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Il linguaggio emotivo delle mani

Il terzo livello descritto da Reich è quello che parte dal collo e comprende le spalle con le braccia e naturalmente le mani, si spinge sino alla linea mammillare e vi include anche la zona alta del torace.  La lingua e la parte profonda della gola, ove si articola la voce, sono anch’esse di questo livello che in chiave energetica è strettamente collegato al settimo: quello della pelvi e delle gambe.

Alcuni individui, grazie allo stretto collegamento tra collo e pelvi, possono apparire come ingabbiati fra due morse: in alto, la gola contratta e strozzata e in basso il bacino carico di energia; perchè le due “aperture” sono legate e non permettono all’energia di fluire liberamente.  Tale dinamica, delinea alcune espressioni della corazza caratteriale come il carattere masochista e quello coatto.  Vale a dire quei soggetti che emotivamente bloccati, sono incapaci di percepire vegetativamente le mani, si muovono “con le gambe, senza sentimento” perchè non possono sentire ed esprimere il contatto e il vero amore.  Nel lavoro sono carichi di odio represso e invidia e tutto questo favorisce la messa in atto della formazione reattiva.

Ricordo, per coloro ai quali questo termine è nuovo, che la formazione reattiva è un meccanismo psichico inconscio in cui all’interno della corazza caratteriale gli impulsi di rifiuto o di odio o di distruttività vengono trasformati esattamente nel loro opposto.

Cito l’esempio di una moglie che può sembrare dolcissima e iper-protettiva con il marito per nascondere rancore e ostilità.  Oppure di colui che nell’attività lavorativa può apparire superattivo, zelante e al limite anche servile, per mascherare inconsapevolmente gli impulsi di odio feroce.  C’è da aggiungere che in una società come l’attuale la maggioranza degli individui cosi detti normali, dall’artigiano, all’operaio, al professionista, mette in atto nel proprio lavoro la formazione reattiva.  La gratificazione cioè non deriva dall’esplicarsi dell’azione ma dal giudizio che altri daranno di essa, dal successo o dal denaro che l’azione produrrà.

Il lavoro, di conseguenza, non viene inteso come piacere di fare e agire, di realizzazione individuale e sociale. Già nella Genesi il lavoro è inteso come punizione ed è in questo senso che sono fioriti i tanti proverbi e luoghi comuni. Espressioni popolari che derivano dal bagaglio inconscio dei bisogni, delle frustrazioni e dei loro impulsi nevrotici, non dalla sfera emotiva funzionale. Impulsi e bisogni che necessitano della formazione reattiva per essere tenuti a freno.

Le mani, dunque, sono collegate al collo che è punto di transizione tra la sensorialità del corpo e la elaborazione della coscienza; per questa ragione un collo libero dovrebbe essere un ponte tra genitalità e capacita funzionale del nostro pensiero fortemente vincolati in chiave emotiva-energetica.

È  da notare come i bambini psicotici, nel rappresentare la figura umana, generalmente disegnino persone con colli molto lunghi, così da mettere più “spazio” tra le sensazioni corporee e la capacità di percepirle.

Ciò che mi colpisce è quanto siano importanti le mani per ogni essere umano.  Servono per “toccare” l’Altro e il mondo, per l’attività lavorativa che dovrebbe occupare con piacere una larga fetta dello spazio sociale; sono dunque così vitali che l’uomo sa usarle ancor prima di nascere.

È  sorprendente vedere, tramite una ecografia, come il feto usi le mani: per succhiare il pollice, per toccare le pareti dell’utero o per afferrare le particelle nel liquido amniotico e portarsele alla bocca.

Una domanda senza risposta è: perchè il feto fa questo, dal momento che alla nascita lo avrà dimenticato? Perchè il neonato è in un certo senso “costretto” ad apprendere l’uso delle mani, quando nella vita fetale questa capacita esisteva? È  un quesito affascinante, al quale vorrei dare una mia risposta personale in un prossimo articolo.

L’uso delle mani, rappresenta per il neonato l’interazione con l’Altro ed è strettamente in rapporto con l’uso della bocca. Il bambino tocca il seno della madre mentre succhia e si porta “il mondo alla bocca”, perchè ogni cosa che percepisce con la lingua fa parte della indagine conoscitiva sull’esterno.  Le mani sono altresì oggetti transizionali, che in assenza della madre-oggetto assumono il compito di sostituirla. Il bambino in mancanza del capezzolo succhia il pollice e in questo modo la mano riveste la funzione dell’oggetto transizionale perchè consola il piccolo dalla sua solitudine.  Più tardi potrà essere un orsetto di pelouche da portarsi a letto ad esplicare le stesse funzioni.  Mani consolatrici e strumento di conoscenza, che nella vita adulta dovrebbero esercitare la mediazione tra la coscienza e la conoscenza, se non emergesse la corazza caratteriale-muscolare, con conseguente blocco più o meno intenso al terzo livello.

Le mani, come le gambe che costituiscono le propaggini del nostro corpo, rappresentano in modo palese la nostra capacità di amare, di muoverci verso il mondo in direzione dell’Altro che è fuori di noi.  Se non sono contratte, se sono vive ed energetiche possono stabilire il contatto con il mondo perchè le mani toccano il mondo come lo toccano i piedi appoggiati in terra e agiscono nel mondo attraverso l’attività lavorativa, come le gambe che si muovono nel camminare.

Le membra agiscono quindi per il mondo e verso il mondo, ed in senso funzionale per la vita.  Molto spesso però, “emotivamente” le gambe si muovono con difficoltà ed “emotivamente” le mani non sanno cosa fare.  Tanta gente spesso si domanda perché sia al mondo, perché vive, che cosa dovrebbero fare… e parecchi finiscono per fare mille cose senza alcun piacere o senza riuscire a portarne a termine una sola; ma sappiamo che il blocco al collo rappresenta il narcisismo e può provocare il blocco affettivo che è eterna insoddisfazione di tutto e di tutti e senso di inutilità.

Così il narcisismo secondario può spingere l’uomo ad una corsa affannosa al successo ed al denaro; ma può anche, inibendo “emotivamente” gambe e mani, indurlo a restare “fermo” e chiedersi che cosa deve fare e perché mai è al mondo.

La formazione reattiva alle volte viene messa in atto direttamente attraverso l’uso che si fa delle mani.  Alcuni individui, con una paura estrema del contatto e di conseguenza incapace di usare le mani, per “aprirsi al mondo” che non vogliono inconsciamente toccare, scelgono delle attività in cui è indispensabile una notevole destrezza manuale. Molti li possiamo ritrovare tra i filatelici, i tagliatori di pietre preziose, gli archeologi o i restauratori d’arte.  Freud definì ciò sublimazione e tale dovrebbe essere, se fosse veramente energia sublimata, ma purtroppo spesso è formazione reattiva perchè alla base di quelle scelte esiste una incapacità di amare non solo l’Altro, il mondo ma anche lo stesso lavoro eseguito con tanto scrupolo.

