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Aumentano i crimini ai danni degli anziani. L’esigenza di un aggiornamento per i poliziotti si rende necessaria

L’imbroglio, l’inganno, il raggiro, con lo scopo di trarre profitto a danno degli altri, appartengono da sempre alla storia dell’umanità. Dal famoso serpente fino alle strategie illecite dei nostri giorni, che si rivelano attraverso molteplici forme.

Una variegata articolazione di truffe finanziarie, offerte di lavoro poco serie, vincite alla lotteria inesistenti, nipoti inverosimili che compaiono all’improvviso, phishing, Nigeria connection, pratiche commerciali scorrette, venditori porta a porta simili al gatto e la volpe  di Pinocchio. E altro ancora.

E’ unproblema che affligge tutta la società e che molto spesso rimane sottovalutato.

In particolare, le persone anziane, sempre più numerose, sono costantemente bersaglio di malintenzionati che cercano di approfittare della loro scarsa vigilanza. Ogni giorno si registrano vittime raggirate, imbrogliate e derubate. E l’attenzione normalmente è più centrata sul reato e sull’entità del danno, trascurando la la sofferenza diretta della persona.

Se da un punto di vista giuridico, si tratta del comportamento di “Chiunque, con artifizi o raggiri, inducendo taluno in errore, procura a sé o ad altri uningiusto profitto con altrui danno…“; di un’azione illecita che genera un detrimento o pregiudizio materiale (la perdita di un bene); raramente si tiene conto dell’impatto che l’evento delittuoso ha sulle vittime.

Si immagina, infatti, che la truffa sia un crimine meno violento di altri. Ma, come numerose ricerche hanno messo in luce, è minima la differenza tra gli effetti traumatici di un crimine violento e quelli di una “banale” truffa.

Le persone che hanno subito una truffa possono vivere soggettivamente un’esperienza simile a quelle di violenza o di abuso e, di conseguenza, provare sentimenti di colpa, vergogna, scarsa autostima, “rabbia”, umore depresso, isolamento e insensibilità sociale, giudizio morale negativo da parte di altri,sfiducia, somatizzazioni e disturbi di vario tipo.

Spesso, e penso soprattutto alle persone anziane, si patisce una doppia vittimizzazione: quella (primaria) direttamente in relazione con il comportamento dannoso e quella (secondaria) relativa alla stigmatizzazione da parte dei parenti e degli amici della vittima e anche a ciò che si vive nel corso delle indagini.

Molto spesso accade anche che, chi ha subito il reato, viva il proprio dramma nel silenzio assoluto e nell’isolamento, sviluppando nel corso del tempo problematiche psico-sociali molto più complesse.

La vigilanza dei parenti e degli amici risulta essere il migliore strumento di difesa, anche se esiste una cornice giuridica sufficiente a inquadrare le attività delittuose e a perseguire i reati che spesso non vengono presi in considerazione, perché non denunciati, oppure perché le denunce non possono essere adeguatamente supportate da prove atte a dimostrare la realtà dei fatti.

Secondo me, un’attività efficace di contrasto alla criminalità fraudolenta può essere realizzata attraverso lo sviluppo di una cultura di prevenzione articolata su piani diversi, quali ad esempio campagne di sensibilizzazione, con adeguate forme di comunicazione e informazione, per medici di base, operatori sociali e della polizia, oppure per la cittadinanza più esposta; corsi di formazione ad hoc per operatori sociali e della polizia; un adeguato supporto psicologico delle persone particolarmente vulnerabili; organizzazione di gruppi di auto mutuo aiuto; una conforme realizzazione di punti d’ascolto e sostegno telefonico, ed altro ancora, che in questa occasione ometto di citare.

Per quanto concerne l’intervento sui casi, ritengo di primaria importanza la qualità della presa in carico da parte della Polizia nel momento in cui la vittima denuncerà i fatti. In queste circostanze, un ascolto paziente e attivo volto innanzitutto al conforto della persona è fondamentale; possibilmente all’interno di uno spazio accogliente, tranquillo e rispettoso della intimità delle esperienze vissute; che offra sicurezza innanzitutto attraverso un ascolto cortese e rispettoso, tale da creare un clima di fiducia e confidenza.

Se adeguatamente preparati, gli addetti della polizia potrebbero essere in grado di fornire anche un primo soccorso psicologico, competente e umano, in grado di sostenere le persone senza essere intrusivi; valutare i bisogni e le preoccupazioni della persona; aiutare le vittime a soddisfare i loro bisogni primari e aiutarle a ottenere le informazioni per raggiungere i servizi e il sostegno sociale di cui hanno bisogno; proteggere le persone da eventuali nuovi danni.

