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L’impatto della tecnologia sul lavoro produce molti effetti sulla salute dei lavoratori, specialmente in termini di rischi psicosociali.

In questi ultimi anni, lo sviluppo delle piattaforme d’intermediazione che consentono massive relazioni tra clienti e fornitori di servizi è accompagnato da numerosi interrogativi provenienti dal mondo del lavoro.
Anche se questo fenomeno è ancora marginale, esso richiama la nostra attenzione perché le organizzazioni del lavoro che occupano questi nuovi attori, sfuggono in larga misura ai riferimenti normativi in vigore.
Oltretutto, queste nuove attività stanno già avendo un effetto sull’organizzazione di molte aziende tradizionali.
 
L’INRS (Institut national de recherche et de sécutité) francese ha condotto una indagine di prospettiva sulle piattaforme dei nuovi lavori e il loro impatto sulla salute e sicurezza sul lavoro fino al 2027. Mettendo in evidenza con questo studio la complessità della valutazione e della prevenzione del rischio nel contesto organizzativo del lavoro di queste piattaforme.
 
I lavoratori autonomi che lavorano attraverso queste piattaforme sono particolarmente esposti a determinati fattori di rischio psicosociale: intensificazione del lavoro, bassa autonomia, impoverimento delle relazioni sociali, insicurezza delle situazioni lavorative, ecc.
 
Ora come ora, queste piattaforme sono in forte competizione tra loro e hanno bisogno di trattenere i lavoratori autonomi per garantire servizi di qualità. Di conseguenza, la tutela della salute dei lavoratori potrebbe costituire un vantaggio per attrarli e fidelizzarli.
 
Attualmente queste piattaforme sono focalizzate sull’ottimizzazione della “customer experience”, e l’INRS invita le aziende ad essere più interessate a migliorare la “esperienza lavorativa” e ad integrare la salute sul lavoro il più possibile a monte nelle nuove organizzazioni.
 
Per saperne di più:
“Plateformisation 2027
Conséquences de l’ubérisation sur la santé et la sécurité au travail”
http://www.inrs.fr/dms/inrs/Presse/presse-2018/CP-Plateformisation2027/CP-Plateformisation2027.pdf.

Le problematiche di natura psichica sempre più riconosciute come rischio professionale.

In Francia, l’Assurance Maladie – Risques professionnels (Ameli.fr) ha appena pubblicato i risultati di uno studio senza precedenti sui disturbi psichici legati al lavoro. Nel 2016, i casi hanno rappresentato circa l’1,6% di tutti gli infortuni sul lavoro. Mentre il numero d’infortuni sul lavoro è generalmente basso, la quota di disturbi psichici continua a crescere.

Analogamente, il numero di richieste di riconoscimento di problematiche psichiche per malattie professionali è aumentato di cinque volte in cinque anni, da circa 200 richieste nel 2012 a più di 1.100 nel 2016. Il numero di domande dovrebbe essere stabilito a circa 1500 nel 2017.

Le vittime di questi disturbi psichici sono principalmente donne, impiegate, che hanno in media 40 anni. Si tratta di dati coerenti con la maggiore esposizione delle donne ai rischi psicosociali.

Il settore socio-sanitario è fortemente colpito poiché concentra, da solo, il 20% dei casi di sofferenza psichica, mentre impiega solo il 10% dei dipendenti. I settori della vendita al dettaglio e dei trasporti (in particolare con i viaggiatori) sono particolarmente toccati (13% e 15%). I dipendenti in relazione diretta con il pubblico sono i più vulnerabili.

Gli effetti di natura psicopatologica sono innescati da un evento esterno (aggressione, minacce, rapine) o da condizioni di lavoro difficili che portano alla depressione e all’ansia.

Le condizioni psicologiche riconosciute come malattie professionali hanno ripercussioni ancora più gravi: i tempi medi di assenza sono di 400 giorni.