Ricordo un episodio che può meglio chiarire le mie asserzioni.  Un giorno scoprii che il massaggiatore professionista, cieco dalla nascita, dal quale mi recavo, si lavava a lungo le mani dopo ogni massaggio e non usava assolutamente creme e unguenti per il suo lavoro.

Una volta deliberatamente portai con me dell’olio di arnica affinché lo usasse per massaggiarmi. Fece una espressione disgustata dicendo che creme ed olii da massaggio non li sopportava e che piuttosto rinunciava a lavorare se qualcuno li avesse pretesi.  Così lo guardai con attenzione ripetere il lungo lavarsi delle mani che mi apparve senza più incertezze come un rituale ossessivo. Il massaggiatore forse a causa della sua infermità aveva scelto, mettendo in atto il meccanismo inconscio della formazione reattiva, proprio ciò che mai avrebbe voluto fare, toccare un corpo nudo.

Il rifiuto del contatto della pelle altrui in seguito assumendo carattere di fobia si era “spostato” sulle creme e sugli unguenti che simbolicamente rappresentavano il corpo umano vissuto dal suo inconscio come viscido e scivoloso.  La fobia è infatti lo spostamento di un sentimento, come la paura e il rifiuto, legato ad un oggetto interno, (il corpo nudo) su un altro oggetto (creme e unguenti) che per quanto riguarda il conscio dell’individuo non assolutamente in relazione con l’oggetto originario.

Non a caso la fobia del contatto che determina l’incapacità di amare e di provare piacere nell’attività lavorativa spesso si esprime con la necessita ossessiva di lavarsi ripetutamente le mani.

Gli psicotici fanno cattivo uso delle mani come d’altra parte delle loro gambe e non si tratta solo di una incapacità motoria.  Non hanno pieno contatto con i loro piedi sul terreno e si muovono spesso come automi; d’altro canto “non toccano” con le loro mani perchè lo fanno in modo stereotipato.

Un ragazzo psicotico già abbastanza inserito nel sociale, con una sua vita autonoma propria, era solito servirsi del manico di una qualsiasi posata per grattare ogni parte del suo corpo.  Camminando, le sue gambe apparivano contratte e rigide e appoggiava il piede solo sul tallone riuscendo in tal modo a deformare tutte le scarpe che in breve tempo assumevano la forma di quelle turche, con la punta all’insù. Il suo graduale progresso in psicoterapia è stato sottolineato sia dall’uso più funzionale delle mani che dal modo di calzare le scarpe.

Un bambino dell’età di quattro anni, molto disturbato anche se non autistico, camminava sempre sulla punta dei piedi tenendo le braccine all’indietro come fossero alucce. Era un bimbo che in effetti voleva “spiccare il volo” verso la regressione autistica ed il suo modo di procedere lo denunciava.

A parte i casi clinici rilevanti, ci sarebbe da chiedersi quanti nevrotici camminano in modo funzionale e sanno usare le mani altrettanto funzionalmente.  Se le nostre membra rappresentano il procedere verso il mondo, l’apertura ad esso e la capacità di amare, come possono funzionare da un punto di vista energetico se la conoscenza e l’amore sono così miseramente ridotti oggi sulla terra?

Negli actings di Vegetoterapia spesso le mani si muovono con difficoltà e può capitare che si blocchino in seguito a crampi intensi e diffusi che spaventano il paziente non ancora abituato a percepire la vita che scorre nelle sue mani.  Egli le guarda stendendole in alto sopra di lui e può non sentirle, non riconoscerle, trovarle brutte, staccate dal resto del corpo oppure senza vita.

Nell’acting del No o dell’Io in cui a braccia tese si fanno i pugni e si battono sul lettino, le mani parlano il loro proprio linguaggio in modo palese.  Quando un paziente nel battere i pugni controlla la caduta delle braccia, o il suo pugno rimbalza sul materasso come una palla, oppure dopo averlo battuto non indugia neanche un attimo e riporta immediatamente le braccia in alto, le sue braccia e le sue mani dicono che il suo No non è reale perchè egli ha ancora necessità di sentirsi dipendente dai propri fantasmi.  La sua autonomia è fiacca ed egli si attacca alla zattera della sua nevrosi che sebbene scomoda lo aiuta a giustificarsi e a commiserarsi.

Immaginiamo che per affermare simbolicamente la mia dignità di essere umano debba battere con un pugno il piano di un tavolo e dire No oppure Io.  La mia mano a pugno, se realmente sono determinata, è costretta ad indugiare, anche solo per un secondo, sul tavolo per sentenziare con la sua immobilità e forza il diritto alla vita!

Se un paziente dicendo Io batte il pugno con il pollice infilato e stretto tra le dita, le sue mani dimostrano che quel pugno non è di un adulto ma è quello di un neonato. Il suo Io stenta ad affermarsi e lo fanno vedere anche le braccia che in genere durante l’acting ruotano su se stesse

cosicchè il soggetto batte inconsapevolmente i pugni picchiando con le nocche anzichè con il bordo della mano; proprio come potrebbe fare un bambino molto arrabbiato di cinque o sei anni.

Ad un paziente che batteva i pugni tenendo il pollice teso verso 1’esterno quasi fosse dissociato dalle altre dita, gli feci notare, dopo ripetute volte, come non fossero veritieri quei pugni che mostrava.  Allora si ricordò quando da piccolo alcuni suoi compagni lo avevano picchiato e lui non fosse stato capace di contraccambiare quei pugni nemmeno per difendersi.  In casa sua l’aggressività come l’amore mai trasparivano dai componenti della famiglia e a lui erano richiesti soprattutto passività ed ubbidienza.  Così nella quotidianità della sua vita esprimeva quella ribellione antica ad una non motivata ubbidienza in modo reattiva e spropositata.  Quando si arrabbiava anche solo per delle inezie gli fuoriusciva dalla gola contratta una voce soffocata e stridula.  Se abbracciava qualcuno lo faceva in modo stereotipato magari dando delle pacche sulle spalle che palesavano quella sua aggressività repressa.  Avvicinando il suo volto ad un altro per baciarlo, il bacio schioccava nel vuoto come a dire che “baciava l’aria” oppure si limitava a porgere la guancia come fanno purtroppo tante persone che fingono di baciare.  La grande difficoltà di contatto e il totale disinteresse per l’Altro in lui si evidenziavano nell’andatura pesante, quasi animalesca, dove la fisicità della massa corporea sembrava semplicemente “spostarsi” e non “muoversi” nello spazio per andare incontro al mondo.

Le sue mani pur essendo belle e compatte erano senza vita, incapaci del minimo lavoro manuale e sul lettino dello studio si appoggiavano appena sul bordo esteriore del dorso invece di aderire al materasso.  Dopo gli actings agitava le dita rigide in modo stereotipato lamentando il bisogno di muoverle.  Da sempre cercava un’attività lavorativa soddisfacente.

