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Posizione schizo-paranoide e vegetoterapia

Il rivoluzionario apporto di Melanie Klein al pensiero psicoanalitico freudiano, fu di ritenere che il bambino, fin dalla nascita, è capace di relazioni oggettuali e che la relazione madre-bambino è fondamentale per lo sviluppo dell’individuo.

Il neonato che già alla nascita possiede un Io, sebbene rudimentale e non organizzato, reagisce attivamente al mondo che lo circonda. L’Io parziale ma in evoluzione costante, all’inizio della vita sa relazionarsi solo in modo “parziale” con l’oggetto che anch’esso è parziale (l’oggetto è l’Altro cioè la madre).

Solo più tardi l’Io integrato potrà avere una relazione “totale” con un Oggetto Intero. Nei primi tre-quattro mesi di vita, il bambino entra in relazione soltanto con parti del corpo della madre (l’oggetto mamma “parziale”) principalmente il seno, anche quando è allattato con il biberon ma anche gli occhi, la bocca, il volto di sua madre. Egli percepisce questa frammentarietà del corpo materno quasi come un tutto unico con se stesso; le parti corporee materne sono scarsamente differenziate dal suo corpo. Il suo Io immaturo entra in relazione con il seno della madre perchè ha bisogno non solo di nutrimento ma di gratifiche.

Il suo mondo totale è, per usare una espressione illuminante di Matte Blanco, quella “immensa senità” dove la mammella, gli occhi, il volto della madre, diventano per lui l’immagine speculare. Amando se stesso ama loro (l’energia è investita principalmente sul Sé, per questa ragione è una relazione parziale).

A sei-sette mesi la libido sarà investita non più sul Sé ma sull’Altro; l’Io organizzato, anche se non è certo l’Io di un bimbo di due anni o quello di un’adulto, è in grado di riconoscere l’Altro (la madre) come oggetto intero al di fuori di sé e di relazionarsi amorosamente.

La Klein usò il termine “posizione” dopo aver scoperto dall’osservazione del comportamento di pazienti bambini che i primi mesi di vita del neonato erano caratterizzati da conflitti mentali che si differenziavano secondo l’evolversi dell’Io nella sua relazione con l’oggetto parziale o con l’oggetto intero. Così caratterizzò il primo anno di vita del bambino in due momenti specifici e peculiari che chiamò “posizione schizo-paranoide” e “posizione depressiva”.

Il termine “posizione” rende meglio l’aspetto “qualitativo” del rapporto oggettuale a differenza del termine freudiano “fase” (orale, anale, fallica) che definendo di più l’aspetto evolutivo ne mette in risalto il contenuto narcisistico (in pratica per Freud il bambino solo a due anni può avere un rapporto oggettuale; prima, narcisisticamente l’oggetto d’amore è il suo Io).

Donald Melzer ha rilevato che le posizioni schizo-paranoide e depressiva sono i principi economici delle relazioni di oggetto. La posizione schizo-paranoide e un Sistema di Valori in cui il benessere, la sicurezza ed il piacere del Sé sono prevalenti, mentre la posizione depressiva è un Sistema di Valori in cui la sicurezza, il benessere e la felicità degli oggetti sono la preoccupazione principale. Quindi posizioni come sistema di valori che definiscono lo sviluppo dell’Io perché si differenziano per la qualità dell’amore oggettuale.

Melanie Klein ha condiviso interamente la teoria freudiana della dualità degli istinti: l’istinto di vita e l’istinto di morte che si concretizzano nelle pulsioni d’amore e sadiche, agite e fantasmaticate dall’Io del bambino fin dalla nascita.

Nella posizione schizo-paranoide poiché l’Io del bambino non è ancora organizzato, l’istinto di morte domina soprattutto la relazione con l’oggetto parziale manifestandosi con processi psichici di scissione (da qui il termine schizoide) e di proiezione (paranoide). Per la Klein è funzionale all’evoluzione psichica del bambino che egli operi la scissione (creandosi dei fantasmi) tra una mammella buona, sulla quale proiettare le parti buone del Sé (libido-amore), ed una mammella cattiva, che gli si rifiuta, perché egli vi proietti la propria distruttività (istinto di morte).

