido incremento di nuove tipologie di lavoro flessibile e le diverse caratteristiche della forza lavoro, introducono modifiche nella distribuzione e diffusione dei rischi” (era scritto nel Piano Sanitario Nazionale 2003-2006).

Non è possibile distogliere lo sguardo su questi fenomeni ormai connaturati con la nostra vita ed è opportuno rimanere aggiornati sulla realtà rappresentata dai problemi psico-sociali correlati al lavoro, mantenendo viva ed efficiente una cultura partecipata del rischio. Per attivare, attraverso un sistema dinamico di valutazione, l’adozione di provvedimenti adeguati. Sapendo che la prevenzione dello stress e dei rischi psico-sociali correlati al lavoro, è strettamente legata alla realizzazione di un ambiente di lavoro sano. Senza dimenticare che la soluzione di un problema non consiste semplicemente nella “rimozione” dei fattori di rischio, ma piuttosto nel combinare cambiamenti basilari e preventivi a diversi livelli, allo scopo di creare una vita lavorativa più sana e, allo stesso tempo, maggiormente remunerativa delle attese materiali e immateriali di tutti gli stakeholder.

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

2 – Stiamo vivendo una mutazione “genetica” delle nostre abitudini lavorative.

Ci troviamo immersi in cambiamenti, molto profondi, nella quotidianità di ciascuno di noi, ed è necessario rendercene conto. Perché i segnali che sottolineano tali trasformazioni sono molto evidenti: frammentazione, segmentazione, individualismo, ritorno a una lotta selvaggia (competitività-conflittualità) per la sopravvivenza, sfiducia, paura, ecc. Tuttavia, il lavoro rimane un elemento centrale della nostra vita e della nostra salute, senza dimenticare che anche oggi si “soffre”; al lavoro di lavoro si “muore”, sia quando c’è e sia quando non c’è; in uno scenario di regressione sociale in cui diventa molto urgente dare un senso al malessere che invade il nostro quotidiano.

 

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

È vero, noi possiamo fare qualcosa, produrre qualcosa, lasciare la nostra impronta nelle cose che facciamo, ma il problema è che le cose che si fanno – quasi sempre – sono calate in modelli di organizzazione e in ritmi temporali che non dipendono dalla nostra volontà. Anzi molto spesso non abbiamo neanche coscienza di essere coinvolti in quei meccanismi, ruote di un ingranaggio che funzionano “indipendentemente dalla nostra esistenza e volontà”. Siamo “delle comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori”. Siamo “non persone” in un mondo fatto di “non persone”, volti che non riescono a far venire in superficie quella parte di unico e distinguibile che è la personalità (P. Rotta, 1996)

Non è quindi esagerato chiedersi se in questa nostra epoca del fare presto e bene, della velocità e della precisione, della società ultramoderna o ipermoderna, i messaggi relativi alle politiche di qualità ed eccellenza, dell’accrescimento della produttività e del contrasto della concorrenza, non stiano “modellando” subdolamente i comportamenti delle persone, in privato, in famiglia, al lavoro e nel tempo libero. Tenendo presente che le “complessità”, i rapporti interpersonali che vengono vissuti nei contesti sociali, la crescita e lo sviluppo degli individui e delle organizzazioni, la qualità della vita delle persone e degli ambienti di lavoro, costituiscono un campo privilegiato di osservazione per la psicologia del lavoro e delle organizzazioni.

Ormai sono molte le persone che hanno l’impressione di non farcela più, di non avere abbastanza tempo per realizzare correttamente ciò che viene loro richiesto, di vivere continuamente nell’urgenza. I sentimenti si intensificano e incidono sulla percezione qualitativa del lavoro e influiscono sul senso da dare alla propria occupazione. Molti si chiedono se c’è un criterio in quanto stanno facendo e se vale veramente la pena di andare avanti in quel modo.

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.