Un caso di somatizzazione in vegetoterapia
In un precedente intervento (cfr.: “Posizione schizo-paranoide e vegetoterapia”) ho affermato che quando gli acting di vegetoterapia relativi al primo e secondo livello (orecchi-occhi e bocca) vengono eseguiti nella prima fase della terapia, portano il soggetto, in modo inevitabile, a quella situazione transferenziale che la Klein ha chiamato posizione schizo paranoide.
Questo chiarisce perché, anche quando trattiamo un paziente nevrotico con il “carattere” ad esempio fallico narcisista secondo la tipologia reichiana, il lavoro sugli occhi e la bocca (che insieme al collo vengono da noi considerati livelli pregenitali e preedipici in senso kleiniano) implica un numero maggiore di sedute rispetto a quelle necessarie per lo sblocco degli altri livelli.
Ogni individuo porta un blocco oculare anorgonico (nel senso di carenza energetica) che però si differenzia in quantità e qualità (ad es. un occhio bloccato e l’altro no). Ciò si verifica perchè ognuno di noi ha vissuto o meglio è stato costretto a vivere all’inizio della propria esistenza la posizione schizo paranoide anche se in seguito gli è stato possibile “penetrare” (Bion) nella posizione depressiva.
Nel precedente intervento dissi che questa costrizione era dovuta non solo alla corazza umana materna e paterna ma anche a quella dei medici o delle ostetriche…
Ecco perchè all’inizio della vegetoterapia, non appena si toccano i primi due livelli (orecchi, occhi e bocca sono i primi telericettori dell’interazione del neonato con la madre) riemerge, dal nucleo psicotico (comune a tutti e variabile di intensità), l’antico vissuto emozionale del paziente caratteristico della posizione schizo paranoide.
Diventa perciò parte importante della metodologia insistere all’inizio con acting in cui è essenziale la diretta collaborazione del terapeuta e la partecipazione passiva del paziente (lavoro sugli orecchi, punto fisso indotto con il dito o con la lampadina).
La pratica clinica ci ha dimostrato che lavorando sull’energia dei primi due-tre livelli possono comparire delle somatizzazioni che esprimono sul piano corporeo la posizione schizo-paranoide. Queste però compaiono come espressione “nevrotica” del corpo.
Sono i frequenti herpes simplex alle labbra, i raffreddori con abbondante fuoriuscita di muco, diarrea, emorroidi e pruriti anali, sudori acri e cistiti di natura funzionale.
Ricordo una mia paziente che prima della terapia soffriva di herpes simplex in vagina, durante gli acting sulla bocca spostò l’herpes alle labbra, da quel momento non ebbe manifestazione alcuna in nessuna parte del corpo.
L’herpex simplex che appare abbastanza di frequente durante il lavoro sulla bocca e in modo particolare con l’acting del “mordere” è forse la migliore rappresentazione di “latte guastato” che “rifiorisce” sotto forma di vescicolette di pus sulle labbra dopo che il soggetto in terapia ha espresso la sua aggressività con la mobilitazione dei muscoli masseteri.
Rimane da spiegare come mai sia l’herpex simplex che la cistite appaiano quasi esclusivamente in soggetti femminili. Forse il medesimo sesso della madre e della bambina gioca un ruolo molto più importante di quanto non si creda.
Queste particolari somatizzazioni di natura nevrotica possono tornare molto utili ai fini del transfert, soprattutto quando si agisce sugli occhi e sulla bocca.
Secondo la mia ipotesi esse possono essere considerate difese maniacali del corpo che servono all’Io per impedire regressioni catastrofiche.
L’Io in questo modo si difenderebbe dagli attacchi cruenti di grande invidia che riuscirebbero a minare il rapporto con l’oggetto-terapeuta.
Il paziente che somatizza è più disponibile alla elaborane del transfert negativo-distruttivo e produce un abbondante materiale emozionale sia durante che dopo gli acting (percezioni corporee e associazioni) e anche a livello onirico.
La somatizzazione nevrotica può aiutare l’Io del paziente a crescere ed evolvere verso l’integrazione e l’identtficazione amorosa con l’oggetto?
Credo di si e citerò a tal proposito un caso clinico che mi permette di chiarire questa mia ipotesi.
Il soggetto è un giovane di ventitre anni, penultimo dei fratelli di una famiglia numerosa, parla con voce dolce e sorride spesso. Da quattordici mesi è in terapia di gruppo che viene svolta una volta al mese e per dieci ore divise tra sabato e domenica.
Ha iniziato di recente la terapia individuale e al momento ha fatto soltanto sei sedute che normalmente avvengono ogni mese in ragione di due alla volta. Il gruppo è relativamente chiuso, tutti i componenti si trovano allo stesso momento della vegetoterapia e compiono gli acting relativi ai primi due livelli (occhi e bocca). Lo stesso tipo di lavoro che il paziente pratica in terapia individuale.
Attraverso le reazioni corporee durante gli acting, le associazioni e l’abbondante materiale onirico che porta in seduta, esprime chiaramente il vissuto dei suoi primi due tre mesi di vita. Non ha mai manifestato quelle somatizzazioni “tipiche” a mio parere, della posizione schizo paranoide.