I pazienti che hanno notevoli difficoltà di contatto in generale non possono appoggiare il palmo della mano sul materasso durante gli actings di  vegetoterapia  o  perchè  le dita s’ attanagliano al lettino o perché le unghie vogliono graffiare il lenzuolo o ancora  perchè  le mani  si  reggono
sui polpastrelli.

Il paziente di solito non si rende conto che spesso la sua mano sollevandosi si appoggia solo sul mignolo oppure è l’indice e il medio che sollevandosi restano in quella posizione anche per l’intera durata dell’acting.

È  sorprendente scoprire che con la mobilizzazione del collo e del torace, impostando quindi un nuovo modo di interagire, il paziente sappia poi abbandonare spontaneamente le sue mani che alla fine aderiscono distese sul materassino.

Questa incapacità di aderire (il soggetto per distendere le mani è costretto a contrarre le braccia) che in vegetoterapia manifesta difficoltà di contatto, trova spesso un suo riscontro nella insoddisfazione dell’attività lavorativa.

Atonia, che appare sempre indecisa e indifferente, per fare aderire le mani al materasso opera una contorsione delle braccia che risultano cosi appoggiate sul dorso anzichè all’interno come se dovesse ricevere una endovenosa.  Alle volte mi guarda come incantata sbarrando gli occhi. Il suo sguardo assume allora una espressione timorosa ma nel contempo vuota e assente.  In genere questo suo modo di guardarmi accade perchè non sa che cosa fare, come se nella sua attività lavorativa dovesse sempre prendere una decisione.  Molto spesso mi chiede cosa fare.  L’indecisione ma soprattutto la diffidenza riescono a rovinare anche quei momenti del suo lavoro e della sfera affettiva che potrebbero essere piacevoli e sereni.

Gabriella appoggia il braccio sul gomito e la mano sui polpastrelli come se premesse con forza sul materasso; mi parla in seduta sempre del suo partner e qualche volta dei suoi genitori.  Fa l’insegnante elementare ma questo lavoro sebbene riempia gran spazio della sua vita non emerge mai nella verbalizzazione. Gabriella si è scissa in due, una che va a scuola e che non comunica alle altre colleghe nulla che riguardi la sua vita privata e l’altra che viene da me e mi parla “soltanto” della sua vita intima.  Non riesce a stabilire un contatto autentico e gratificante sia nel suo lavoro che nella sua vita affettiva.

Le sue mani che comprimono ma non aderiscono lo denunciano chiaramente.  Preme e spinge in un’unica direzione in modo masochistico sul lettino dello studio (è la determinazione ad avere quel partner a tutti i costi) e punta le mani come quel giorno ormai lontano in cui avrebbe voluto puntare i piedi per ottenere l’affetto che oggi come allora non le viene offerto.

La carica libidica, unidirezionata, invadente, di tipo pregenitale, con cui vorrebbe investire l’oggetto e ottenere il contatto con il partner le torna indietro come un boomerang sotto forma di angoscia, caparbietà, insoddisfazione, senso di inutilità.

L’Amore che crede di possedere dentro di sé, che non può essere vegetativamente percepito, si traduce in un’ansia macroscopica da cui si sente travolta.

Voglio ora testimoniare come sappiano le mani comunicare il linguaggio emotive del nostro subconscio.

Osservando Pina mentre fissa a bocca aperta un punto luminoso sul soffitto vedo che la sua mano destra sta lentamente sollevandosi.  Pina se ne accorge e sbatte le palpebre inarcando le sopracciglia.  Ha fatto una cinquantina di sedute (due al mese), abbiamo iniziato il lavoro sul collo e sulle braccia ma, ogni tanto ritorno a questo acting per addolcirle la bocca che appare “caricata)” e rigida.  Non è una isterica, si dibatte al contrario tra un masochismo palese ed il suo fallico-narcisismo con tratti coatti che la riempiono di angoscia.

La paziente sbatte con forza la mano sul materasso continuando l’acting.  Ma la mano riprende a sollevarsi.  Manovra per tenerla ferma, non ci riesce.

Dico: – lascia fare alla mano ciò che vuole -. La mano si solleva sempre molto lentamente sino oltre il corpo disteso, mentre la sinistra è immobile.  Pina è visibilmente sconcertata.  Riabbassa la mano di colpo ma dopo un attimo quella sembra levitare. Dice  affannosamente:  –  non  controllo  più  la  mano…   –

E dopo un po’:ho perso il controllo della mano… come faccio? – La riabbassa sul lettino impetuosamente ma nel frattempo le faccio notare come invece riesca a controllarla.  Riprende l’acting ma dopo qualche minuto la mano torna a sollevarsi.  Sospira molto spaventata: ho paura, sei tu che I’attiri a te! –

Nella verbalizzazione dice che io sono una maga perchè con la mia energia attiro la sua mano e spesso le carpisco i pensieri, ma esce fuori la paura per gli schiaffi terribili che sino ad oltre trenta anni la madre autoritaria e despota le rifilava.  Emerge inoltre il ricordo di quando lei tornava a casa più tardi del previsto e restava chiusa fuori per ore ed ore anche se era notte, senza essere mai certa che quella porta si sarebbe aperta.  Questo succedeva quando all’età di otto o dieci anni indugiava fuori a giocare ma anche a trenta quando avrebbe dovuto avere una autonoma disponibilità del suo tempo.

Domando perchè dovrei attirare a me la sua mano destra. – Non so… – risponde pensierosa, – forse perchè sia buona. – Le faccio notare che non essendo mancina quella sua mano destra potrebbe picchiare, infatti per schiaffeggiare si usa la mano destra… Essendo poi io una “maga” so a priori la volontà di quella mano, so che vuole battermi come riflesso della madre, quindi “l’attiro” a me per neutralizzarla.

È  utile ricordare che l’acting eseguito da Pina, quello del punto luminoso, si riferisce principalmente al contatto primario con la madre.  Nelle sedute precedenti aveva già battuto i pugni sul materasso ma la figura materna con tutto il suo carico emotivo che ne sarebbe derivato non era mai comparsa.

Nel colloquio all’inizio della terapia mi aveva riferito con grande distacco e indifferenza il fatto che sua madre l’aveva sempre picchiata e che allo stesso tempo non aveva avuto dai genitori una benchè minima manifestazione di affetto.

Tutto ciò per confermare come il linguaggio delle mani, al di là dei gesti, esprima in modo palese e profondo il corpo dei sentimenti che solo all’uomo è dato di possedere.

 


  • Voglio precisare che la Vegetoterapia, quando considera il corpo umano a segmenti, lo fa esclusivamente in chiave metodologica poiché è implicito che ogni livello confluisca nell’altro e viceversa in quanto l’uomo è comunque sempre considerato nella sua totalità.

