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Stare bene insieme

Contribuire alla qualificazione complessiva degli ambienti di lavoro e migliorare il clima organizzativo, significa in sostanza contribuire ad agevolare le transazioni relazionali di chi vi lavora, metterne a punto i relativi meccanismi di regolazione per garantire il successo dell’azienda e dei suoi prodotti/servizi.

Gli studi e le ricerche empiriche stanno dimostrando che chi lavora in un contesto relazionale sano e privo di tensioni, dà alle aziende un netto vantaggio sulla concorrenza.

Le aziende che investono sul clima interno ne traggono benefici derivanti dal fatto che favorendo un lavoro di qualità, una più grande creatività e un miglior servizio alla clientela, producono valore aggiunto. Riducono il numero dei contenziosi legati alle malattie e agli incidenti e mantengono un basso tasso di assenteismo. Riescono a far emergere i talenti migliori e conservare le persone più competenti.

Promuovere il benessere delle relazioni tra le persone, con il proprio lavoro e nel luogo di lavoro, può diventare abbastanza semplice. Quando si sviluppano interventi formativi “centrati” sulle persone e finalizzati a coinvolgerle. Con lo scopo di realizzare un clima “agevolante” il loro benessere, il successo del loro lavoro e la produttività dell’azienda.

Risolvere i problemi relazionali che intossicano l’atmosfera negli spazi di lavoro è un investimento dell’azienda. Perché un clima di lavoro sano favorisce la produttività e la soddisfazione di tutti gli stakeholder.

Che fare e in che modo.

Partirei da un pensiero di Angelo Costa, il grande imprenditore ligure. Egli, riferendosi al ruolo dell’imprenditore (La funzione dell’imprenditore, 1953 ), affermò che: “Sono vani i capitali, sono vani i macchinari, sono vane le formule dell’organizzazione amministrativa o tecnica dell’azienda. Se non curiamo l’uomo, se non abbiamo nell’uomo lo stimolatore costante e continuo della vita dell’impresa.”

Ecco. Bisogna ripartire dalle persone e curare l’atteggiamento mentale dei nostri collaboratori. Avere interesse per i rapporti interpersonali, il clima relazionale e organizzativo nei vari distretti dell’azienda. Recuperare il ruolo dell’emotività e della passione. Perché sono questi alcuni degli elementi fondamentali di engagement che agevolano le condizioni per “fare gruppo”, che scaldano i cuori e le menti delle persone e delle organizzazioni.

Rendiamoci conto che non basta mettere in atto una buona idea per renderla realtà operativa e nemmeno è sufficiente che il capo la comprenda perché i collaboratori la mettano in pratica. La tecnica o le tecniche in questo caso non bastano.

PS
Ho ritrovato su alcune vecchie agende delle annotazioni che trovo ancora interessanti; brevi riflessioni, credo non banali rispetto al tempo in cui le ho scritte. Si tratta di idee e spunti che ho utilizzato per i miei interventi.
Ne ho scelto cinquantadue, risalenti agli anni 2002, 2003 e 2004, con l’intenzione di proporre un motivo di ispirazione settimanale per il corso dell’anno.
Questa è la n. 50: Stare bene insieme (2003)


Lo Stucco della Società

Lo Stucco della Società è lo stucco raccolto dai soci che il presidente ha l’obbligo di masticare affinché non indurisca.

Mi torna in mente la Società dello Stucco de “I ragazzi della via Pàl”, un libro che ha aiutato a crescere intere generazioni di lettori. Comparve per la prima volta nel 1907. Ferenc Molnár lo pubblicò a dispense, quando aveva 29 anni. Uscì a puntate sul Giornale degli Studenti del ginnasio. L’autore volle rievocare la storia vera della sua classe, scrivendo un episodio a settimana e regalando il tutto alla sua scuola.