Più il bambino è gratificato dal rapporto con la madre e meno l’istinto di morte fa sentire i suoi effetti nefasti anche contro la mammella buona che, inesauribile nella sua bontà può essere oggetto d’invidia precoce. Se il rapporto con la madre è buono, il bambino entrerà facilmente nella “posizione depressiva” dove grazie a sentimenti di gratitudine e bontà, gli è possibile neutralizzare l’istinto di morte e stabilire una relazione d’amore con l’Altro. Se invece il rapporto con la madre è stato precario o carente, quand’anche il bambino abbia superato la posizione schizo-paranoide (se non la supera, da adulto sarà probabilmente schizofrenico o comunque psicotico) l’istinto di morte non sufficientemente neutralizzato agirà anche nella posizione depressiva con ritorni patologici e processi di scissione e proiezione e con attacchi di invidia distruttiva dell’oggetto buono.

Ovviamente non è possibile sintetizzare le felici interpretazioni della Klein in così breve spazio per cui rimando i lettori all’ottimo libro di Hanna Segal.

Lavorando sull’energia bloccata dei sette livelli muscolari individuati da Reich, con la vegetoterapia noi ripercorriamo quel cammino faticoso dei nostri primi mesi di vita per “entrare” nella “posizione depressiva” che “continua” tutta la vita e in cui, come ha sottolineato Melzer dovremmo “penetrare” perchè solo così c’è la possibilità di una relazione d’amore oggettuale.

Quando un individuo ha un grosso blocco al collo, al torace o al diaframma egli è caratterialmente un fallico narcisista o un coatto anche se ha superato la posizione schizo-paranoide (non riteniamo che esista un “carattere” psicotico), perché il carattere si forma comunque nella posizione depressiva.

Il rapporto con l’Altro però viene inficiato dalla gelosia, dall’avidità, dal disprezzo, dal dominio e le sue “riparazioni” all’oggetto aggredito (con probabili oscillazioni alla posizione schizo-paranoide) sono “restitutive” o “false” cioè maniacali secondo l’interpretazione della Klein.

Noi vegetoterapeuti riteniamo che le riparazioni maniacali siano, a livello energetico, il “contatto sostitutivo” che è ovvio non può essere contatto d’amore, in quanto mancano i sentimenti di gratitudine ed esiste l’incapacità ad identificarsi amorosamente.

Ci possiamo avvicinare al “carattere genitale” che è il carattere dell’uomo vitale egosintonico, nel momento in cui esiste per noi la possibilità dell’identificazione amorosa con l’Altro che si realizza attraverso sentimenti di gratitudine e nella salvaguardia dell’oggetto d’amore. Solo in questo modo si riduce il contatto sostitutivo per creare un “campo energetico” con l’Altro.

Per quanto riguarda la posizione schizo-paranoide e del come il bambino è “costretto a viverla” noi reichiani non siamo d’accordo sulla causa genetica dell’istinto di morte.

Il paziente che esegue gli actings relativi ai primi tre livelli muscolari (l: orecchi, naso, occhi; 2: bocca; 3: collo) regredisce attraverso gli esercizi fino a quel vissuto che la Klein ha chiamato posizione schizo-paranoide. Dalle reazioni del soggetto (pianto e rabbia), dalle associazioni che verbalizza alla fine dell’acting, dal tipo di transfert che viene a stabilirsi col terapeuta e dai sogni peculiari della mobilizzazione dell’energia dei tre primi livelli, noi rinveniamo regolarmente i processi di scissione e proiezione, meccanismi psichici difensivi della posizione schizo-paranoide. Può capitare che nelle sedute relative al lavoro sui livelli occhi-bocca il paziente decida di lasciare la terapia.

La “fuga” dal terapeuta avviene in genere quando si passa praticamente al livello del collo. Allorché si mobilizza la energia del collo si riblocca temporaneamente la bocca; il paziente può diventare estremamente invidioso del terapeuta con una dinamica di comportamento connessa alla posizione schizo-paranoide. Allo stesso momento possiede tutte le difese maniacali della posizione depressiva che non sono sufficienti a restaurare l’oggetto (il terapeuta) attaccato distruttivamente.

Un mio paziente, che non conosce affatto la Klein e spesso scoreggiava durante gli actings sui primi tre livelli, un giorno mi disse che temeva di farsela addosso e che aveva paura di “sporcarmi” con la sua energia negativa. Quando gli domandai a cosa associava in quel momento la sua energia negativa disse – la cacca -. L’oscillazione continua verso la posizione precedente fa desiderare al paziente di interrompere la terapia; spesso anche con la paura cosciente di non sapere arginare la propria distruttività.