Lo psicologo rimarrebbe a disposizione per i casi più complicati.

 

Amicizia e salute

Le persone che hanno buoni rapporti sociali subiscono meno l’incidenza di malattie gravi come i tumori o i disturbi cardio circolatori, perché l’amicizia non si limita solo a dare sostegno agli individui, essa partecipa anche alla cura e alla salutogenesi delle persone.

Ciò accade in quanto le relazioni, quando sono serene e positive, apportano benessere innescando processi psico-neuro-endocrini che migliorano le nostre risorse immunitarie.

Dalle prime ricerche sui “legami sociali” risalenti al 1929, sino ad oggi, la letteratura scientifica ha continuamente fornito riscontri qualificati e documentati che mettono in luce le potenzialità dell’amicizia. Essa amplia il senso d’appartenenza e aumenta la voglia di vivere. Incoraggia la nostra tendenza a stare bene e previene/elimina lo stress. Amplia il sentimento d’autostima. Riduce il rischio di problemi gravi per la salute psichica. Aiuta a superare i momenti critici della nostra vita, ad esempio i lutti e le malattie. Gli amici più intimi possono aiutarci a cambiare le cattive abitudini, come la dipendenza da sostanze. Con un amico sincero possiamo lasciarci andare ed essere completamente “trasparenti” nei momenti felici e in quelli più difficili e dolorosi.

L’amicizia è una qualità del legame sociale che aggiunge valore alla relazione interpersonale (in famiglia, al lavoro, ecc.) e non è solo prerogativa infantile o adolescenziale.

Se penso ad essa come a un ambito spazio-temporale al cui interno si sviluppano interazioni aventi un alto grado di similarità (culturale, di interessi, valori, stili di condotta, ecc.) posso immaginare una relazione più appagante anche nelle interazioni sociali al lavoro. Tuttavia, oggi mi chiedo se l’amicizia esiste ancora in una società dove il successo a scapito degli altri sembra la via maestra. Alludo, ad esempio, a quelle organizzazioni del lavoro basate sul benchmarking, in cui i dipendenti si trovano continuamente in competizione tra loro, condizione che compromette gravemente la salute; evento testimoniato anche da una recentissima sentenza di un tribunale francese che impone alla Caisse d’Epargne Rhône Alpes Sud di fermare la loro modalità gestionale, proprio ispirata al benchmarking.

Credo che occorra impegnarsi molto responsabilmente affinché questo patrimonio immateriale della nostra umanità (l’amicizia) ritorni ad essere la fonte benefica alla quale attingere le risorse per stare in salute: il piacere di stare insieme, l’accettazione e il rispetto dell’altro, la fiducia, la comprensione, la spontaneità e l’ascolto attento dell’altro.

I rapporti amichevoli al lavoro riguardano direttamente le persone, il loro stato di salute e gli interessi delle imprese e societari, cioè la “salute” delle aziende. Pure in questo campo, ricerche ormai numerose lo confermano postulando la necessità di prestare particolare attenzione ai rischi psico-sociali e valutare attentamente l’incidenza dello stress lavoro-correlato che ha un forte impatto sull’ambiente di lavoro e sulle relazioni umane; di conseguenza, direttamente sulla salute delle persone e delle aziende. E’ proprio per questo che oggi si usa parlare di “benessere organizzativo”, facendo riferimento al fatto che un’azienda “amichevole” o friendly è capace di realizzare un clima relazionale sano e, di conseguenza, prevenire manifestazioni di malessere a livello organizzativo e individuale.

Una azienda poco amichevole è caratterizzata da fattori organizzativi come ad esempio la mancanza di relazioni di supporto sul luogo di lavoro, l’insicurezza del lavoro e la cultura organizzativa. Tali fattori costituiscono la matrice dei rischi psico-sociali e dello stress lavoro-correlato che possono causare degli effetti negativi sulla salute, un aumento del rischio di incidenti ed una diminuzione della performance capaci di portare in un secondo tempo all’abbandono del posto di lavoro. queste conseguenze hanno un impatto sia a livello individuale che a livello organizzativo, ma possono anche avere un impatto a livello di settore e nazionale.

Codice di condotta degli appartenenti alle forze di Polizia

Quando ne faccio cenno con i diretti interessati, essi di solito mi guardano straniti, come se stessi parlando di mondi alieni. Eppure il Codice di condotta degli appartenenti alle forze di Polizia (approvato dall’Assemblea Generale ONU, il 17 dicembre 1979) è realtà.

 

Articolo 1

Gli appartenenti alle forze di polizia assolveranno in ogni momento i compiti loro affidati dalla legge, servendo la comunità e proteggendo ogni singolo individuo contro ogni atto illecito, coerentemente con l’alto grado di responsabilità richiesto dalla loro professione.