Il funzionalismo del collo

Il collo è terzo dei sette livelli o anelli descritti da Reich, esso con il I e il II fa parte dei livelli cosiddetti pregenitali. Possiamo riferire al collo la sede dell’istinto di conservazione: basta infatti immaginare qualcuno caduto in acqua che, irrigidendo il collo, tiene su la testa per respirare e sopravvivere. E’ quindi in esso che rappresentiamo l’istanza narcisistica primaria, cioè fisiologica, che motivazioni culturali, un certo tipo di educazione in primis, hanno oggi trasformato in istanza secondaria, cioè nevrotica.

Il livello del collo arriva in basso fino alla linea mammillare, il che significa che-esso comprende le spalle e la parte alta del torace. II blocco energetico di tale livello, più o meno pronunciato, interessa praticamente tutti; spesso, allorquando eccede la necessità difensiva, provoca un riflusso dell’energia verso l’alto interessando i primi due livelli e determinando comportamenti paranoici-paranoidei.

Va da sé che il blocco del collo determina una rigidità che si estende a tutta la colonna vertebrale caratterizzando così l’individuo rigido nella sua personalità. L’inadeguatezza del movimento del collo induce tale individuo a guardare solo in una direzione facendogli così perdere di vista il mondo circostante e creando situazioni “egoistiche”. Inconsciamente il concetto di vita viene condizionato dall’ambiente socioculturale alimentando l’ideale dell’Io (che in tale livello quindi risiede) e una condizione doveristica nei confronti del proprio ontogiudizio.

Ritengo pertanto che in chiave reichiana possiamo localizzare nel collo un primitivo Super-Io (l’altro è a livello bacino), responsabile dell’insoddisfazione di se stessi da parte di quei soggetti che desiderosi di andare sempre più in alto (allungamento e ulteriore irrigidimento del collo) sono pertanto ambiziosi, carrieristi e competitivi.

Un certo tipo di “educazione” ne è responsabile e l’antagonismo sportivo aggiunge il resto !

Va da sé che essi peccano di mancanza di umiltà. Non “sentono” i propri limiti e confondono l’orgoglio, la vanità e la fierezza con la dignità.

L’ansia di arrivare in alto; molto evidente in questi casi, crea, come giustamente fa osservare Legey, un legame tra narcisismo e masochismo (in chiave reichiana tra collo e diaframma). Il famoso complesso d’inferiorità è qui localizzato e nella nostra società consumistica fa privilegiare il potere alla potenza, da cui la corsa al potere e l’uso della violenza necessario a mantenerlo. Abbiamo allora i dogmatici, gli ideologi depositari di verità rivelata, pronti alla prevaricazione comune al fascismo rosso o nero, così come quei soggetti che volendo dimostrare con l’efficientismo a se stessi e agli altri il proprio potere (esibizionismo), si caricano sul collo e sulle spalle di tante responsabilità determinando quello che io definisco il complesso di Atlante. Si ritiene cioè di essere indispensabili più che necessari !

Il blocco del collo provoca una scissione tra la testa (cervello intellettuale, teoria) e il corpo viscerale (sentimento, prassi) per cui si è razionali ma non ragionevoli, si privilegia il ruolo e non la funzione esistenziale. Ci si lega così al ruolo per sopravvivere, ma sotto c’è il grottesco della condizione umana, e tale ancoraggio “serve” per credersi immortali e vivere per gli altri, ma non con gli altri, a discapito della vita affettiva.

Ritenendosi superiori, facilmente si disprezzano gli altri, si diffida di essi e, non sentendosi più far parte della natura (avendo bloccato le emozioni per non lasciarsi andare), si vive il ruolo contro la natura, sfruttando la natura e concorrendo di conseguenza senza scrupoli al disastro ecologico: la tecnologia è più importante della Scienza o dell’Arte. Privilegiando il ruolo ed il potere si realizza lo pseudo-contatto basato sulla seduzione, come arma di potere per trascinare la folla o l’altro (personaggi fallico-narcisisti, latin lovers). Il blocco del collo così diffuso, (artrosi cervicale), è responsabile del mancato funzionamento dei glomi carotidei, quindi della povertà di para-simpaticotonia e conseguente simpaticotonia reattiva, del cosiddetto “sentirsi” meglio la sera e fare perciò “vita notturna” alterando così i ritmi biologici: per non avere insonnia “bisogna” andare a letto stanchi, cioè con i muscoli affaticati ma non rilasciati.

Possiamo dire che il collo è potenzialmente il ponte che unisce o divide la società con il soggetto: la società (testa) di oggi, che si coltiva attraverso il ruolo, l’efficientismo e il perfezionismo (ideale dell’Io) ma non con la precisione e, ancora, attraverso l’onnipotenza, l’onniscenza, l’ambizione senza limiti, da cui la necessità di controllare e di controllarsi, il self control, che impedisce di abbandonarsi all’emozione. Si è “educati” a non perdere la testa per averla sempre sulle spalle, il che rinforza il blocco. In altre parole una “educazione al narcisismo”.

Come sempre, in effetti, anche tale blocco è principalmente una difesa dalla paura della morte, si e infatti disposti ad accettare la vita ma non la morte e ciò comporta l’impossibilità di lasciarsi andare (orgasmo: pseudomorte dell’Io) e la necessità di un continuo self control.

Spesso tale livello in vegetoterapia è difficoltoso da sbloccare perchè per alcuni, bloccati primitivamente al I e II livello, esso è una difesa (la difesa narcisistica) per impedire crisi psicotiche che potrebbero esplodere facendo defluire in basso la scarsa energia che sottende i livelli alti.

Il termine narcisismo fu proposto da Ellis e poi ripreso da Freud: la posizione narcisistica nasce con l’autoerotismo, con la scoperta del proprio corpo e la sensazione di piacere delle mani che induce alla masturbazione e quindi alla scoperta dell’identità sessuale (biologica) dell’Io.

E questo il narcisismo primario che comporta un io intrapsichico e un io interpsichico (il moi e il je dei francesi). Ogni repressione relativa all’identità sessuale dell’io determina il fenomeno dell’ambivalenza (sul quale scriverò in un prossimo articolo) che, in ultima analisi, è all’origine dell’omosessualità latente.

Il lavoro vegetoterapeutico rende cosciente, in proporzione a quanto gli acting sul collo coinvolgono il diaframma, l’ansia dovuta all’incertezza di “non so chi sono e cosa voglio”.

Da quanto detto si evince che il narcisismo primario, fondamentale per la formazione dell’Io, deve essere elaborato per non trasformarsi in narcisismo secondario come avviene allorché si reprime nel bambino l’autoaffermazione e l’autoerotismo; la difesa si realizza con un cronicizzarsi del narcisismo stesso per cui il torace alto (collo) si gonfia di odio soffocando la potenzialità affettiva del cuore.