Ecco perché, pur procedendo sugli altri quattro livelli (quelli, per intenderci, relativi alla posizione depressiva kleiniana), torniamo continuamente fino alla fine della terapia, a lavorare sui primi tre livelli.

È  mia intenzione approfondire in un altro momento le analogie esistenti tra la pratica psicoanalitica kleiniana e una metodologia incentrata sul corpo come la vegetoterapia.

Il neonato è “costretto” a vivere la posizione schizoparanoide non a causa di un istinto di morte innato ma, semplicemente, perché non esiste al mondo una madre senza la propria corazza caratteriale e muscolare. Quando la corazza materna è flessibile, non troppo rigida, e la madre non è una “fallica” o una “coatta” può spesso mettersi in contatto piacevole con il proprio bambino, creando con lui un “campo energetico” di simbiosi amorosa. Ciò è possibile quando la madre può esprimere attraverso il calore della propria pelle, la morbidezza dei muscoli, la dolcezza dello sguardo, il tono di voce, la sua disponibilità.

Il bambino non può creare fantasmi senza un minimo supporto di una realtà anche se deformata. Come può costruire immagini fantasmatiche di attacchi invidiosi e distruttivi all’oggetto buono se percepisce che la mammella-madre è in espansione con lui e insieme a lui è capace di gratificarsi? Una donna (come è nella maggioranza dei casi) che non ha mai recepito il proprio seno ed il capezzolo come zone erogene, può “godere” dell’allattamento insieme al suo bambino? Può offrirgli un seno caldo ed erogeno? Forse in queste condizioni l’allattamento diventa soltanto fine a se stesso.

Voglio ipotizzare, e non temo l’accusa di misticismo o di fantascienza, che il bambino nato da un concepimento di piacere autentico, di vero contatto d’amore, con una vita intrauterina serena, grazie al suo potenziale energetico altissimo, potrebbe relazionarsi subito con l’oggetto-madre intero Senza processi di scissione e proiezione. Ma si scontra, ancor prima di nascere con la corazza umana! D’altra parte quante madri vivono il loro bambino, alla nascita, come oggetto intero, come Persona diversa da loro, come piccolo uomo individuo? Quando egli non è un prolungamento inconscio di se stesse e del loro corpo, e spesso, un sostituto parentale inconscio del passato, o il surrogato di una carenza del loro presente . La “corazza” impedisce loro di mettersi sino in fondo in sintonia con il bambino e di permettergli un vivere autonomo.

La vegetoterapia quando è applicata alle gestanti e alle nuove madri ha lo scopo di migliorare la relazione madre-bambino. Una madre ansiosa che, a sua volta, non ha potuto avere quel contatto bambino-mamma necessario, non può mettersi in contatto vero con quell’esserino che, pieno di vita, reclama amore totale.

Sarà ancor più difficoltoso il “contatto” per quella madre che nella sua quotidianità continua ad avere carenza di contatto. Pensiamo per esempio a quella donna che non può scambiare delle tenerezze con il proprio partner, che ha un rapporto sessuale frettoloso e senza dolcezza o che non desidera l’amplesso perché rifiuta inconsciamente la propria genitalità.

Nella gestante quell’esserino che cresce in lei forse è come un radar che tutto coglie e assorbe. Ci piace immaginare che la vita intrauterina sia felice, senza bisogni, quando vediamo quell’esserino succhiarsi il pollice o accarezzare il cordone ombelicale. Lui però è in contatto diretto col corpo della madre, in simbiosi totale ed è possibile quindi che “senta” e percepisca la serenità o il nervosismo di lei.

L’utero contratto di una gestante ansiosa sarà allora la prima culla del bambino. Seguirà poi una nascita traumatica, così come avviene nella maggioranza delle nostre maternità, con giorni di solitudine profonda, in cui sarà necessario per lui, forse per la sua sopravvivenza, creare immagini fantasmatiche.

II fantasma di una mammella cattiva responsabile della solitudine e dell’angoscia e quello di una mammella buona che elargisce benessere e felicità. Immagini fantasmatiche difensive con funzione protettiva dalle reali deprivazioni che solo all’animale uomo è dato vivere.