Era una metafora disincantata del clima bellicistico tra Ottocento e Novecento che pervadeva gran parte d’Europa; ma soprattutto un atto di accusa contro gli adulti e le loro ipocrisie. In quel libro il mondo dei ragazzi è contrapposto a quello degli adulti, costoro si costruiscono regole e leggi autonome, un proprio codice etico alternativo.

Lottano lealmente per il campo da gioco, concordano le regole della battaglia, rendono onore allo sconfitto, riconoscono di aver perso, sanno chiedere scusa, rifiutano il tradimento, perdonano chi sbaglia e puniscono i soprusi.

Nel gioco – vissuto da quei giovani con molto scrupolo – la “guerra” riesce a perdere il carattere di violenza e di drammaticità che ha invece nel mondo adulto. Compiono gesta epiche di un incruento “giocare ai soldati”, vivono un surrogato di ideali eroici e nobili, con impegno serio e puro.

In quest’opera, c’è una chiara demistificazione di quelle che noi adulti avremmo potuto definire “nobili” motivazioni dei conflitti bellici. Perché quella loro “guerra” ha rappresentato soprattutto una competizione per la primazia piuttosto che una azione distruttiva. È stata diversa da quella che di solito conducono i “grandi”.

Quei ragazzi non hanno la febbre del potere e la loro battaglia è l’opposto delle guerre con le quali si vuole imporre la “democrazia” o attraverso le quali si vuole tutelare la sicurezza a svantaggio di altri. Quel mondo e quelle regole sembrano da noi molto distanti.

Noi adulti, con i nostri calcoli e il nostro egoismo; così ignoranti del mondo dei giovani, come se fossimo nati direttamente adulti senza essere stati mai giovani, avremmo forti perplessità nei confronti della loro filosofia di vita e del modo di conquistare il loro spazio.

Sono loro gli eroi, di fronte a una società gerontocratica che impedisce di attualizzare congruentemente le loro potenzialità.

PS
Ho ritrovato su alcune vecchie agende delle annotazioni che trovo ancora interessanti; brevi riflessioni, credo non banali rispetto al tempo in cui le ho scritte. Si tratta di idee e spunti che ho utilizzato per i miei interventi.
Ne ho scelto cinquantadue, risalenti agli anni 2002, 2003 e 2004, con l’intenzione di proporre un motivo di ispirazione settimanale per il corso dell’anno.
Questa è la n. 49: Lo stucco della società (2004)


L’essenziale è invisibile agli occhi

In Italia lo stress colpisce una persona su tre, le statistiche internazionali parlano di una persona su cinque; i disturbi cosiddetti psichici sono in aumento e si esprimono in uno spettro di manifestazioni che vanno dall’ansia persistente alla depressione.

Insomma, un po’ come con le nostre automobili: grandi accelerazioni, sgommature, stridii di competizione e soste forzate che, nel bel mezzo del traffico e della vita “pulsante”, ci costringono a rallentare o a fermarci. A sentire alcuni medici, basterebbe divertirsi. Oppure: visto che l’instabilità e la disorganizzazione – a partire dalle famiglie – sono ormai il nostro pane quotidiano, perché non prendere qualche pillola?

Lo stress arriva quando la ragione e il sentimento, l’elemento animico-spirituale della persona, quello che a volte definiamo anche come forza d’animo, quel “quid” che rappresenta la naturale risorsa umana, viene in qualche modo logorato, assottigliato e addirittura coartato o mortificato dalle ragioni della “techne” che si pasce di profitto, performance e punti percentuali. Dimenticando che la vera mission dell’azienda non è in primo luogo il profitto; questo dovrebbe essere un effetto secondario derivante prima di tutto dalla “soddisfazione del cliente”. Perché in questa nostra epoca, il vero scopo dell’attività produttiva di merci o servizi risulta essere quello di soddisfare il cliente. Altrimenti chi compra? Dal consenso del cliente deriva l’attuale ritorno in termini materiali e di valore aggiunto.