Un giorno decide di richiedere un esame di controllo del sangue (aveva contratto due anni prima una forma di viriculite) e contemporaneamente, seppure non necessarie, l’analisi delle urine.
L’esame del sangue sta nella norma mentre nell’esame delle urine emergono le proteine: 1 grammo per litro. Viene ripetuta l’analisi ma il risultato rimane invariato. Dopo circa una settimana una nuova analisi che dura l’intero giorno; risultato: tracce irrilevanti e non quantificabili di proteine.
Sappiamo quanto poco attendibili siano gli esami di laboratorio nel nostro paese ma nello specifico del mio paziente ho validi motivi per asserire che le varie analisi fossero state fatte accuratamente.
Durante questo periodo di controlli e precisamente tra il secondo e l’ultimo esame, il paziente fa il seguente sogno (ne scrivo in corsivo i punti salienti):
– Sono con alcuni miei colleghi di lavoro in un impianto di distribuzione di carburante. In seguito mi trovo in una grande stanza con ai lati lungo i muri tante sedie, l’una accanto all’altra.
Una donna di 35-45 anni, robusta, sta ultimando di pulire il pavimento con uno straccio. Le volto le spalle e mi metto a pisciare in terra davanti alle sedie. Mi prende un senso di colpa per ciò che ho fatto, mi giro verso la donna delle pulizie e la guardo un po’ preoccupato per una sua possibile reazione nei miei confronti. Mi dice che quella pipi rimarrà in terra almeno per un mese prima che il pavimento potrà essere nuovamente pulito.
Poi mi trovo in una stanza simile a quella di prima ma un po’ più piccola. Arriva una mia ex compagna di scuola che mi è sempre stata antipatica. Si chiama Rossana come quelle caramelle con dentro la cremo avvolte nella carta rossa.
Queste caramelle sono le preferite mie e di mia nonna.
Arriva e si mette a stirare perchè svolge un’attività tipo volontariato presso persone anziane.
Mi dice di avere un grosso problema: soffre per una grave disfunzione alle ghiandole adenoidali sporse un po’ su tutta la faccia.
Si mette a piangere e si siede accanto a me. Per consolarla avvicino la sua faccia alla mia e quando le guance si toccano sento dei forti rumori provenire dall’interno del suo viso che mi mettono una grande ansia e mi rendono la respirazione difficilissima.
Mi dico che devo cercare di fare alcuni respiri profondi che mi aiuteranno ma dalla gola esce solo un rantolo. Un bisbiglio di mio fratello che cerca di svegliarmi perchè mi ha sentito rantolare, interrompe il sogno. Svegliandomi ho la stessa difficoltà di respiro di prima.
In seduta il paziente associa immediatamente le sedie del sogno a quelle disposte lungo le pareti della stanza dove avvengono i gruppi di psicoterapia. Quelle sedie non servono per la terapia, i componenti del gruppo si siedono in cerchio sul pavimento, ma vengono abitualmente usate per appoggiarvi gli oggetti personali: vestiti, orologi, bracciali, catenine, borse e occhiali da vista. A convalidare che si tratta proprio della stanza dove svolgo i gruppi c’è la donna delle pulizie la quale dice al paziente che ha orinato in terra, che la pipì dovrà stare un mese prima che possa essere pulita. La terapia di gruppo infatti di consueto avviene una volta al mese.
Ritengo superfluo dilungarmi nei dettagli della seduta. Credo che qui interessi di piu l’aspetto teorico del sogno che nell’esprimere in modo così chiaro la natura della somatizzazione risultò alla fine catartico e permise la scomparsa di quelle proteine nell’urina.
In che modo la fantasia inconscia abbia preso la strada somatica si spiega se riteniamo, come ho ipotizzato, che quest’ultima sia una difesa, seppure “maniacale”, dell’Io.
Difesa che l’Io corporeo nella sua totalità mette in atto tentando di “salvare” il rapporto con l’oggetto.
Quando viene mobilizzata l’energia nel primo e secondo livello può esplodere il dor (energia che stagna nel soma) su quei livelli che sono maggiormente legati alla nostra oralità e cioè primo, secondo, sesto e settimo livello (occhi, bocca, addome e pelvi). Si può ipotizzare che essendo il dor pura distruttività se questo non viene espresso, quando si lavora sugli occhi e sulla bocca, attraverso le somatizzazioni di tipo nevrotico, possa prendere la strada della regressione psichica mettendo a repentaglio l’Io ed il suo rapporto con l’oggetto.
In tal senso ritengo che le somatizzazioni di questo tipo possono aiutare l’elaborazione della posizione schizo-paranoide. Il soggetto sembra accettare più facilmente l’interpretazione della propria fantasia inconscia che si è espressa a livello energetico nel disturbo somatico.