Commentario:

a) Il termine “appartenente alle forze di polizia” indica ogni funzionario, sia nominato sia eletto, che esercita i poteri di polizia, in particolare il potere di fermo o arresto.

b) Nei paesi in cui i poteri di polizia sono esercitati da autorità militari, sia in uniforme sia in civile, o da servizi di sicurezza statali il termine “appartenente alle forze di polizia” va esteso ai funzionari di quei corpi e servizi.

c) Si intende in particolare che il servizio alla comunità deve includere l’assistenza a quei membri della comunità che a causa di emergenze personali, economiche, sociali o di altro tipo hanno bisogno di aiuto immediato.

d) Questa norma tende a coprire non solo tutti gli atti violenti, predatori o dannosi, ma si estende a tutta la gamma dei divieti sanciti dalle leggi penali. Si estende alle persone incapaci dal punto di vista della responsabilità penale.

I commentari forniscono informazioni utili a facilitare l’uso del codice nell’ambito delle legislazioni e prassi nazionali. Inoltre dei commentari nazionali o regionali, destinati a promuovere l’applicazione del codice, dovrebbero identificare le particolarità dei sistemi e prassi legali di ogni stato o area continentale.

Articolo 2

Nello svolgimento dei doveri d’ufficio, gli appartenenti alle forze di polizia rispetteranno e proteggeranno la dignità umana e sosterranno e rinforzeranno i diritti dell’uomo.

Commentario:

a) I diritti dell’uomo in questione sono quelli identificati e protetti dalla legge domestica e internazionale. Fra i maggiori strumenti internazionali si citano: la Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, la Convenzione internazionale sui diritti civili e politici, la Dichiarazione per proteggere tutti gli individui dall’essere sottoposti a tortura e ad altre forme di trattamento o pena crudeli, inumane o degradanti, la Dichiarazione dell’ONU sull’eliminazione di ogni forma di discriminazione razziale, la Convenzione internazionale sulla soppressione e punizione del crimine di apartheid, la Convenzione sulla prevenzione e punizione del crimine di genocidio, le Regole minime per il trattamento dei detenuti e la Convenzione di Vienna sulle relazioni consolari.

b) I commentari nazionali a questa norma debbono indicare le normative domestiche e regionali che identificano e proteggono questi diritti.

Articolo 3

Gli appartenenti alle forze di polizia possono fare uso della forza solo in caso di stretta necessità e solo nei limiti richiesti dal compimento del proprio dovere.

Commentario:

a) La norma rileva che l’uso della forza da parte degli appartenenti alle forze di polizia deve essere un fatto eccezionale; infatti, mentre implica che gli appartenenti alle forze di polizia possono essere autorizzati ad usare la forza, quando questo è ragionevolmente necessario per prevenire un crimine o per arrestare o partecipare all’arresto di criminali o sospetti, il testo sottolinea che non si può mai usare la forza al di là di tali limiti.

b) Le leggi domestiche normalmente impongono limiti all’uso della forza da parte degli appartenenti alle forze di polizia, facendo ricorso a un principio di proporzionalità. Tale principio va rispettato nell’interpretare questa norma, che non si può in alcun caso interpretare come un’autorizzazione all’uso in modo non proporzionato ai legittimi obiettivi da raggiungere.

c) L’uso delle armi da fuoco va considerato una misura estrema e occorre fare ogni sforzo per evitarlo, specialmente contro i minorenni. In generale, le armi da fuoco dovrebbero essere usate solo quando un autore di reato offre resistenza armata o pone in qualche altro modo a rischio la vita degli altri e non esistono misure meno estreme capaci di contenerlo e fermarlo. In ogni caso in cui si sia usata un’arma da fuoco, occorre fare un immediato rapporto all’autorità competente.

Articolo 4

Gli appartenenti alle forze di polizia non devono rendere note informazioni di natura confidenziale in loro possesso a meno che il dovere d’ufficio o la necessità della giustizia non richiedano assolutamente di farlo.

Commentario:

Proprio per la natura della loro professione, gli appartenenti alle forze di polizia vengono a conoscere fatti riguardanti la vita privata di altri o potenzialmente dannosi per i loro interessi, e ancor più per la loro reputazione. Essi devono usare ogni cura e precauzione per salvaguardare tali informazioni e renderle note solamente se necessario per svolgere doveri d’ufficio o servire le necessità della giustizia. Renderle pubbliche per qualunque altro motivo è una grave mancanza.