Pertanto, più i clienti saranno entusiasti dei nostri prodotti più essi saranno “fedeli”. È il sentimento positivo del cliente che fa la ricchezza dell’impresa, nonostante suoni ancora sgradevole ai nostri orecchi. E, probabilmente, nel momento in cui si riuscirà a fidelizzare anche la cosiddetta clientela interna (vale a dire chi lavora in azienda), i profitti saranno maggiori pure in termini di benessere e salute.

Se riusciamo a renderci conto che viviamo la maggior parte della giornata al lavoro, sarà più facile scoprire che oggi la qualità della nostra vita è rappresentata soprattutto dalla qualità della vita professionale. Senza un clima organizzativo “facilitante” per la salute delle persone, diventa veramente difficile risolvere le complicazioni che già oggi si presentano a tutto tondo e che noi definiamo stress o esaurimento nervoso.

PS
Ho ritrovato su alcune vecchie agende delle annotazioni che trovo ancora interessanti; brevi riflessioni, credo non banali rispetto al tempo in cui le ho scritte. Si tratta di idee e spunti che ho utilizzato per i miei interventi.
Ne ho scelto cinquantadue, risalenti agli anni 2002, 2003 e 2004, con l’intenzione di proporre un motivo di ispirazione settimanale per il corso dell’anno.
Questa è la n. 48: L’essenziale è invisibile agli occhi (2003)

Quando il rapporto “stride” non sempre è colpa dell’altro

Se considero la “relazione”, nell’accezione di contatto con me stesso, il mio lavoro, il progetto di vita, la famiglia, il rapporto reciproco con gli altri, l’incontro con i bisogni ed i valori dell’ambiente circostante e gli altri luoghi da me frequentati, colgo le molteplici sfaccettature e punti di vista che rappresentano la realtà che si presenta all’interno di questo complesso mondo di connessioni.

Di conseguenza, comprendo anche quanto possa essere utile ritrovarsi in armonia con le diversità di “vedute”, accogliendo i valori e i vantaggi delle relazioni intercorrenti all’interno dei diversi organismi sociali di cui faccio parte (famiglia, lavoro, scuola, “squadre” o gruppi, associazioni, ecc.). Allo stesso tempo, ho modo di considerare anche le opportunità che posso cogliere nei momenti in cui tali relazioni si esprimono in modo non funzionale.

Posso pure rendermi conto che ciascuno è diverso dagli altri e chiunque si differenzia da me ogni giorno, ogni ora della giornata, ogni volta. Pertanto potrebbe essere utile riconoscere intenzionalmente ognuna di queste occasioni, per ri-conoscermi e ri-conoscere gli altri. Cioè aggiornare le informazioni, appropriandomi delle nuove esperienze e dare un senso ai limiti e le opportunità emersi dal confronto con “quella” realtà che sto vivendo.

Sono occasioni di sviluppo e aggiustamento in cui ognuno sperimenta costantemente frangenti che lo spingono a cercare soluzioni per farvi fronte; ed è proprio in questi momenti e dalla complessità di tali situazioni che si avverte il peso dell’adattamento e, quindi, la fatica e lo smarrimento che possono rischiare di trasformarsi in un problema ancora più complesso.

Se penso a quante volte si è parlato di ecologia per le piante, gli animali, le acque, la terra, non posso fare a meno di notare che ci occupiamo poco di ecologia delle relazioni tra le persone. Volendo anche considerare che stare bene all’interno dell’organizzazione di un’azienda, lavorare bene in un ambiente gradevole con un clima interpersonale favorevole, rende moltissimo.