Per saperne di più:

Les affections pyschiques liées au travail, éclairage sur la prise en charge actuelle.

https://www.ameli.fr/sites/default/files/Documents/357154/document/enjeux_et_actions_2018_affections_psychiques_liees_travail.pdf

Vivere insieme

Un tempo non molto lontano, un uomo di nome Martin Luther King, ci ammoniva dicendoci che “Restituire colpo su colpo, vuol dire propagare la violenza; rendere ancora più oscura una notte senza stelle”.
Allora egli ha tentato di farci comprendere che le tenebre non possono scomparire da sole; è la luce che le manda via e, allo stesso modo, l’odio non sopprime l’odio. Solo l’amore vi riuscirà. Sta in questo la bellezza della non violenza, perché essendo libera da costrizioni, essa può stroncare la reazione a catena del male.
 
L’umanità occidentale ha continuato ad affrontare con molta capacità le sfide dei cambiamenti che gli si sono presentati nel corso del tempo. Attenuando tuttavia i legami sociali.
Oggi si avverte il bisogno di rivitalizzare la nostra capacità di vivere insieme, di ristabilire legami partendo dalla libera iniziativa di ciascuno.
Allo stesso tempo, riconoscere alle persone il potere individuale e l’autenticità del loro essere (umani) nel flusso delle innovazioni.
 
Impariamo ogni giorno a ridefinirci nel cambiamento. Attraverso l’articolazione economica delle azioni, dell’utilità di essere responsabili, dell’uguaglianza di fronte alle regole, della sacralità della scienza e dell’etica, della ragione e della libertà, rispettando però i principi elementari della dignità e dell’essere spirituale che distingue ciascuno di noi.
In risonanza diretta con la bontà, che è all’origine del mondo ed eco vivente del Cristo fattosi umano.
 
Se vogliamo impegnarci (crescendo noi stessi) per uno sviluppo sostenibile della società, avremo bisogno di tener conto di questi riferimenti.
Anche quando vogliamo intervenire nelle organizzazioni del lavoro.
 
Vittorio Tripeni (2002) ” Vivere insieme “, in “Oltre il Giardino”. eBook 2018

Ogni reale cambiamento avviene attraverso la consapevolezza desta.

Se i pensieri fossero “chiari” forse l’uomo non si ammalerebbe: nel disturbo psichico si fa molto labile la consapevolezza del particolare modo di vivere il mondo esterno e così nella malattia fisica scompare o perlomeno diminuisce la coscienza dell’eventuale “ragione” psichica causa della malattia o che comunque sostiene e contribuisce al mantenimento della affezione stessa.
 
Quando il corpo è malato è possibile che siano malati i nostri pensieri e quando il nostro pensare è malato anche il corpo è malato.
Non può esserci cambiamento fisico e psichico senza una coscienza meno ottusa e più volitiva.
 
Nel capo, attraverso la “cognizione”, nel senso di “essere pienamente consapevole”, avviene il cambiamento; esso però non è la sede della guarigione. Questa la troviamo nel torace dove con il respiro si manifesta il nostro “sentire” e cioè la percezione degli affetti, delle emozioni, dei desideri.

Campioni dai piedi d’argilla

Come si svolge il lavoro degli operatori di Polizia Locale? E quale percezione hanno del loro lavoro? Un’indagine etnografica svolta su un campione significativo di 298 operatori della Polizia Locale di una grande città italiana ha fatto emergere informazioni molto interessanti per valorizzare il loro lavoro e risaldare il patto di fiducia con i cittadini.

 

Da decenni le città italiane sono al centro di trasformazioni complesse e la polizia locale rappresenta il principale regolatore dei flussi di una trasformazione urbana e sociale in continua evoluzione. Questa trasformazione oltre a generare incertezza a livello individuale (rispetto al lavoro, al futuro, al collocamento nella società, alle aspettative individuali, etc..) obbliga le istituzioni ad attuare trasformazioni non sempre facilmente pianificabili sui tempi medi e lunghi.

La polizia locale, come d’altra parte le altre “polizie” rappresentano una professione che permette all’individuo di svilupparsi, di realizzarsi, non soltanto attraverso la soddisfazione dei suoi bisogni primari, ma anche grazie alla possibilità di realizzare e mettere in pratica delle strategie di crescita personale fondamentali, quali quelle identificative, nei termini dell’affermazione di sé e quelle cosiddette di “posizionamento” sociale e relative all’immagine riconosciuta.