Articolo 5

Nessun appartenente alle forze di polizia infliggerà, istigherà o tollererà atti di tortura o altri tipi di trattamento o pena crudeli, inumani o degradanti, né potrà invocare attenuanti come ordini superiori o circostanze eccezionali – come lo stato di guerra o il pericolo di guerra imminente, le minacce alla sicurezza nazionale, l’instabilità politica o ogni altro tipo di emergenza pubblica – come giustificazioni della tortura o di altri tipi di trattamento o pena crudeli, inumani a degradanti.

Commentario:

a) Questo divieto discende dalla Dichiarazione per proteggere tutti gli individui dall’essere sottoposti a tortura e ad altre forme di trattamento o pena crudeli, inumane o degradanti, adottata all’Assemblea Generale, secondo cui: “Un tale atto è un’offesa alla dignità umana e deve essere condannata come un rifiuto degli scopi dello Statuto delle Nazioni Unite e una violazione dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali proclamate dalla Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo (e dagli altri strumenti internazionali) sui diritti dell’uomo”.

b) La Dichiarazione definisce il termine “tortura” come: “… ogni atto con cui un pubblico ufficiale intenzionalmente infligge, o istiga un altro ad infliggere, un grave dolore o sofferenza, sia fisici sia mentali, ad un individuo allo scopo di ottenere da lui o da altri un’informazione o una confessione, di punirlo per un atto che ha commesso o è sospettato di aver commesso, o di intimidire lui o altri. Non include il dolore o la sofferenza che derivano esclusivamente, per ragioni intrinseche o accidentali, da sanzioni legittime in linea con i principi delle Regole minime per il  trattamento dei detenuti”.

c) Il significato di “trattamento a pena crudeli, inumani o degradanti” non è stato definito dall’Assemblea Generale, ma deve essere interpretato nel modo più estensivo possibile in modo da fornire protezione contro ogni abuso sia fisico sia mentale.

Commentario:

a) Il Codice avrà valore coercitivo non appena incorporato nella legislazione o prassi domestica. Se queste comprendano norme più rigorose, andranno osservate queste ultime.

b) L’articolo cerca di preservare un giusto equilibrio fra la necessità di disciplina interna nell’agenzia dalla quale dipende in larga misura la sicurezza pubblica e la necessità di intervenire contro le violazioni dei diritti dell’uomo. Gli appartenenti alle forze di polizia denunceranno le violazioni attraverso la catena di comando e intraprenderanno altre prassi legali al di fuori di questa, solo se non sarà disponibile o non avrà effetto alcun altro rimedio. È chiaro che, per avere denunciato una violazione o una tentata violazione del Codice, gli appartenenti alle forze di polizia non devono subire alcuna sanzione amministrativa o d’altro tipo.

c) La frase “apposite autorità od organismi con potere di controllo e di intervento” si riferisce a qualunque autorità o organismo istituiti dalla legge domestica, sia interni o esterni alle forze di polizia, con potere statutario, consuetudinario o di altro tipo, di esaminare reclami e denunce relativi alle violazioni del Codice.

d) In alcuni paesi, i mezzi di comunicazione di massa possono svolgere un ruolo di controllo dei reclami simile a quello delle istituzioni citate nel paragrafo c. Gli appartenenti alle forze di polizia possono essere quindi giustificati se, come estremo rimedio, secondo la legge e i costumi del proprio paese e nel rispetto dell’articolo 4 di questo Codice, richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica su una violazione attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

e) Gli appartenenti alle forze di polizia che operano secondo le norme di questo Codice meritano il rispetto, pieno supporto e cooperazione sia della comunità e dell’istituzione in cui servono, sia di tutte le forze di polizia.

Articolo 6

Gli appartenenti alle forze di polizia garantiranno la totale protezione della salute delle persone in loro custodia. In particolare, essi prenderanno immediate misure per assicurare le cure mediche quando necessario.

Commentario:

a) La frase “cure mediche” indica i servizi forniti da ogni tipo di personale sanitario – compresi medici e paramedici – che devono essere assicurati ogni volta che siano necessari o vengano richiesti.

b) È probabile che nei ruoli della polizia sia inserito del personale medico, del cui parere i funzionari devono tenere conto quando richiedono di fornire a una persona sotto custodia un trattamento attraverso, o in consulto con personale medico esterno.

c) Si capisce che gli appartenenti alle forze di polizia devono procurare le cure mediche anche per le vittime di reati o d’incidenti scaturiti dalla commissione di un reato.

Articolo 7

Gli appartenenti alle forze di polizia non dovranno mai essere coinvolti in atti di corruzione. Anzi si opporranno rigorosamente alla corruzione e la combatteranno.