Frutta in termini di ritorni economici materiali e soprattutto in termini di valore aggiunto (cultura, immagine, stili di vita, ecc.); giova ai collaboratori che sono più soddisfatti, ritenendosi riconosciuti e quindi maggiormente motivati; ha evidenza in termini di engagement e responsabilità sociale; produce qualità nel rapporto con il cliente e influisce direttamente sulla soddisfazione dei clienti. (2004)

PS
Ho ritrovato su alcune vecchie agende delle annotazioni che trovo ancora interessanti; brevi riflessioni, credo non banali rispetto al tempo in cui le ho scritte. Si tratta di idee e spunti che ho utilizzato per i miei interventi.
Ne ho scelto cinquantadue, risalenti agli anni 2002, 2003 e 2004, con l’intenzione di proporre un motivo di ispirazione settimanale per il corso dell’anno.
Questa è la n. 47: Quando il rapporto “stride” non sempre è colpa dell’altro (2004)

Cambiamento, un bene durevole

La nostra non è la prima epoca che ha attraversato un periodo di grandi trasformazioni e di sfide drammatiche. Nulla è permanente tranne il cambiamento, diceva Eraclito di Efeso. Il fatto che le crisi avvengano e le persone riescano a superare tali momenti, vuol dire che gli uomini e le donne, in realtà sono capaci di far fronte alle condizioni critiche e sono anche capaci di apprendere dalle loro esperienze.

Costa certamente molta fatica gestire i problemi d’adattamento che accompagnano ogni processo di cambiamento. Soprattutto perché, ogni volta, è richiesto un nuovo modo di porci in situazione e una maggiore preparazione (o comunque una preparazione diversa) rispetto al passato.

In questa prospettiva, si manifesta anche la necessità di immaginare uno spazio in cui le persone possono fermarsi un momento per riflettere e ri- conoscersi, un luogo d’incontro e di rispecchiamento. Una opportunità per evitare d’essere o sentirsi “sbalzati fuori” o di diventare drop-out perché nel proprio carattere qualcosa non ha retto “alla velocità del sistema”.

Allora, i rapporti interpersonali, il clima relazionale ed organizzativo, il ruolo dell’emotività e della passione, rappresentano alcuni degli elementi fondamentali costituenti le condizioni favorevoli per “fare gruppo”, capaci di scaldare i cuori e le menti delle persone e delle organizzazioni.

Non basta mettere in atto una valida idea per renderla realtà operativa e nemmeno è sufficiente che il capo la comprenda perché i collaboratori la mettano in pratica.

Ascoltando le esperienze di dirigenti, manager di linea, responsabili del personale, mi capita di cogliere nelle loro parole una certa difficoltà che spesso si traduce in una aspettativa che pone molto bene in evidenza la funzione del marketing interno. Parlo della necessità di realizzare le condizioni per porsi in relazione efficacemente, avere facile accessibilità al cuore delle persone, avere la possibilità di esercitare l’autorevolezza e l’autorità necessarie e proporre un ascolto adeguato e accogliente i punti di vista dei collaboratori. È un’attesa nuova e non deve sorprenderci. Essa emerge abbastanza chiaramente e riguarda un bisogno di esercitare il proprio potere personale per gestire al meglio le relazioni ed aspettarsi che i propri interlocutori facciano altrettanto.

La tecnica o le tecniche in questo caso non sono sufficienti. Ecco perché diventa legittima una “psicologia” delle risorse umane, in termini di opportunità di lettura, di messa a fuoco, per trovare il bandolo della matassa e avviare un processo di crescita a partire da una situazione di criticità. Una “psicologia” intesa come capacità relazionale, in grado di comprendere il funzionamento delle persone, che utilizzando opportune chiavi di accesso permetta a ciascuno di aprire la porta al suo tesoro di professionalità e valori umani, per definire meglio il suo percorso di crescita e la sua occupabilità. Investendo allo stesso tempo intelligenza ed autonomia, per riuscire a colmare il divario tra le aspettative del management e quelle delle singole persone.

PS
Ho ritrovato su alcune vecchie agende delle annotazioni che trovo ancora interessanti; brevi riflessioni, credo non banali rispetto al tempo in cui le ho scritte. Si tratta di idee e spunti che ho utilizzato per i miei interventi.
Ne ho scelto cinquantadue, risalenti agli anni 2002, 2003 e 2004, con l’intenzione di proporre un motivo di ispirazione settimanale per il corso dell’anno.
Questa è la n. 46: Cambiamento, un bene durevole (2002)