Il dipendente problematico è una spina nel fianco per un diretto superiore. Talvolta, lo è anche per i suoi colleghi e spesso questi ultimi fanno pressione sul dirigente affinché egli possa risolvere il problema e faciliti un’atmosfera di lavoro più tranquilla. In alcuni casi la stanza del capo può diventare l’ufficio del pianto (“il mio ufficio è diventato un ufficio reclami …) di eventuali clienti insoddisfatti o addirittura offesi dal comportamento del dipendente.
Sarà per un caso che in azienda si dedica molto tempo alla valutazione della produttività (performance), ai bilanci e ai risultati delle vendite e meno alla manutenzione delle (risorse umane) relazioni tra le persone che lavorano? Certamente i numeri sono fondamentali per la sopravvivenza e il progresso dell’organizzazione aziendale e per la definizione delle strategie future.
Non sarà forse necessario considerare che il successo possa anche passare attraverso un esame approfondito della disponibilità mentale dei dipendenti?
Ad esempio chiedersi chi fa che cosa, come, in quale stato d’animo?
La complessità e la complicazione della vita di donne e uomini, nonché delle loro vicende personali, è tale che può essere possibile incontrare addirittura persone veramente disturbate. A volte manifestano evidenti difficoltà d’assimilazione delle elementari norme morali o dei valori aziendali. È il caso, ad esempio, raccontatomi da un valentissimo dirigente che, passando ad un altro incarico, ha dovuto subire l’onta dei lazzi dei suoi collaboratori che festeggiarono a champagne il suo trasferimento.
In altri casi, non è raro incontrare elementi difficili da sopportare, oppure eterni insoddisfatti, persone continuamente scontente che rendono la vita pesante ai loro colleghi, ai collaboratori, ai dirigenti.
Insomma, può essere complicato, se non impossibile, portare avanti un’iniziativa, un’attività nuova o un progetto; oppure coordinare e mantenere un minimo di agio all’interno di una riunione.
Può diventare un problema anche organizzare le persone e il gruppo, farle partecipare, ricondurre le discussioni sul tema all’ordine del giorno, gestire le tensioni e i conflitti.
È veramente una battaglia far fronte ai pensieri negativi, alle frasi killer, al fuoco incrociato di chi vuole soprattutto evidenziare le difficoltà per tentare di affossare definitivamente un progetto.
Ho ritrovato su alcune vecchie agende delle annotazioni che trovo ancora interessanti: brevi riflessioni, credo non banali rispetto al tempo in cui le ho scritte.
Ne ho scelto cinquantadue, risalenti al 2002, 2003 e 2004, con l’intenzione di proporre un motivo di ispirazione settimanale per il corso dell’anno.
Questa è la n. 20:
Il capo non è un santo (2003)
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