Roncadin, una storia di operosità silenziosa, solidarietà, efficienza. La fabbrica rinata sulle sue ceneri

Roncadin, una storia di operosità silenziosa, solidarietà, efficienza. La fabbrica rinata sulle sue ceneri

Un incendio devastante che distrugge lo stabilimento, quattro linee produttive su sei, molte delle strutture di servizio. Un anno dopo: ricostruzione quasi completa, una nuova, efficientissima linea già in funzione, il fatturato difeso fino all’ultimo euro, neppure un posto di lavoro bruciato.

Nell’Italia dei cantieri eterni e della burocrazia infinita quella della Roncadin di Meduno, provincia di Pordenone, profondo Nord-Est, è una storia fuori dall’ordinario.

Una storia di operosità silenziosa, solidarietà, efficienza. Qui, ai piedi delle Dolomiti friulane, il senso del dovere è qualcosa che non ha bisogno di essere invocato, è un cromosoma nel patrimonio genetico della gente, è così sacro che l’han fatto santo: San Scugnì. In lingua friulana, il senso del dovere, appunto.

La Roncadin, fondata all’inizio degli anni 90 dalla famiglia di Fiume Veneto, 40 chilometri più a Sud, produce pizze surgelate per la grande distribuzione. Cinquecento dipendenti, 100 milioni di fatturato, il 70% all’estero: Germania, Gran Bretagna, Stati Uniti. Venduta al gruppo Arena, finita nelle mani di uno speculatore spregiudicato, poi ricomprata agonizzante dalla famiglia e affidata al figlio di Edoardo, Dario Roncadin, all’epoca trentenne: da 9 milioni di fatturato a 100 in dieci anni.

La cronologia degli ultimi dodici mesi parla da sola: il 22 settembre 2017, un venerdì alle otto di sera, un terribile incendio distrugge gran parte dell’area produttiva. I vigili del fuoco sono ancora al lavoro e già nella portineria è insediata l’unità di crisi. Il sabato e la domenica la conta dei danni e la strategia per scongiurare il blocco della produzione, probabilmente mortale.

Già sabato l’azienda rivoluziona gli orari di lavoro: dai tre turni di sei ore per cinque giorni la settimana si passa al ciclo continuo, sette ore per turno, sette giorni su sette. La cassa integrazione, pure concordata con i sindacati, non sarà mai utilizzata, neppure per un’ora.

Il lunedì 25 le prove di funzionamento delle due linee sopravvissute. Martedì 26, a tre giorni dalla catastrofe, le pizze riprendono a scorrere sui nastri: 238 mila “margherita”, surgelate e inscatolate, escono dalle linee 5 e 6. A fine settembre Roncadin stanzia 35 milioni per la costruzione di due nuove linee entro il 2019.

A un mese dall’incendio cominciano le opere di demolizione dei capannoni danneggiati. A novembre, per premiare lo sforzo prodotto dai dipendenti, Roncadin riconosce il 100 per cento di maggiorazione (anziché il 50) per i giorni festivi lavorati e assegna una gratifica di 300 euro in busta paga a ciascuno.

A metà 2018 il Tribunale archivia il procedimento penale, escludendo il dolo. Considerati i tempi medi della giustizia è un mezzo miracolo. Italiana Assicurazioni sblocca — in tempi inusualmente celeri — i quasi 40 milioni di risarcimento. Il 13 agosto nel capannone quasi completamente ricostruito entra in funzione la nuova linea 7, assai più performante di quelle distrutte. Dario Roncadin lancia i nuovi obiettivi: con altre due nuove linee (una tra pochi mesi, l’altra nel 2019) un milione di pizze al giorno e raddoppio del fatturato entro cinque anni.

Com’è stato possibile, in un anno, questo miracolo? Il senso del dovere, l’operosità friulana già sperimentata negli anni del post-terremoto. Ma non solo.

«Fin da quando abbiamo ripreso in mano l’azienda, all’epoca praticamente fallita — spiega Dario Roncadin — abbiamo impostato un lavoro sulle persone, e nella circostanza più drammatica abbiamo raccolto i frutti. Non abbiamo avuto bisogno di chiedere nulla: tutti i dipendenti (in gran parte donne) si sono messi a disposizione, hanno cambiato i ritmi delle proprie vite per assecondare i nuovi turni, si sono fatti in quattro per salvare tutto quello che poteva essere salvato.

Hanno capito che il nostro progetto non è accumulare profitti, in dieci anni li abbiamo sempre reinvestiti. Ma dare lavoro e opportunità a una terra dura, dalla quale molti sono scappati». Non per caso alla straordinaria prova di fedeltà dei dipendenti si è accompagnata la solidarietà di questo angolo di Friuli: le istituzioni locali e tutti coloro che nel tempo hanno costruito solide relazioni con l’azienda: dall’impresa di trasporti (Tavano) che ha messo a disposizione i mezzi per salvare le materie prime, all’azienda (Zerbinati) di verdure fresche che ha regalato le prime forniture; dalla Henkel, che ha dilazionato i pagamenti della colla per gli astucci delle pizze, ai molti produttori locali che hanno agevolato (anche ospitando nelle loro celle le merci che Roncadin non era in grado di conservare) l’organizzazione del lavoro.

E poi ancora gli operai, i muratori, gli artigiani, i tecnici — una sessantina di imprese, molte del territorio — che hanno lavorato nel cantiere in tempi serratissimi. «Un grande lavoro di squadra — dice Roncadin — per salvaguardare ciò che l’azienda rappresenta, nella zona pedemontana, in termini di sviluppo e occupazione».

Fonte: Repubblica, 4 ottobre 2018

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