Commentario:

a) Ogni atto di corruzione, come ogni altra forma di abuso di autorità, è incompatibile con la professione di funzionario di polizia. Occorre prendere i dovuti provvedimenti di legge contro qualunque appartenente alle forze di polizia colpevole di corruzione con estremo rigore, poiché uno stato non può applicare la legge sui propri cittadini, se non può, o non vuole, applicarla sui propri funzionari e all’interno delle amministrazioni pubbliche.

b) La completa definizione di corruzione è fornita dalle legislazioni domestiche; ma essa include in ogni caso la commissione o omissione di un atto nello svolgimento dei propri doveri, in cambio di doni, promesse o incentivi richiesti o accettati, o illecita accettazione di tali favori dopo avere commesso o omesso un atto.

c) L’espressione “atto di corruzione” sopra citata va interpretata come inclusiva di “tentata corruzione”.

Articolo 8

Gli appartenenti alle forze di polizia rispetteranno la legge e questo Codice e si opporranno, con tutte le loro forze e estremo rigore, ad ogni violazione contro le loro norme.

Gli appartenenti alle forze di polizia che avranno motivo di credere che una violazione del Codice sia avvenuta o stia per avvenire, denunceranno il fatto ai propri superiori e, se necessario, ad altre apposite autorità od organismi con potere di controllo e intervento.

Commentario:

a) Il Codice avrà valore coercitivo non appena incorporato nella legislazione o prassi domestica. Se queste comprendono norme più rigorose, andranno osservate queste ultime.

b) L’articolo cerca di preservare un giusto equilibrio fra la necessità di disciplina interna nell’agenzia dalla quale dipende in larga misura la sicurezza pubblica e la necessità di intervenire contro le violazioni dei diritti dell’uomo. Gli appartenenti alle forze di polizia denunceranno le violazioni attraverso la catena di comando e intraprenderanno altri passi legali al di fuori di questa solo se non sarà disponibile o non avrà effetto alcun altro rimedio. È chiaro che, per avere denunciato una violazione o una tentata violazione del Codice, gli appartenenti alle forze di polizia non devono subire alcuna sanzione amministrativa o d’altro tipo.

c) La frase “apposite autorità od organismi con potere di controllo e intervento” si riferisce a qualunque autorità o organismo istituiti dalla legge domestica, sia interni o esterni alle forze di polizia, con potere statutario, consuetudinario o di altro tipo, di esaminare reclami e denunce relativi alle violazioni del Codice.

d) In alcuni paesi, i mezzi di comunicazione di massa possono svolgere, un ruolo di controllo dei reclami simile a quello delle istituzioni citate nel paragrafo c. Gli appartenenti alle forze di polizia possono essere quindi giustificati se, come estremo rimedio, secondo la legge ed i costumi del proprio paese e nel rispetto dell’articolo 4 di questo Codice, richiamano l’attenzione dell’opinione pubblica su una violazione attraverso i mezzi di comunicazione di massa.

Gli appartenenti alle forze di polizia che operano secondo le norme di questo Codice meritano il rispetto, pieno supporto e cooperazione sia della comunità e dell’istituzione in cui servono, sia di tutte le forze di polizia.

Somatopsicodinamica della depressione

La depressione è un’emozione che può divenire un sintomo, se non un aspetto caratteriale.

La psichiatria classica distingue la depressione in endogena ed esogena, ma se ci atteniamo ai principi energetici di Reich, possiamo individuare certi “blocchi” corporei come responsabili delle diverse manifestazioni della depressione e cogliere l’etiologia di essa molto meglio che la nosografia ufficiale ed attuale.

Rifacendomi a Wernicke, possiamo parlare di situazioni o di processi somato-psichici che ritengo più esatto definire somato-psico-dinamici. Intendo riferirmi ai concetti che sottolineano come ogni condizione di privazione, di perdita, mancanza, determinino una condizione “depressiva” che troveremo, pertanto, ancorata a diversi livelli muscolari del corpo.

Opino che vi siano quattro possibilità per tale ancoraggio, per cui quattro espressioni della psicopatologia depressiva.

La prima possibilità è data dalla depressione psicotica allorché il soggetto non è cosciente del suo stato depressivo, egli non lo “vede”: in tal caso è il livello ad essere bloccato. Il blocco del 1. livello, dei telerecettori cioè, induce la situazione psicotica in cui la depressione è l’aspetto saliente; il blocco di tale livello per l’insoddisfazione, la frustrazione avvenuta durante i primi giorni di vita determina la condizione psicotica che è da ritenersi fondamentale in ogni caso di “psicosi depressiva”.

La sintomatologia si presenta col mutacismo, con la catatonia, con l’esplosione di rapporti distruttivi, molto pericolosi per il soggetto e per gli altri. Per tali motivi come ho già scritto e detto altre volte, non si può parlare di specifiche psicosi, ma solo delle “psicosi”.