L’esprimersi nella vegetoterapia carattere-analitica

A proposito del linguaggio e della comunicazione Wilhelm Reich nell’Analisi del carattere sottolinea che tutto il comportamento, che è in definitiva una serie di movimenti muscolari di un soggetto, è da ritenersi fondamentale in psicoterapia perché non è la parola o il gesto in se che esprimono la weltaunschaung, ma il come essi sono agiti e presentati al terapeuta.

Il privilegiare l’acting, che è peculiare della Scuola reichiana, nasce dall’indiscutibile considerazione dell’attuale allargamento dell’alone semantico della singola parola. La dicotomia cartesiana di res cogitans e res extensa si è risolta storicamente con una prevalenza della prima per cui oggi la parola, come dice Lowen, è spesso usata più per difendersi o per nascondere che per comunicare. Ma gia da tempo i buddisti dicono che la parola è una trappola !

Il terapeuta reichiano oltre a prestare ascolto è impegnato a recepire il come le cose sono dette ed a fare attenzione alla gestualità del soggetto allorché si esprime. Si comprende, pertanto, come sia importante la lettura degli actings proposti in vegetoterapia. Ad esempio il come il soggetto ruota la testa a destra e a sinistra dicendo: “no”, o il come batte i pugni sul lettino dicendo: “io”, ci rende edotti del come si comporta nella vita e quindi di certe sue istanze caratteriali che possono così essere analizzate.

Per noi è necessario che il soggetto senta, prima di comprendere, onde evitare Ia razionalizzazione, impedimento insuperabile al proseguo di una reale terapia. Facendo prendere coscienza al soggetto delle eventuali contraddizioni nell’esprimersi tra il dire e l’agire, induciamo un processo unitario che serve alla fusione psiche-soma, superandone la conflittualità.

Il solo linguaggio non è comunicazione, e la comunicazione si avvale di molteplici segnali.

Nel rapporto linguaggio e pensiero bisogna ricordare che il segno, da cui il segnale, è la premessa linguistica che, dopo la interiorizzazione da parte del bambino per crearsi il suo linguaggio interno, potrà realizzarsi come parola.

Allorché l’alone semantico si allarga compaiono i simboli che sono legati all’ambiente socio-culturale e, per tanto, equivoci. Nella terapia reichiana dove l’interpretazione è ridotta all’essenziale anche per evitare che un’interpretazione soggettiva del terapeuta lo faccia involontariamente essere direttivo, si procede con una spiegazione storicamente valevole

Nella metodologia della vegetoterapia carattero-analitica, da me messa a punto, riteniamo fondamentale per l’analisi delle abreazioni del soggetto in terapia, distinguere due momenti: un primo allorchè, avendo il soggetto eseguito un acting, gli si chiedono le sensazioni provate, per domandare poi l’associazione storica di esse (e ciò è un rivissuto emozionale catartico), ed un secondo che segue subito il precedente che consiste nel chiedere “cosa è passato per la testa” durante l’acting, per poter poi proporre nuovamente la libera associazione. La tecnica è di derivazione freudiana, ma l’analisi dei contenuti espressi in una certa forma, varia da soggetto a soggetto.

Tale analisi, in generale, non ha bisogno di interpretazione simbolica poiché è legata a situazioni esistenziali emotivamente, quindi affettivamente, e quindi biologicamente, vissute ed inscritte nella gestualità o nel comportamento del soggetto stesso.

Lo strumento della psicoterapia verbale è la parola, ma come è possibile analizzare il vissuto del periodo preverbale di un soggetto? Fino al momento dell’uso del linguaggio ogni individuo ha avuto una vita affettiva-emotiva!

Sartre parlava delle emozioni pure ed aveva ragione. Al periodo prelinguisrico della lallazione e der préverbiage, segue, come momento iniziale della fase della verbalizzazione, il periodo definito da Pichon locutoire, poi delocutif, per arrivare al linguaggio socializzato di Piaget.

Ebbene, è necessario ricordare che imparando a parlare il bambino impara a pensare e quindi realizza le sue potenzialità intellettive.