La terapia sgonfia il torace dell’odio per gonfiare il cuore di amore.

La posizione narcisistica impedisce la vera creatività e il vero amore poiché non vi è la gioia di fare, di creare, di realizzare, ma solo il piacere di farsi riconoscere come migliore per avere potere sull’altro a discapito della potenza (orgastica).

Ecco come nasce la violenza, non solo quella sessuale!

 

La vegetoterapia

Il linguaggio degli organi è stato spesso sottolineato dalla medicina psicosomatica e la diagnosi di “distonia neurovegetativa” è l’espressione che frequentemente sostituisce, in clinica, quella di “nevrosi”. Tali definizioni stanno ad indicare una “alterazione funzionale”, espressione di tensioni “nervose” che hanno alla base una genesi emotiva, che la farmacologia e talvolta anche la chirurgia, intervenendo in questi quadri di alterata funzionalità, si limitano (e non sempre) a migliorare, ma mai a guarire.

È merito di W. Reich l’aver individuato una metodologia, la vegetoterapia, che nella sua applicazione sr realizza sottraendo la carica energetica che sottende l’emotività bloccata a certi livelli e restituendo la piena funzionalità all’organismo. Tale metodologia è indicata col termine di Vegetoterapia in quanto, in ultima analisi, tende a ristabilire l’equilibrio vago-simpatico, eliminando in tal modo i cosiddetti disturbi “disponici”.

Ben si sa che qualsiasi psicoterapia reca beneficio soltanto se si verificano abreazioni emotive e che, inoltre, tali metodologie si avvalgono spesso della verbalizzazione sic et simpliciter. È naturale conseguenza, però, dell’uso privilegiato dello strumento della verbalizzazione, il constatar:e le enormi difficottà che si incontrano ogni qual volta si ha a che fare con contenuti che concernono vissuti relativi al periodo pre-verbale.

La scuola reichiana, infatti, sottolinea la fondamentale importanza che riveste invece proprio tale periodo, essendo esso quello che viene vissuto da ogni uomo in chiave precipuamente emotiva, attraverso le manifestazioni di gioia e di piacere legate alla prevalenza vagale, e quelle di dolore e di ritrazione legate alla prevalenza del sirnpatico. In tale periodo iniziano a formalsi i fenomeni del cosiddetto “inconscio individuale”, realtà di fatto che non si riferisce a fattori biologici costituzionali (intesi come pulsioni istintuali rigide secondo la visione freudiana), ma ad un fenomeno prodotto dal rapporto dialettico tra individuo ed ambiente, cioè fenomeno che comprende imprintings ed insights di carattere storico.

Le emozioni, sollecitando i distretti corporei attraverso le strutture neuro-muscolari, agiscono sul terreno anatomo-fisiologico, potenzialmente predisposto alla nascita, e si esprimono attraverso il linguaggio del corpo. Esso linguaggio, oltre ad essere stato continuamente sottolineato dalla medicina psicosomatica, lo si ritrova come elemento costitutivo in tutte le culture. ed infatti ancora oggi usiamo dire, nel parlare comune, che un evento ansiogeno “mozza il fiato”; oppure che l’attesa della persona amata fa “palpitare il cuore”; oppure ancora che il terrore “congela le gambe”; ecc.

Tali espressioni si riferiscono alla risposta che i vari organi, in seguito ad impulsi nervosi, che si articola attraverso il linguaggio della funzione muscolare. Questo linguaggio si estrinseca attraverso risposte specifiche in quanto relative alla funzione di organi localizzati in zone anatomo-fìsiologicamente potenziali a certe specifiche funzioni reattive.

È conoscenza comune, ad esempio, che le situazioni di ansia producono ben chiare interferenze sulla funzione respiratoria e ciò attraverso l’azione sulla funzione del muscolo diaframma; conseguentemente, gli organi che hanno una localizzazione sopra e sotto-diaframmatica risentono della situazione funzionale e la condizione di “ingorgo” di energia nervosa che ne deriva si manifesta in un primo momento attraverso ulteriori alterazioni della funzione degli organi interessati e, se poi la condizione prosegue nel tempo, può tradursi in lesioni anatomiche od affezioni organiche.

La tecnica della vegetoterapia si avvale di strumenti specifici che hanno lo scopo di riattivare la mobilità e la motilità dei distretti bloccati e ciò allo scopo di consentire nuovamente il libero scorrere dell’energia nervosa in tutto l’organismo, dalla testa ai piedi e viceversa, e questo nel senso più letterale delle parole.

È interessante notare il fatto che, determinando ogni esercizio muscolare una risposta neurovegetativa precisa e specifica, ciò consente di agire direttamente sulla condizione vagale o simpatica al fine di ristabilirne l’equilibrio alterato.

La tecnica della vegetoterapia, ancora, si articola sotto due aspetti: la manipolazione e gli esercizi; nel primo vi è una posizione passiva del soggetto in terapia, nei secondi vi è la partecipazione diretta del soggetto stesso.

La manipolazione.

Consiste nel massaggio, con tecnica specifica, di tutta la muscolatura superficiale, nella direzione che va dalla testa ai piedi ed effettuato sia ventralmente che dorsalmente. Tale azione produce inizialmente intens€e sensazioni di dolore nelle zone ove vi è una tensione muscolare cronicamente accumulatasi; nei tempo, man mano che la manipolazione prosegue, la sensazione dolorifica tende ad essere sostituita da una diversa e piacevole sensazione di benessere.

Rifacendosi allo schema proposto da W. Reich, che suddivide il corpo umano in sette porzioni (indicate con i termini di “anelli” o “livelli”) ove è possibile localizzate le istanze psichiche (e ciò non in senso simbolico), è possibile ottenere attraverso il linguaggio del corpo un quadro immediato delle problematiche più salienti del soggetto attraverso la manipolazione, anche se questi non verbalizza!

Già S. Freud identificò l’Io con il corpo e, scopo della vegetoterapia, è di far riconquistare al soggetto la capacità di “sentire” il proprio corpo, capacità ovvia e naturale che tutti gli uomini possederebbero se ad essa non si opponesse una struttura caratteriale nevrotica. La capacità di “sentire” il proprio corpo significa identificarsi con esso, prendendo coscienza del proprio Io ed acquisendo in tal modo il senso dell’individualità. La conoscenza di se stessi, cioè del proprio Io, cioè ancora del proprio corpo, consente anche la conoscenza delle proprie debolezze e diviene elemento di forza e di maturità per ogni personalità.

Gli esercizi.

Il secondo aspetto della vegetoterapia tende a realizzare il dissolvimento della situazione di tensione muscolare cronica, situazione che è alimento del fenomeno dei “blocchi”, e si attua attraverso specifici esercizi muscolari (specifici, in quanto i livelli di blocco sono specifici) protratti per un periodo di tempo minimo di 15 minuti, oppure in quegli esercizi particolarmente faticosi, fino allo stancarsi del soggetto.