Seconda possibilità: dal momento che sappiamo che subito dopo la nascita, attraverso l’allattamento, è la bocca, cioè il 2. livello reichiano del corpo, che entra in funzione, va da sé che se la frustrazione esistenziale si verifica in tale periodo, implode tutta la sintomatologia definita “orale”. Dico “implode” perchè in tali casi si struttura un vero e proprio nucleo depressivo della personalità, pronto ad esplodere allorché determinate situazioni esistenziali fanno rivivere al soggetto le stesse penose emozioni neonatali. Tali emozioni rimosse sono legate ad un cattivo maternage o ad un precoce svezzamento.

In questi casi vi sono due possibilità di manifestazioni orali, quella cosiddetta insoddisfatta e quella rimossa. Nella prima si tratta di soggetti che hanno ricevuto frustrazioni relative all’allattamento: soggetti che hanno sofferto una fame di latte che arrivava o troppo poco o in ritardo, dando loro tutta la possibilità di fantasmatizzare, da cui, in clinica, la presenza di pseudo-allucinazioni. Tutto ciò si manifesta nella caratterialità adulta con una spiccata tendenza alla depressione profonda dell’umore che il soggetto cerca di compensare o di evitare attraverso l’abuso del cibo, dell’alcool, del fumo. È importante, in terapia, cercare di stabilire l’epoca in cui tale frustrazione si è verificata.

L’oralità rimossa, si installa invece per uno svezzamento troppo precoce: la paura e la rabbia provata dal neonato in tale circostanza si manifesta in seguito con una contrazione cronica dei muscoli masseteri; spesso la mandibola è quadrata ed il soggetto parla fra i denti. Tale frustrazione comporta una caratterialità aggressiva di tipo distruttivo, con mordacità e con una suscettibilità al limite della paranoia.

Si delinea così il soggetto borderline che può esplodere in manifestazioni psicotiche allorché il blocco energetico della bocca invade gli occhi, regredendo. Per tali soggetti tra compensazione avviene mediante un privilegiare il “piacere” degli occhi (in tal modo non si accumula energia) con la lettura, l’estetica, ecc., se non con la droga.

Prima di passare alla nevrosi depressiva è opportuno prendere in considerazione la cosiddetta sindrome maniaco-depressiva, la cui alternanza delle fasi corrisponde in chiave reichiana a situazioni nelle quali, per la fase depressiva, da parte del soggetto si ha difficoltà a “vedere” l’altro e se stesso (accomodazione, convergenza) e facilità a ,”rodersi dentro” (mordere) come ruminazione aggressiva. La fase maniacale è caratterizzata da una facilità di “guardare e guardarsi a destra e a sinistra” e nel contempo da un bisogno di “succhiare” facilmente tutto quanto attorno.

In termini di vegetoterapia vi è uno sfasamento tra il primo e il secondo livello con una funzionalità incoerente e discordante.

Nel quadro della depressione è necessario, inoltre, ricordare la forma depressiva criptica; tale sindrome, secondo me psicotica di fondo, è nascosta per la presenza di un “blocco” al naso (ne parleremo prossimamente) che “compensa” quello degli occhi e della bocca: la sintomatologia depressiva esplode o per lo “sblocco” improvviso del naso o perchè il blocco, come difesa, oltrepassa i limiti energetici. Il blocco del naso si accompagna sempre con quello del 6. livello, l’addominale.

Terza possibilità: in relazione alla nevrosi depressiva possiamo collocare l’ipocondria, quadro clinico in cui il soggetto è capace di vedere l’altro o se stesso, ma non con un ritmo alternato per ciò che concerne il 1. livello, bensì nei confronti del 2., della bocca; il funzionalismo, cioè, è fortemente disturbato.

Che tale sindrome sia a cavallo con la nevrosi depressiva lo dimostra la sintomatologia in cui prevale l’attenzione morbosa del soggetto per la propria salute, per il proprio corpo temuto malato, cioè per il proprio Io.

È secondo me, il 3. livello reichiano, cioè il collo, responsabile della vera e propria nevrosi depressiva o depressione nevrotica. Tale 3. livello arriva in basso fino alla linea mammillare; la clinica classica lo conferma e quella reichiana pure. Non si tratta, infatti, né di uno stato né di un processo depressivo nel senso vero dei termini: il soggetto “vede” bene la sua “depressione” che è, piuttosto, una invadente tendenza alla tristezza, alla malinconia, alla “nostalgia” romantica!

Il blocco di tale livello è predominante su quello orale ed impedisce al soggetto di superare una condizione psicodi-namica di ambivalenza, nel senso che per ciò che riguarda il solo blocco degli occhi e della bocca vi è una chiara situazione di dipendenza psicologica, mentre qui vi è anche la problematica di esserlo (dipendente) o non esserlo. Il soggetto desidera essere indipendente, ma c’è qualcosa di più forte di lui che lo… blocca.