Una psicoterapia teorizzata e teorizzante per noi non ha senso. I risultati di una tale terapia sono relativi e spesso temporanei: il carattere di base del soggetto non cambia. L’entrata in funzione, quindi, dell’intelligenza, del comprendere, avviene molto tempo dopo la nascita e la nevrosi o la psicosi è sempre una manifestazione affettiva cioè emotiva. Il nevrotico o lo psicotico non sono di certo frenastenici !

Per la scuola reichiana il risentire, e quindi poi il comprendere, certe emozioni arcaiche è la possibilità di far luce sulla prima parte della vita umana quando cioè si ha avuto il primo contatto, la prima comunicazione con la realtà.

Diceva Reich, che a volte una seduta può svolgersi anche senza parlare e ciò perché, come ultima considerazione, in psicoterapia si dovrebbe auspicare che il soggetto divenga capace di ritrovare attraverso le sensazioni e le emozioni, il contatto e la comunicazione con se stesso. Se riusciamo a parlare, con la mediazione del terapeuta, con noi stessi e ad essere poi capaci di ascoltarci e di ascoltare (sentire) la nostra caratterialità immatura, che  ci accomuna, ne avrà un enorme giovamento tutta la nostra esistenza.

 

Una psicologia per tutti

ANALISI DEL CONTESTO

Superati i tabù sul ricorso alla psicoterapia come cura di un disagio mentale grave e per questo passibile di vergogna, ogni individuo avverte la necessità di “curare la propria anima”, di attuare un percorso finalizzato all’auto consapevolezza, a un maggior benessere psicofisico e soprattutto a una ritrovata gioia di vivere. Star bene con se stessi e con gli altri sono certamente degli obiettivi ambiziosi e faticosi da raggiungere, ma perseguibili con facilità proprio partendo dal presupposto che è un diritto dovere curare e confortare la propria anima. E dato che il benessere psicologico di ciascuno di noi dovrebbe essere considerato il nucleo fondamentale e indispensabile per una buona qualità della vita, ad esso dovrebbe essere conferito il giusto merito ed attribuito un adeguato valore. Pertanto chi si trova nella condizione di voler richiedere un supporto psicologico, ma non ha le possibilità economiche per conseguire tale obiettivo privatamente e deve purtroppo confrontarsi con liste d’attesa lunghissime per accedere ai servizi pubblici, va aiutato.

Non si può trascurare che, in tema di salute e qualità della vita, il lavoro (inteso in senso lato come investimento di energie personali per il conseguimento di un determinato fine) è innanzitutto fonte di riconoscimeto psicologico e quindi matrice identitaria.
Se proviamo a renderci conto che viviamo la maggior parte della nostra giornata al lavoro, non potremo nasconderci che oggi la qualità della nostra vita è rappresentata soprattutto dalla qualità della vita professionale; cioè dalla qualità del lavoro (sia quando c’è lavoro che quando non c’è).
Stiamo veramente vivendo una mutazione “genetica” nelle nostre condotte di lavoro. In alcune circostanze possiamo verificare una vera alterazione nei parametri qualitativi della nostra vita e sono presenti nuove disfunzioni che attualmente stanno affliggendo la salute delle persone. Da una parte vi sono problematiche di tipo “fisico”: disturbi molto spesso cronicizzati e in stretto rapporto con la fatica mentale e lo stress; dall’altra sono evidenti le problematiche di natura “animica” o “mentale”, derivanti da un non armonico rapporto con se stessi, i propri colleghi, i dipendenti, il lavoro e il ruolo. Si tratta di campanelli d’allarme che mostrano molto chiaramente la necessità di una riflessione sulla salute al lavoro nell’attuale clima di accresciuta competizione e di cambiamenti nei modelli di occupazione.