Durante gli esercizi si verificano, in concomitanza con lo sbloccarsi della zona interessata, fenomeni neurovegetativi o manifestazioni emotive di notevole entità. In tale momento, attraverso lo strumento della “verbalizzazione” (cioè della descrizione del vissuto emotivo) e delle libere associazioni (interpretate secondo il

metodo freudiano) divengono analizzabili contenuti inerenti a vissuti emotivi rimossi, anche se risalenti ad epoche pre-verbali. Si può assistere così al vissuto cosciente di stati d’animo o di sensazioni neonatali, già “provate” e “dimenticate”!

Realizzatasi la capacità di “sentire” il proprio corpo, si evita la deformazione culturale che tende alla intellettualizzazione delle proprie sensazioni; deformazione per cui il soma viene avvertito come un’entità alienata dall’Io e la cui caratteristica di estraneità suscita un senso di profonda paura. La manipolazione e gli esercizi permettono: di liberare le emozioni incapsulate a livello muscolare e trattenute da condizioni neurovegetative esasperate, di superare la paura delle proprie sensazioni fisiche e di abbandonarsi ad esse non più temendole, sino a raggiungere la perdita della coscienza dell’individualità, dopo aver appreso ad averne.

Tale temporanea perdita della coscienza individuale è il momento dell’orgasmo secondo la definizione reichiana, momento cioè della fusione totale e senza riserve dell’individuo con l’ambiente, inteso quest’ultimo nella sua concezione di universalità; perdita momentanea dell’Io individuale (e non perdita della conoscenza) non più temuta e recuperabile, che è un arrendersi alle proprie sensazioni e che si traduce in una vittoria sull’individualismo che, oggi, è l’aspetto più deteriore dell’individualità. È tale resa che permette la fusione con tutto ciò che è vivo e vitale e che pertanto ha significato di: amore, comprensione, tolleranza, coscienza dei propri limiti e della propria forza, delle proprie possibilità e delta personale potenzialità.

L’orgasmo è un’espressione dell’Io somatopsichico ed è sinonimo di “aggressività erotica” (cioè costruttiva), contenuto vitale che può manifestarsi solo dopo che si sia ottenuto il dissolvimento dell’involucro di aggressività “sadico-distruttiva” che si cela dietro il perbenismo delle regole socio-culturali.

Dopo il trattamento di vegetoterapia non si avverte più la necessità di prevaricare, sfruttare, possedere, competere in competizioni fini a se stesse. Tutto ciò viene sostituito da altri modi di “sentire” e di porsi nei confronti della realtà, modi che possono essere definiti con l’espressione della “gioia di vivere” e da ciò scaturisce, conseguenzialmente, il desiderio (e non il bisogno mistico derivato dalla dissociazione tra mente e corpo) di aiutare il prossimo a recuperare la capacità di vivere questa gioia primitiva, naturale, biologica, che secoli di repressione hanno imprigionata.

Il recupero delle energie bloccate e la presa di coscienza circa la natura socio-culturale dei fattori responsabili di tali blocchi, producono una radicale trasformazione del carattere, da cui scaturisce una “visione del mondo” inevitabilmente progressista e di qui i1 bisogno di agire per condurre una rivoluzione culturale.

La vera coscienza così recuperata (e “vera” si intende nel significato di sensazione biologica e non di “assoluto” idealistico), individua ben presto le innumerevoli formazioni di “falsa coscienza” che sono contraddistinte per la caratteristica di predicare “rivoluzioni” sul piano teorico ed intellettuale, ma che nella prassi non si evolvono affatto in tal senso e cioè nel senso di modifica e di cambiamento del modo di vivere, di sentire e di porsi nei confronti della realtà; e sono proprio tali formazioni di “falsa coscienza” che, perpetrando “falsi problemi”, agiscono la repressione emozionale della gioventù e delle generazioni socialmente responsabili del domani dell’umanità.

Attraverso la vegetoterapia, l’individuo riscopre il funzionalismo biologico che si basa sui bio-ritmi, la cui caratteristica peculiare è l’autoregolazione; riscoperta che promuove, inevitabilmente, l’autogestione e l’autoregolazione naturale dell’essere emozionale e sociale.

L’acquisizione di una omeostasi, non di compenso ma basata sulle realtà biologiche, climatiche ed ambientali, è la conseguenza della vegetoterapia. Con il conseguito superamento, infine, della paura dell’orgasmo (cioè con il superamento della paura di abbandonarsi alle sensazioni del proprio corpo) viene raggiunta la naturale potenza sessuale, cioè 1a capacità di amare.

Con l’uso del termine “sessuale”, naturalmente, si intende riferirsi a tutto ciò che procura piacere e gioia di vivere, nel mentre la “genialità” ne è la massima espressione biologica.

Con la ritrovata capacità di percepire le sensazioni del proprio corpo, attraverso la vegetoterapia, vengono finalmente superate situazioni quali: la dicotomia “mente-corpo”, sinonimo di “spirito-materia”, consentendo alla funzionalità di esplicarsi senza il condizionamento delle sovrastrutture culturali, liberando finalmente la capacità di avvertire che per la vita non è importante soltanto capire, ma anche e principalmente sentire.

La vegetoterapia è, secondo la concezione marxista, prassi da cui è possibile teorizzare ogni singolo caso e contemporaneamente sottoporre a verifica di realtà le teorie di w. Reich.

La difesa dell’io per la salvaguardia del rapporto oggettuale

Un caso di somatizzazione in vegetoterapia

In un precedente  intervento (cfr.: “Posizione schizo-paranoide e vegetoterapia”)  ho affermato che quando gli acting di vegetoterapia relativi al primo e secondo livello (orecchi-occhi e bocca) vengono eseguiti nella prima fase della terapia, portano il soggetto, in modo inevitabile, a quella situazione transferenziale che la Klein ha chiamato posizione schizo paranoide.

Questo chiarisce perché, anche quando trattiamo un paziente nevrotico con il “carattere” ad esempio fallico narcisista secondo la tipologia reichiana, il lavoro sugli occhi e la bocca (che insieme al collo vengono da noi considerati livelli pregenitali e preedipici in senso kleiniano) implica un numero maggiore di sedute rispetto a quelle necessarie per lo sblocco degli altri livelli.

Ogni individuo porta un blocco oculare anorgonico (nel senso di carenza energetica) che però si differenzia in quantità e qualità (ad es. un occhio bloccato e l’altro no). Ciò si verifica perchè ognuno di noi ha vissuto o meglio è stato costretto a vivere all’inizio della propria esistenza la posizione schizo paranoide anche se in seguito gli è stato possibile “penetrare” (Bion) nella posizione depressiva.