Questa dipendenza è legata all’identità poiché un soggetto dipendente è uno che non ha avuto la possibilità di-superare l’identificazione e raggiungere quindi la sua identità. Il dipendente si identifica facilmente e l’identificazione è sempre quella con la figura materna, mentre con l’identità si raggiunge l’Io individuale.

Tale blocco della parte superiore del torace (sempre 3. livello) beneficia in vegetoterapia degli acting delle braccia e, poiché il torace inferiore (4. livello) è condizionato al diaframma (5. livello) è evidente che la nevrosi depressiva si evidenzia insieme a manifestazioni ansiose. Abbiamo, cioè, la depressione ansiosa, in tal caso è l’irrigidimento del collo (blocco) per il tentativo narcisistico di superare l’ambivalenza che comporta la partecipazione diaframmatica legata all’ansia e al masochismo: il soggetto è lamentoso, si ritiene incapace, sfortunato, ecc.

Un quarto tipo di depressione è quello legato a un blocco predominante del 7. livello (il bacino) insieme a residui di oralità insoddisfatta: è dovuto all’impossibilità da parte del soggetto di procurarsi o ricevere una ben soddisfacente gratificazione paragonabile all’equivalente del pia cere sessuale genitale. Tale impossibilità produce come reazione una manifestazione depressiva di tipo reattivo.

Si tratta di “disturbi” convergenti per cui, una volta che l’elemento esogeno è stato superato o eliminato, il soggetto ritrova la sua vitalità, anche se ulteriori frustrazioni potranno di nuovo temporaneamente “deprimerlo”.

Si potrebbe definire, allora, la depressione reattiva meglio come depressione isterica. E l’isteria, per le donne e per gli uomini, come diceva Reich, è l’anticamera della genitalità !

In tali casi vi è sempre una “componente” diaframmatici di masochismo, il che spiega le ricadute come coazione a ripetere.

Questo breve panorama della depressione interpretata in chiave reichiana, ci mette in condizione di poter fare a meno di una classificazione nosografica rigida e ancor più ci spiega perchè in psichiatria “certi” psicofarmaci aiutano solo “certi” depressi e non altri, ciò significa che “energeticamente” influenzano solo certi livelli, ma dal momento che ogni livello ha un substrato emotivo è ovvio che se il soggetto non ha avuto la possibilità terapeutica di esprimere le abreazioni, le ricadute saranno inevitabili.

 

Una psicologia per tutti

ANALISI DEL CONTESTO

Superati i tabù sul ricorso alla psicoterapia come cura di un disagio mentale grave e per questo passibile di vergogna, ogni individuo avverte la necessità di “curare la propria anima”, di attuare un percorso finalizzato all’auto consapevolezza, a un maggior benessere psicofisico e soprattutto a una ritrovata gioia di vivere. Star bene con se stessi e con gli altri sono certamente degli obiettivi ambiziosi e faticosi da raggiungere, ma perseguibili con facilità proprio partendo dal presupposto che è un diritto dovere curare e confortare la propria anima. E dato che il benessere psicologico di ciascuno di noi dovrebbe essere considerato il nucleo fondamentale e indispensabile per una buona qualità della vita, ad esso dovrebbe essere conferito il giusto merito ed attribuito un adeguato valore. Pertanto chi si trova nella condizione di voler richiedere un supporto psicologico, ma non ha le possibilità economiche per conseguire tale obiettivo privatamente e deve purtroppo confrontarsi con liste d’attesa lunghissime per accedere ai servizi pubblici, va aiutato.

Non si può trascurare che, in tema di salute e qualità della vita, il lavoro (inteso in senso lato come investimento di energie personali per il conseguimento di un determinato fine) è innanzitutto fonte di riconoscimeto psicologico e quindi matrice identitaria.
Se proviamo a renderci conto che viviamo la maggior parte della nostra giornata al lavoro, non potremo nasconderci che oggi la qualità della nostra vita è rappresentata soprattutto dalla qualità della vita professionale; cioè dalla qualità del lavoro (sia quando c’è lavoro che quando non c’è).
Stiamo veramente vivendo una mutazione “genetica” nelle nostre condotte di lavoro. In alcune circostanze possiamo verificare una vera alterazione nei parametri qualitativi della nostra vita e sono presenti nuove disfunzioni che attualmente stanno affliggendo la salute delle persone. Da una parte vi sono problematiche di tipo “fisico”: disturbi molto spesso cronicizzati e in stretto rapporto con la fatica mentale e lo stress; dall’altra sono evidenti le problematiche di natura “animica” o “mentale”, derivanti da un non armonico rapporto con se stessi, i propri colleghi, i dipendenti, il lavoro e il ruolo. Si tratta di campanelli d’allarme che mostrano molto chiaramente la necessità di una riflessione sulla salute al lavoro nell’attuale clima di accresciuta competizione e di cambiamenti nei modelli di occupazione.