La percezione che l’operatore di polizia locale ha, riguardo il suo lavoro e la interazione con il suo mondo professionale e i cittadini, influisce sul suo “mondo” personale e professionale ed è certamente interessante oggi fare luce su questi vissuti. Lavorare anche all’esterno degli spazi propri dei palazzi pubblici richiede una necessaria dichiarazione di identità e un processo di riconoscimento di uno statuto differenziato.

E’ interessante osservare come i corpi di polizia possano esprimere, in dipendenza degli eventi, una specifica tipologia di organizzazione tra quelle contemporaneamente coesistenti nella “impronta” dell’Istituzione (coercitiva, utilitaristica, normativa). Tutto ciò ha portato a far sì che oggi gli interventi di polizia s’identificano in compiti di soccorso, aiuto, ascolto, consulenza e protezione in termini di cortesia, fiducia e lealtà nei confronti del cittadino onesto; e in termini di correttezza e tenacia, fermezza e determinazione, nei confronti dei cittadini meno onesti, ma non per questo immeritevoli di rispetto nella loro dignità umana.

La ricerca è nata dalla constatazione che a fronte di numerosi “studi” di natura giuridico amministrativa, manca tuttora una documentazione consolidata sulla realtà organizzativa della PL che tenga conto di una valutazione partecipata di coloro che vi lavorano. Le opinioni, il vissuto e il processo di costruzione di significato degli operatori appaiono attualmente ancora non considerati in modo compiuto. C’è la necessità in poche parole di mettere in luce la reale vita professionale dei poliziotti, uscendo dagli stereotipi.

La ricerca

Sono stati condotti 14 gruppi di discussione 16 colloqui e raccolti 298 protocolli scritti nel periodo 8 aprile – 24 giugno 2013. Quale strumento di rilevazione diretta, è stata utilizzata un’intervista semi-strutturata; assicurando ai partecipanti la riservatezza più completa.

L’indagine ha valutato la percezione del lavoro che gli operatori di polizia svolgono realmente, con lo scopo di identificare le qualità professionali da essi ritenute importanti per svolgere efficacemente i loro compiti alla luce delle esigenze sociali attuali; di capire se gli operatori di PL sono consapevoli delle attuali sfide di fronte alle quali si trovano; di valutare come percepiscono e valutano le esigenze dei compiti per i quali essi sono stati formati.

I risultati ottenuti per la prima volta offrono un quadro vivente di come effettivamente si svolge il lavoro degli operatori di Polizia Locale.

I risultati

Il primo aspetto che emerge mette in luce che gli agenti pur consapevoli sotto il profilo ordinamentale tecnico)dei compiti di polizia locale tradizionalmente riconosciuti, non abbiano in realtà una visione chiara sulle attività quotidiane e gli interventi che devono svolgere. Sembrano anche in gran parte consapevoli, sebbene non lo esprimano esplicitamente, di essere potenziali agenti di cambiamento, in grado di agire sul loro ambiente, aiutando i cittadini e la comunità, ma nello stesso tempo nutrono perplessità nei confronti dei compiti di prossimità. A questo si aggiunga che gli elementi positivi del lavoro in polizia riguardano soprattutto i benefici personali (il valore economico, l’azione, la varietà dell’impiego e la gestione del tempo, l’avanzamento, ecc.) che possono trarne, e non gli scopi sociali e lo spirito del loro servizio. L’aspetto sociale del lavoro della polizia locale e l’aiuto che gli operatori possono portare agli altri non rappresentano il motivo principale che li ha spinti a diventare un poliziotto. Il motivo più rilevante che essi esprimono, riguarda il “posto” e le condizioni economiche.