La donna che nel sogno pulisce la stanza rappresenta me stessa in quanto figura materna. L’oggetto del sogno (la mia persona) è scisso. Da un lato vengo rappresentata come proiezione di una parte buona del Sé del paziente che è in grado di pulire (restaurare) la stanza-seno dallo sporco e dal disordine di oggetti sparsi sulle sedie che sono le parti cattive di questo Sé (nel sogno le sedie appaiono vuote); dall’altro egli attacca la mammella orinandovi dentro.
A minzione avvenuta è sgomento per ciò che ha fatto ma l’oggetto idealizzato (la donna) che cerca di salvare dalle sue aggressioni interne gli fa capire che tra un mese la pulizia della pipì potrà avvenire.
Nonostante i suoi attacchi la mammella buona gli si darà ancora.
Un chiaro riferimento al gruppo di terapia viene dato anche dall’esordio del sogno in cui il soggetto si trova con alcuni colleghi di lavoro in un impianto di distribuzione del carburante. L’impianto in questione è il seno dell’analista che distribuisce carburante latte ai componenti del gruppo.
La sua amica “antipatica” che si chiama Rossana, porta il nome di quelle caramelle ripiene che piacciono a lui e alla nonna. Di nuovo una scissione tra la mammella buona con l’associazione alla caramella buona nel nome della ragazza. La ragazza che stira sono io che svolgo una attività tipo “volontariato presso persone anziane”. Queste ultime sono i componenti del gruppo sviliti dall’aggressività del paziente.
Sono incapaci come bambini e abbisognano di cure ma essendo “anziani” sono anche meno voraci dei bambini (difesa contro il timore di un seno svuotato). Inoltre è evidente lo svilimento non solo dei “fratelli” del gruppo ma di me stessa.
La terapeuta fa “volontariato” quindi non è pagata e in questo modo gli anziani (i componenti del gruppo) non possono pretendere molto nutrimento e esegue lavori umili come la donna delle pulizie nella stanza dei gruppi.
Lo svilimento dell’oggetto è palese nella immagine della ragazza-analista che piange perchè soffre di “ghiandole adenoidali” cosparse su tutta la faccia. Il paziente accostando il proprio volto a quello della donna (il neonato per allattarsi appoggia la sua faccia al seno della madre e qui la faccia della ragazza è la mammella) sente provenire dall’interno forti rumori che gli danno angoscia.
L’invidia compie la sua opera devastatrice e le ghiandole mammarie si trasformano in ghiandole adenoidali (1).
I rumori interni che giungono dal volto-mammella sono quelli di questo latte infestato, pericoloso e devastato dai suoi attacchi uretrali. Il latte guasto non può così essere digerito (le proteine non assimilate finiscono nell’urina).
Le ghiandole adenoidali (la mammella cattiva introiettata) sono così mefitiche che gli impediscono di respirare ed è svegliato infatti dal fratello che lo sente rantolare nel sonno.
Le ghiandole adenoidali sono anche il mio naso-capezzolo-fallo riferito alla mia “potenza” di analista e quindi di donna fallica come identificazione paterna da abbattere e “far piangere”.
Nel raccontare il sogno, il paziente usò le parole “pisciare” e “pipì”. Pisciare è parola di denominazione onomatopeica che si riferisce al ps.. ps.. con cui si stimolano i bambini a fare pipì. Nell’ultima seduta di un mese prima (ricordo che facciamo due sedute al mese) durante l’acting del (pesce)) che si svolge nel fare per quindici minuti movimenti di suzione, improvvisamente gli era venuta la voglia impellente di orinare (2).
Prima di alzarsi dal lettino aveva esclamato: – mi piacerebbe che tu mi reggessi il vasetto ed io farla dentro -.
Fu già un tentativo di salvaguardare l’oggetto analista-mamma dai suoi attacchi uretrali. Da una parte lui che urinava nel vaso-seno e dall’altra me che potevo, nonostante i suoi attacchi, rimanere intatta perchè ero io a reggere il vaso contenitore della sua invidia.
In un certo senso una richiesta e un dono d’amore: ti offro la mia pipi perchè tu mi puoi amare ugualmente ed io ti posso amare anche se sono cattivo.
Note:
1. Il paziente pur non essendo medico sembra inconsciamente conoscere che le adenoidi sono l’iperplasia della ghiandola faringea; è l’ipertrofia, cioè un super nutrimento della ghiandola stessa che rende difficoltosa la respirazione. Ciò non mi stupisce. Sappiamo come a livello onirico il nostro inconscio emotivo sia assai più ricco e creativo del nostro conscio razionale.
In passato raccolsi una serie di sogni da donne semi analfabete immigrate da paesi del sud e da ragazze con una scolarizzazione minima. Facevano sogni elaborati ed intellettuali che mi comunicavano con sorprendente capacità discorsiva in contrasto con il linguaggio scarno e sgrammaticato della loro quotidianità.
2. Molto spesso, nel corso di questo acting, ai pazienti viene il bisogno di orinare anche due o tre volte durante la seduta. Se sorge il desiderio di cibo e sorge spesso a qualsiasi ora anche se si è mangiato poco prima, cessa la necessità della minzione.
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