Con sempre maggiore frequenza oggi proviamo una certa inquietudine per le conseguenze di modelli organizzativi e di procedure di lavoro che sembrano aumentare soprattutto la gravosità dei carichi mentali. Alla richiesta di fare presto, meglio e a meno costi, le aziende e le organizzazioni sono costrette a introdurre nuove pratiche e procedure organizzative che comportano l’assunzione di compiti nuovi e più impegnativi per le persone che vi lavorano. Le difficoltà e i problemi nuovi, sono segnali che impongono di aggiornare i nostri strumenti professionali i quali, naturalmente, coinvolgono a vario livello specifiche competenze e professionalità.
Tutto ciò presuppone che venga posta una attenzione più marcata alla “socializzazione” della psicologia, che essa non resti solo appannaggio degli esperti, ma faccia parte delle competenze di base di ogni individuo: per la vita quotidiana, per il lavoro, per le relazioni che essa vorrà intessere.
Emerge la necessità di trasformare le disfunzioni e gli elementi critici emergenti in esperienze pro-positive, avviare interventi di formazione e di ricerca adeguati alle mutate condizioni. La psicologia e gli psicologi non sono esclusi in queste trasformazioni;
In futuro qualsiasi intervento di promozione della salute, qualsivoglia attività di prevenzione in fatto di salute, non potrà prescindere dalla cultura della psicologia
La psicologia ha davanti a sé una lunga strada di continua ricerca azione, un costante “cimento” che offrirà a ciascuno la opportunità di sentirsi al passo con le evoluzioni dei bisogni professionali autodiretti ed eterodiretti.

Si parla quotidianamente nei mass media di disagio ma sono poco diffuse le conoscenze su quanto si può fare e si fa per promuovere il benessere psicologico.
Una manifestazione per promuovere il benessere psicologico dovrà basarsi sulla convinzione, ormai diffusa, che il migliore modo di prevenire il malessere delle persone non è quello di intervenire direttamente su di esso, ma di perseguire iniziative volte a potenziare abilità fondamentali per l’adattamento nei diversi contesti di vita.
Le condizioni di autoefficacia in questo caso costituiscono gli indicatori più possibili di tali capacità e pertanto rappresentano importanti determinanti del benessere delle persone.
Occorre considerare le persone come agenti attivi del loro sviluppo, perché essi sono in grado di trarre vantaggio dalle relazioni con se stessi, gli altri, il lavoro, la famiglia, ecc.
Ciò che contraddistingue le convinzioni di autoefficacia delle donne e degli uomini è la loro specificità: tali convinzioni variano in relazione alle diverse aree del funzionamento umano ed in relazione ai diversi ambiti in cui si declina l’esperienza individuale.
Molti studi, anche nel contesto italiano, hanno sottolineato l’importanza del senso di autoefficacia, nelle sue diverse articolazioni relazionali, nel promuovere il benessere psicologico ed ostacolare le condizioni di rischio.
Lo psicologo è in grado di fornire suggerimenti di indirizzo e intervento, per agevolare nelle persone le abilità cognitive, emotive ed interpersonali indispensabili per il loro benessere.

OBIETTIVI

– Fornire informazioni sulla capacità professionale, la qualità degli interventi e la specificità della formazione degli psicologi e della psicologia

– Aiutare a riconoscere che le strategie proattive per agevolare il benessere psicologico, legato alla attività lavorativa, all’allevamento dei figli, ecc., possono avere un ruolo importante sulla collaborazione interna e l’aumento di partecipazione dei collaboratori.

– Contribuire ad eliminare i pregiudizi sul disagio psichico e facilitare lo scambio di buone pratiche per agevolare nelle persone abilità cognitive, emotive ed interpersonali indispensabili per il loro benessere.

– Rendere evidente che è sempre più necessario tener conto dei bisogni di donne e uomini, bambini, giovani e anziani, più esplicitamente e dichiaratamente psicologici

– Informare che lo psicologo oggi opera sempre più in contatto con il medico, il sociologo, l’assistente sociale, le istituzioni socio assistenziali, ecc., per affrontare in una prospettiva multidisciplinare i principali problemi che coinvolgono più o meno indirettamente la salute e il benessere delle persone in rapporto con la loro cittadinanza e la loro vita lavorativa.

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