Depressione e ansia a lungo termine sono nemiche della sopravvivenza dopo un infarto

Depressione e ansia a lungo termine sono nemiche della sopravvivenza dopo un infarto

I pazienti che dopo un attacco di cuore presentano depressione o ansia prolungate sono a rischio più elevato di morte, secondo uno studio pubblicato sull’European Journal of Preventive Cardiology.

«Gli sbalzi d’umore temporanei, se non sono troppo frequenti o drammatici, sono una parte normale della vita. Sentirsi un po’ depressi dopo un attacco di cuore potrebbe anche essere una buona cosa se a causa di questa sensazione ci si riposa di più.

Da un altro punto di vista, però, il disagio emotivo cronico rende più difficile adottare i cambiamenti dello stile di vita che migliorano la prognosi dopo un infarto, come smettere di fumare, essere fisicamente attivi, mangiare in modo sano, ridurre lo stress e assumere i farmaci prescritti» afferma Erik Olsson, dell’Università di Uppsala, in Svezia, autore senior dello studio. Ricerche precedenti hanno dimostrato che il disagio emotivo, la depressione e l’ansia influiscono sulla prognosi dopo un infarto, ma i ricercatori hanno voluto questa volta esaminare la prognosi in base alla durata del disagio emotivo. Per questo hanno valutato i dati di 57.602 pazienti sopravvissuti almeno un anno dopo un primo infarto.

Depressione e ansia sono stati misurati a due e 12 mesi dopo l’infarto, e i pazienti sono stati poi seguiti per una media di 4,3 anni. Ebbene, l’analisi dei dati ha mostrato che il disagio emotivo persistente per più di un anno influisce sulla prognosi, a differenza di quello a breve termine.

Rispetto ai pazienti senza stress emotivo, infatti, quelli che si sono sentiti depressi o ansiosi in entrambi i punti temporali hanno mostrato una probabilità del 46% più elevata di decesso per cause cardiovascolari e del 54% per cause non cardiovascolari durante il follow-up. Al contrario, i pazienti che si sono sentiti in difficoltà solo a due mesi non hanno mostrato un aumento del rischio.

Complessivamente, più del 20% dei pazienti ha mostrato segni di disagio emotivo persistente. Questo fatto, come già dimostrato in passato, è principalmente legato a fattori sociodemografici, piuttosto che clinici. «Risorse migliori, migliore istruzione e migliori abilità cognitive, permettono di gestire percorsi difficili, e un buon lavoro con uno stipendio soddisfacente garantisce maggior controllo sulle circostanze. Questo non si verifica invece per le persone con una vita più dura» spiega Olsson.

Gli autori concludono affermando che le cliniche di riabilitazione cardiaca potrebbero rappresentare una buona opportunità per fornire aiuto alle persone con continue sensazioni di ansia o depressione.

 

Eur J Prev Cardiol. 2019. doi: 10.1177/2047487319841475
https://www.ncbi.nlm.nih.gov/pubmed/31159570

fonte: doctor33.it

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