Compiti non definiti

Come si diceva molti degli intervistai non hanno una visione chiara dei compiti, molti si sentono, loro malgrado, “tuttologi” (ad es.: “… facciamo praticamente tutto … Un po’ di tutto e talvolta magari non in modo ideale”; “la PL ad oggi svolge compiti più del dovuto … anche se nella maggior parte dei casi o situazioni non viene apprezzato”; “Tutto e niente. Tutto perché si viene richiesti per qualsiasi tipo di intervento … Purtroppo il più delle volte senza avere l’opportunità di risolverli”; “oggi la figura ed i compiti dell’agente della PL, nell’ambito della realtà cittadina, assumono un aspetto ibrido. La PL, a seconda dell’amministrazione in carica, ne rappresenta l’orientamento a livello pratico”; …).

Parecchi riflettono uno stato di anomia (ad es.: “… tutto ci compete e si rischia di non sapere niente…”; “oggi il vigile è più poliziotto ma con poca preparazione”; “a volte mi sembra di non essere ‘né carne, né pesce’”; “hanno ridotto persino il ruolo dell’agente di polizia locale a quello di mero esattore o addirittura di vessatore della pubblica utenza”; “costante esagerato allargamento di compiti e funzioni che crea un abbassamento della qualità lavorativa … ho l’impressione di una crescente ostilità da parte della cittadinanza che fa costantemente diminuire il rispetto nei nostri confronti”; …).

Polizia di prossimità, un tabù tra gli operatori

Per quanto riguarda la polizia di prossimità e il rapporto con il cittadino, anche se parecchi considerano molto positivamente questo tipo di attività, una buona parte degli intervistati ha difficoltà a riconoscerne i principi e i benefici. Essi associano spesso la polizia di prossimità a una tattica utilitaristica da parte dell’amministrazione e non il “vero” lavoro di polizia. Gli intervistati considerano quasi tutti – se non tutti – che esiste la polizia di prossimità (lavoro di secondo ordine), e un altro tipo di lavoro della polizia (il vero lavoro di polizia ). Questo dipinge un quadro di limitata distintività professionale e di possibile svalutazione del proprio ruolo, tutti elementi che possono portare a un aumento del disagio professionale e a una riduzione del benessere con conseguente ritrazione dall’azione lavorativa. Potremmo anche chiederci come mai la qualificazione “prossimità” è così inquietante o addirittura imbarazzante.

Perché molte delle risposte fornite alla domanda specifica (Cosa è per te la polizia di prossimità) esprimono scarsa cognizione (ad es.: “non ne ho la più vaga idea”; “non so di cosa si tratti”; “è la prima volta che sento parlare di polizia di prossimità”; …). Altre volte, opinabilità (ad es.: “in condizioni molto diverse dalle attuali, potrebbe essere una buona idea”; “sono gli assistenti sociali, gli ascoltatori della gente”; “è solo una chimera”; “una polizia che non ha un compito ben specifico” …). In altri casi, si tende a banalizzare la connotazione (ad es.: “il vigile di quartiere”; “la polizia più vicina ai cittadini”; “quell’attività che consente… di poter risolvere la maggioranza dei problemi”; “è quella alla quale la cittadinanza si rivolge per prima in quanto più facilmente raggiungibile” …).

Il motivo di così tante risposte “imbarazzate” nei confronti di quella che attualmente rappresenta la qualità peculiare di una polizia moderna, probabilmente deriva dal fatto che il costrutto tecnico operativo di “prossimità” non è ancora stato ben definito, almeno nella cultura organizzativa delle polizie locali italiane; oppure perché pleonastico. Resta il fatto, che la natura stessa del lavoro di una moderna polizia è l’intervento sociale e comunitario e di conseguenza autentica attività di prossimità e di partnership e che quindi questo è un tema da affrontare in modo diretto.