Nel precedente intervento dissi che questa costrizione era dovuta non solo alla corazza umana materna e paterna ma anche a quella dei medici o delle ostetriche…

Ecco perchè all’inizio della vegetoterapia, non appena si toccano i primi due livelli (orecchi, occhi e bocca sono i primi telericettori dell’interazione del neonato con la madre) riemerge, dal nucleo psicotico (comune a tutti e variabile di intensità), l’antico vissuto emozionale del paziente caratteristico della posizione schizo paranoide.

Diventa perciò parte importante della metodologia insistere all’inizio con acting in cui è essenziale la diretta collaborazione del terapeuta e la partecipazione passiva del paziente (lavoro sugli orecchi, punto fisso indotto con il dito o con la lampadina).

La pratica clinica ci ha dimostrato che lavorando sull’energia dei primi due-tre livelli possono comparire delle somatizzazioni che esprimono sul piano corporeo la posizione schizo-paranoide. Queste però compaiono come espressione “nevrotica” del corpo.

Sono i frequenti herpes simplex alle labbra, i raffreddori con abbondante fuoriuscita di muco, diarrea, emorroidi e pruriti anali, sudori acri e cistiti di natura funzionale.

Ricordo una mia paziente che prima della terapia soffriva di herpes simplex in vagina, durante gli acting sulla bocca spostò l’herpes alle labbra, da quel momento non ebbe manifestazione alcuna in nessuna parte del corpo.

L’herpex simplex che appare abbastanza di frequente durante il lavoro sulla bocca e in modo particolare con l’acting del “mordere” è forse la migliore rappresentazione di “latte guastato” che “rifiorisce” sotto forma di vescicolette di pus sulle labbra dopo che il soggetto in terapia ha espresso la sua aggressività con la mobilitazione dei muscoli masseteri.

Rimane da spiegare come mai sia l’herpex simplex che la cistite appaiano quasi esclusivamente in soggetti femminili. Forse il medesimo sesso della madre e della bambina gioca un ruolo molto più importante di quanto non si creda.

Queste particolari somatizzazioni di natura nevrotica possono tornare molto utili ai fini del transfert, soprattutto quando si agisce sugli occhi e sulla bocca.

Secondo la mia ipotesi esse possono essere considerate difese maniacali del corpo che servono all’Io per impedire regressioni catastrofiche.

L’Io in questo modo si difenderebbe dagli attacchi cruenti di grande invidia che riuscirebbero a minare il rapporto con l’oggetto-terapeuta.

Il paziente che somatizza è più disponibile alla elaborane del transfert negativo-distruttivo e produce un abbondante materiale emozionale sia durante che dopo gli acting (percezioni corporee e associazioni) e anche a livello onirico.

La somatizzazione nevrotica può aiutare l’Io del paziente a crescere ed evolvere verso l’integrazione e l’identtficazione amorosa con l’oggetto?

Credo di si e citerò a tal proposito un caso clinico che mi permette di chiarire questa mia ipotesi.

Il soggetto è un giovane di ventitre anni, penultimo dei fratelli di una famiglia numerosa, parla con voce dolce e sorride spesso. Da quattordici mesi è in terapia di gruppo che viene svolta una volta al mese e per dieci ore divise tra sabato e domenica.

Ha iniziato di recente la terapia individuale e al momento ha fatto soltanto sei sedute che normalmente avvengono ogni mese in ragione di due alla volta. Il gruppo è relativamente chiuso, tutti i componenti si trovano allo stesso momento della vegetoterapia e compiono gli acting relativi ai primi due livelli (occhi e bocca). Lo stesso tipo di lavoro che il paziente pratica in terapia individuale.

Attraverso le reazioni corporee durante gli acting, le associazioni e l’abbondante materiale onirico che porta in seduta, esprime chiaramente il vissuto dei suoi primi due tre mesi di vita. Non ha mai manifestato quelle somatizzazioni “tipiche” a mio parere, della posizione schizo paranoide.

Un giorno decide di richiedere un esame di controllo del sangue (aveva contratto due anni prima una forma di viriculite) e contemporaneamente, seppure non necessarie, l’analisi delle urine.

L’esame del sangue sta nella norma mentre nell’esame delle urine emergono le proteine: 1 grammo per litro. Viene ripetuta l’analisi ma il risultato rimane invariato. Dopo circa una settimana una nuova analisi che dura l’intero giorno; risultato: tracce irrilevanti e non quantificabili di proteine.

Sappiamo quanto poco attendibili siano gli esami di laboratorio nel nostro paese ma nello specifico del mio paziente ho validi motivi per asserire che le varie analisi fossero state fatte accuratamente.

Durante questo periodo di controlli e precisamente tra il secondo e l’ultimo esame, il paziente fa il seguente sogno (ne scrivo in corsivo i punti salienti):

– Sono con alcuni miei colleghi di lavoro in un impianto di distribuzione di carburante. In seguito mi trovo in una grande stanza con ai lati lungo i muri tante sedie, l’una accanto all’altra.

Una donna di 35-45 anni, robusta, sta ultimando di pulire il pavimento con uno straccio. Le volto le spalle e mi metto a pisciare in terra davanti alle sedie. Mi prende un senso di colpa per ciò che ho fatto, mi giro verso la donna delle pulizie e la guardo un po’ preoccupato per una sua possibile reazione nei miei confronti. Mi dice che quella pipi rimarrà in terra almeno per un mese prima che il pavimento potrà essere nuovamente pulito.

Poi mi trovo in una stanza simile a quella di prima ma un po’ più piccola. Arriva una mia ex compagna di scuola che mi è sempre stata antipatica. Si chiama Rossana come quelle caramelle con dentro la cremo avvolte nella carta rossa.

Queste caramelle sono le preferite mie e di mia nonna.

Arriva e si mette a stirare perchè svolge un’attività tipo volontariato presso persone anziane.

Mi dice di avere un grosso problema: soffre per una grave disfunzione alle ghiandole adenoidali sporse un po’ su tutta la faccia.

Si mette a piangere e si siede accanto a me. Per consolarla avvicino la sua faccia alla mia e quando le guance si toccano sento dei forti rumori provenire dall’interno del suo viso che mi mettono una grande ansia e mi rendono la respirazione difficilissima.

Mi dico che devo cercare di fare alcuni respiri profondi che mi aiuteranno ma dalla gola esce solo un rantolo. Un bisbiglio di mio fratello che cerca di svegliarmi perchè mi ha sentito rantolare, interrompe il sogno. Svegliandomi ho la stessa difficoltà di respiro di prima.

In seduta il paziente associa immediatamente le sedie del sogno a quelle disposte lungo le pareti della stanza dove avvengono i gruppi di psicoterapia. Quelle sedie non servono per la terapia, i componenti del gruppo si siedono in cerchio sul pavimento, ma vengono abitualmente usate per appoggiarvi gli oggetti personali: vestiti, orologi, bracciali, catenine, borse e occhiali da vista. A convalidare che si tratta proprio della stanza dove svolgo i gruppi c’è la donna delle pulizie la quale dice al paziente che ha orinato in terra, che la pipì dovrà stare un mese prima che possa essere pulita. La terapia di gruppo infatti di consueto avviene una volta al mese.