Con sempre maggiore frequenza oggi proviamo una certa inquietudine per le conseguenze di modelli organizzativi e di procedure di lavoro che sembrano aumentare soprattutto la gravosità dei carichi mentali. Alla richiesta di fare presto, meglio e a meno costi, le aziende e le organizzazioni sono costrette a introdurre nuove pratiche e procedure organizzative che comportano l’assunzione di compiti nuovi e più impegnativi per le persone che vi lavorano. Le difficoltà e i problemi nuovi, sono segnali che impongono di aggiornare i nostri strumenti professionali i quali, naturalmente, coinvolgono a vario livello specifiche competenze e professionalità.
Tutto ciò presuppone che venga posta una attenzione più marcata alla “socializzazione” della psicologia, che essa non resti solo appannaggio degli esperti, ma faccia parte delle competenze di base di ogni individuo: per la vita quotidiana, per il lavoro, per le relazioni che essa vorrà intessere.
Emerge la necessità di trasformare le disfunzioni e gli elementi critici emergenti in esperienze pro-positive, avviare interventi di formazione e di ricerca adeguati alle mutate condizioni. La psicologia e gli psicologi non sono esclusi in queste trasformazioni;
In futuro qualsiasi intervento di promozione della salute, qualsivoglia attività di prevenzione in fatto di salute, non potrà prescindere dalla cultura della psicologia
La psicologia ha davanti a sé una lunga strada di continua ricerca azione, un costante “cimento” che offrirà a ciascuno la opportunità di sentirsi al passo con le evoluzioni dei bisogni professionali autodiretti ed eterodiretti.

Si parla quotidianamente nei mass media di disagio ma sono poco diffuse le conoscenze su quanto si può fare e si fa per promuovere il benessere psicologico.
Una manifestazione per promuovere il benessere psicologico dovrà basarsi sulla convinzione, ormai diffusa, che il migliore modo di prevenire il malessere delle persone non è quello di intervenire direttamente su di esso, ma di perseguire iniziative volte a potenziare abilità fondamentali per l’adattamento nei diversi contesti di vita.
Le condizioni di autoefficacia in questo caso costituiscono gli indicatori più possibili di tali capacità e pertanto rappresentano importanti determinanti del benessere delle persone.
Occorre considerare le persone come agenti attivi del loro sviluppo, perché essi sono in grado di trarre vantaggio dalle relazioni con se stessi, gli altri, il lavoro, la famiglia, ecc.
Ciò che contraddistingue le convinzioni di autoefficacia delle donne e degli uomini è la loro specificità: tali convinzioni variano in relazione alle diverse aree del funzionamento umano ed in relazione ai diversi ambiti in cui si declina l’esperienza individuale.
Molti studi, anche nel contesto italiano, hanno sottolineato l’importanza del senso di autoefficacia, nelle sue diverse articolazioni relazionali, nel promuovere il benessere psicologico ed ostacolare le condizioni di rischio.
Lo psicologo è in grado di fornire suggerimenti di indirizzo e intervento, per agevolare nelle persone le abilità cognitive, emotive ed interpersonali indispensabili per il loro benessere.

OBIETTIVI

– Fornire informazioni sulla capacità professionale, la qualità degli interventi e la specificità della formazione degli psicologi e della psicologia

– Aiutare a riconoscere che le strategie proattive per agevolare il benessere psicologico, legato alla attività lavorativa, all’allevamento dei figli, ecc., possono avere un ruolo importante sulla collaborazione interna e l’aumento di partecipazione dei collaboratori.

– Contribuire ad eliminare i pregiudizi sul disagio psichico e facilitare lo scambio di buone pratiche per agevolare nelle persone abilità cognitive, emotive ed interpersonali indispensabili per il loro benessere.

– Rendere evidente che è sempre più necessario tener conto dei bisogni di donne e uomini, bambini, giovani e anziani, più esplicitamente e dichiaratamente psicologici

– Informare che lo psicologo oggi opera sempre più in contatto con il medico, il sociologo, l’assistente sociale, le istituzioni socio assistenziali, ecc., per affrontare in una prospettiva multidisciplinare i principali problemi che coinvolgono più o meno indirettamente la salute e il benessere delle persone in rapporto con la loro cittadinanza e la loro vita lavorativa.

CONTATTI:
Studio Dott. Vittorio Tripeni, 3470469694 tripeni@fastwebnet.it

Sulle ali della poesia. Opportunità d’uscita in due episodi panici

A volte mi faccio aiutare dalla poesia. Di solito in momenti particolarmente “critici”, in cui le parole, il pensiero logico, le considerazioni improntate alla ristrutturazione cognitiva, mostrano un loro limite, una loro debolezza. Quando, ad esempio, occorre legittimare ed attualizzare esperienze molto angosciose; come quelle situazioni in cui i vissuti ansiosi salgono dal basso, simili a un’onda che minaccia di offuscare la coscienza. Quando si sta male, ci si sente “ciechi” e “sordi” dalla paura ed allo stesso tempo non si riesce a mantenere un rapporto cosciente con la realtà.

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