Capacità di risolvere i problemi

Per quanto riguarda le “incombenze” inerenti le attività di prossimità, abbiamo voluto sondare l’opinione di circa il 50% del campione intervistato sulle capacità di approccio per la risoluzione dei problemi; aspetto cardine e innovativo di una “prossimità” in grado di essere al passo con i tempi; perché mira a gestire meglio e controllare i fenomeni che fanno emergere episodi di criminalità e di dis-ordine pubblico con conseguente deterioramento della sicurezza e della qualità professionale. L’approccio per la risoluzione dei problemi richiede dimestichezza con le condizioni e i fattori sottostanti le problematiche sociali, attribuisce un valore importante alla conoscenza delle caratteristiche socioculturali, economiche, demografiche, ecc., del contesto sociale (di lavoro) e incoraggia un’azione proattiva che va al di là del modello centrato sulla risposta alle richieste di intervento e alla reazione. E, come evidenzia la letteratura internazionale, sarà l’implementazione di questi diversi processi di risoluzione dei problemi che consentirà agli operatori della polizia, che lavoreranno in un ambiente sociale sempre più complesso, diversificato e in continua evoluzione, di analizzare correttamente una situazione, di pianificare correttamente alcuni interventi, agire positivamente sui problemi sociali e alleviare la miseria sociale.
Eppure, gli intervistati sembra abbiano voluto minimizzare l’importanza di approfondire il concetto relativo alla soluzione dei problemi, come se non fosse importante. Occasione questa che ci spinge a riproporci la domanda iniziale: gli agenti, sono a conoscenza di tutte queste sfide relative alla polizia contemporanea?
Abbiamo anche affrontato il tema della forza fisica, raccogliendo informazioni molto interessanti che ci riserviamo di trattare in un altro momento.

Le difficoltà di mestiere difficile

Un ulteriore motivo di interesse ha riguardato le difficoltà che gli intervistati incontrano nello svolgimento del loro lavoro; alcune di esse emergono più frequentemente e riguardano le relazioni con i cittadini e con i colleghi, ma anche la scarsità di attenzione da parte dei superiori. Evidente anche la necessità di una formazione più adeguata e l’aspettativa di avere più tutele. Inoltre, emergono ulteriori dati che segnalano in modo inequivocabile una sofferenza identitaria e la latenza di un forte conflitto con l’utenza, probabilmente dovuto al sentimento di inefficacia vissuto da molti operatori. Ogni intervistato ha affrontato sfide diverse da quelle affrontate dai suoi pari; sembra che ognuno abbia la sua piccola ricetta per superare queste difficoltà e le strategie individuate sembrano essere tutte piuttosto generiche e facilmente adattabili ad una varietà di problemi personali o professionali. Tuttavia non sufficienti per affrontare difficoltà più complesse che mettono in gioco la leadership e la cultura organizzativa. Ed è a questo punto lecito temere eventi che potrebbero compromettere seriamente la vita e la salute delle persone che scelgono il lavoro in polizia e quelle delle loro famiglie, ma anche l’efficacia di tutti i servizi di polizia. Con l’adeguata comprensione delle difficoltà che gli operatori di polizia stanno vivendo, probabilmente sarebbe possibile evitare o ridurre gli effetti di esse.

Le qualità personali

Un altro obiettivo di fondamentale interesse, è stato quello di individuare le qualità personali che gli intervistati riconoscono importanti ed essenziali per il loro lavoro; le qualità personali che essi ritengono importanti, e quelle che ritengono indispensabili per il lavoro della polizia. Inoltre, abbiamo voluto confrontare le qualità e gli atteggiamenti ritenuti importanti ed essenziali per gli operatori con quelli individuati nella letteratura. L’insieme dei dati raccolti ci permette di concludere che gli intervistati riconoscono la maggior parte delle qualità più importanti secondo la tradizione delle scuole di polizia e della letteratura, vale a dire, la capacità di auto- controllo, l’abilità di comunicazione, lo spirito di squadra, il senso di responsabilità, l’idoneità fisica, l’adattabilità, l’integrità, l’imparzialità e l’importanza di mantenere una buona reputazione, le competenze sociali e la capacità di gestire le emozioni. Tuttavia, ci sono alcune qualità che sono state meno frequentemente citate dagli intervistati. Queste riguardano la disciplina, il senso civico, il senso del dovere, la fiducia in se stessi, la tolleranza allo stress, l’iniziativa, l’onestà, l’identità di ruolo, la leadership, l’indipendenza, la cultura e la maturità. Evitando di arrivare alla conclusione che i nostri intervistati abbiano negato l’importanza di queste qualità, tuttavia è probabile che di queste ultime essi ne siano meno consapevoli e, di conseguenza, fatichino ad attribuire ad esse un adeguato valore.