Ritengo superfluo dilungarmi nei dettagli della seduta. Credo che qui interessi di piu l’aspetto teorico del sogno che nell’esprimere in modo così chiaro la natura della somatizzazione risultò alla fine catartico e permise la scomparsa di quelle proteine nell’urina.

In che modo la fantasia inconscia abbia preso la strada somatica si spiega se riteniamo, come ho ipotizzato, che quest’ultima sia una difesa, seppure “maniacale”, dell’Io.

Difesa che l’Io corporeo nella sua totalità mette in atto tentando di “salvare” il rapporto con l’oggetto.

Quando viene mobilizzata l’energia nel primo e secondo livello può esplodere il dor (energia che stagna nel soma) su quei livelli che sono maggiormente legati alla nostra oralità e cioè primo, secondo, sesto e settimo livello (occhi, bocca, addome e pelvi). Si può ipotizzare che essendo il dor pura distruttività se questo non viene espresso, quando si lavora sugli occhi e sulla bocca, attraverso le somatizzazioni di tipo nevrotico, possa prendere la strada della regressione psichica mettendo a repentaglio l’Io ed il suo rapporto con l’oggetto.

In tal senso ritengo che le somatizzazioni di questo tipo possono aiutare l’elaborazione della posizione schizo-paranoide. Il soggetto sembra accettare più facilmente l’interpretazione della propria fantasia inconscia che si è espressa a livello energetico nel disturbo somatico.

La donna che nel sogno pulisce la stanza rappresenta me stessa in quanto figura materna. L’oggetto del sogno (la mia persona) è scisso. Da un lato vengo rappresentata come proiezione di una parte buona del Sé del paziente che è in grado di pulire (restaurare) la stanza-seno dallo sporco e dal disordine di oggetti sparsi sulle sedie che sono le parti cattive di questo Sé (nel sogno le sedie appaiono vuote); dall’altro egli attacca la mammella orinandovi dentro.

A minzione avvenuta è sgomento per ciò che ha fatto ma l’oggetto idealizzato (la donna) che cerca di salvare dalle sue aggressioni interne gli fa capire che tra un mese la pulizia della pipì potrà avvenire.

Nonostante i suoi attacchi la mammella buona gli si darà ancora.

Un chiaro riferimento al gruppo di terapia viene dato anche dall’esordio del sogno in cui il soggetto si trova con alcuni colleghi di lavoro in un impianto di distribuzione del carburante. L’impianto in questione è il seno dell’analista che distribuisce carburante latte ai componenti del gruppo.

La sua amica “antipatica” che si chiama Rossana, porta il nome di quelle caramelle ripiene che piacciono a lui e alla nonna. Di nuovo una scissione tra la mammella buona con l’associazione alla caramella buona nel nome della ragazza. La ragazza che stira sono io che svolgo una attività tipo “volontariato presso persone anziane”. Queste ultime sono i componenti del gruppo sviliti dall’aggressività del paziente.

Sono incapaci come bambini e abbisognano di cure ma essendo “anziani” sono anche meno voraci dei bambini (difesa contro il timore di un seno svuotato). Inoltre è evidente lo svilimento non solo dei “fratelli” del gruppo ma di me stessa.

La terapeuta fa “volontariato” quindi non è pagata e in questo modo gli anziani (i componenti del gruppo) non possono pretendere molto nutrimento e esegue lavori umili come la donna delle pulizie nella stanza dei gruppi.

Lo svilimento dell’oggetto è palese nella immagine della ragazza-analista che piange perchè soffre di “ghiandole adenoidali” cosparse su tutta la faccia. Il paziente accostando il proprio volto a quello della donna (il neonato per allattarsi appoggia la sua faccia al seno della madre e qui la faccia della ragazza è la mammella) sente provenire dall’interno forti rumori che gli danno angoscia.

L’invidia compie la sua opera devastatrice e le ghiandole mammarie si trasformano in ghiandole adenoidali (1).

I rumori interni che giungono dal volto-mammella sono quelli di questo latte infestato, pericoloso e devastato dai suoi attacchi uretrali. Il latte guasto non può così essere digerito (le proteine non assimilate finiscono nell’urina).

Le ghiandole adenoidali (la mammella cattiva introiettata) sono così mefitiche che gli impediscono di respirare ed è svegliato infatti dal fratello che lo sente rantolare nel sonno.

Le ghiandole adenoidali sono anche il mio naso-capezzolo-fallo riferito alla mia “potenza” di analista e quindi di donna fallica come identificazione paterna da abbattere e “far piangere”.

Nel raccontare il sogno, il paziente usò le parole “pisciare” e “pipì”. Pisciare è parola di denominazione onomatopeica che si riferisce al ps.. ps.. con cui si stimolano i bambini a fare pipì. Nell’ultima seduta di un mese prima (ricordo che facciamo due sedute al mese) durante l’acting del (pesce)) che si svolge nel fare per quindici minuti movimenti di suzione, improvvisamente gli era venuta la voglia impellente di orinare (2).

Prima di alzarsi dal lettino aveva esclamato: – mi piacerebbe che tu mi reggessi il vasetto ed io farla dentro -.

Fu già un tentativo di salvaguardare l’oggetto analista-mamma dai suoi attacchi uretrali. Da una parte lui che urinava nel vaso-seno e dall’altra me che potevo, nonostante i suoi attacchi, rimanere intatta perchè ero io a reggere il vaso contenitore della sua invidia.

In un certo senso una richiesta e un dono d’amore: ti offro la mia pipi perchè tu mi puoi amare ugualmente ed io ti posso amare anche se sono cattivo.

Note:

1. Il paziente pur non essendo medico sembra inconsciamente conoscere che le adenoidi sono l’iperplasia della ghiandola faringea; è l’ipertrofia, cioè un super nutrimento della ghiandola stessa che rende difficoltosa la respirazione. Ciò non mi stupisce. Sappiamo come a livello onirico il nostro inconscio emotivo sia assai più ricco e creativo del nostro conscio razionale.

In passato raccolsi una serie di sogni da donne semi analfabete immigrate da paesi del sud e da ragazze con una scolarizzazione minima. Facevano sogni elaborati ed intellettuali che mi comunicavano con sorprendente capacità discorsiva in contrasto con il linguaggio scarno e sgrammaticato della loro quotidianità.

2. Molto spesso, nel corso di questo acting, ai pazienti viene il bisogno di orinare anche due o tre volte durante la seduta. Se sorge il desiderio di cibo e sorge spesso a qualsiasi ora anche se si è mangiato poco prima, cessa la necessità della minzione.