Cosa ci fa un uomo nel bosco?

Cosa ci fa un uomo nel bosco?

Le allegorie del bosco, attraverso rappresentazioni artistiche e letterarie della “selva oscura”, della foresta selvaggia o della macchia, hanno evidenziato sin dall’antichità fasi critiche dello sviluppo umano. Momenti molto spesso caratterizzati da un profondo disorientamento e vissuti come inquietanti e minacciosi. Situazioni che nelle fiabe sono pure espresse da esseri misteriosi quali streghe, draghi, giganti, gnomi, leoni, orsi, ecc… Raffigurazioni che di solito alludono all’irrazionale, al crepuscolo della coscienza individuale, all’impulso talora acceso e talora oscuro che vive nascosto (inconscio) al mondo esterno e alla piena consapevolezza.
Le fiabe costituiscono una fonte continua d’ispirazione e aiuto. Sono un potente strumento di facilitazione e agevolazione delle potenzialità umane; in grado di offrire, a chiunque lo desideri, lo spunto per esprimere in prima persona le proprie capacità creative e  pro-positive, sia in termini di autostima sia di efficacia,  per affrontare le difficoltà del momento.
La fiaba ha un potere magico ed è alla portata di tutti coloro che, senza pregiudizi ed eccessive razionalizzazioni, hanno voglia di aprirsi verso il mondo fantastico che descrive; per vivere gli stessi influssi benefici che di solito permettono all’eroe della storia di portare a termine compiti faticosissimi. E’ quanto nel tempo è stato ribadito più volte dagli studiosi; ad esempio, da un interessantissimo studio di Max Lüti (La fiaba popolare europea) veniamo a sapere che nelle fiabe europee, raccolte e trascritte dai fratelli Grimm, è racchiuso un potere singolare che avvince non solo i bambini di ogni generazione ma anche le persone adulte, che continuano a sentirne il fascino incantatore e gli influssi ispirativi ogni volta che le incontrano.
Spesso l’eroe della fiaba è un viandante alla ricerca di un obiettivo vitale, che appartiene al suo destino, ed è pronto a confrontarsi con gli ostacoli che gli si parano innanzi durante il cammino, pur di arrivare a raggiungere questo scopo essenziale.
L’eroe della fiaba non ha paura di perdersi né di perdere, mette in gioco le sue opportunità, non è angosciato anzi sereno. Sebbene sia ricorrente nelle fiabe dei fratelli Grimm l’immagine del bosco e, di conseguenza, l’evocazione dell’angoscia di perdersi, ciò non capita mai.
E’ anche il caso del personaggio della fiaba Lo strano violinista, attraverso il quale vorrei affrontare un problema attuale come la paura di perdersi o di smarrirsi di fronte ai propri limiti, nel momento in cui ci si vive una situazione inaspettata o un improvviso cambiamento.
Il rischio di perdersi, di sentirsi spiazzati e, quindi in qualche modo, di entrare in crisi lo incontriamo lungo tutto l’arco della nostra vita e rappresenta per noi un’occasione di rinascita e di crescita. Proprio come nelle fiabe, dove da una parte è sempre presente la possibilità di perdersi e dall’altra la possibilità che di ritrovarsi rinvigoriti e con maggiori speranze, dopo aver superato la prova.La fiaba in questione racconta l’avventura di uno “strano” violinista che, strada facendo alla ricerca di un “buon compagno”, incontra un lupo, una volpe e una lepre. Benché questi animali si comportino in modo amichevole e riguardoso nei suoi confronti, si ritrovano a essere maltrattati e imprigionati dall’uomo che non tiene conto dei loro comportamenti così cortesi e remissivi. Arriverà il momento in cui gli animali si libereranno, riconquisteranno la loro libertà e andranno alla ricerca del loro “nemico” con intenti non più amichevoli.
Intanto, il violinista incontra sul suo cammino un “povero” taglialegna, un essere umano, al quale non pensa di far del male; anzi per lui suona così bene che l’uomo si sente allargare il cuore. Mentre il violinista è in compagnia del taglialegna, sopraggiungono i tre animali con cattive intenzioni, e il taglialegna brandisce la sua ascia in difesa del violinista.
Che senso ha tutto ciò, quali spunti di riflessione trarre dalla relazione tra uomo, violino, lupo, volpe, lepre, taglialegna e ascia?
Proviamo a riflettere, partendo dalla considerazione che quando una persona è coinvolta da un evento critico che mette in discussione il suo abituale modo di fare ed essere, vive spesso un forte disorientamento che esprime con una specifica emotività. Si tratta di un  turbamento più o meno forte provocato da commozione o da apprensione che traspare esteriormente attraverso il comportamento. Come se l’interiorità di quella persona risuonasse attraverso il suo corpo e la sua fisicità. Proprio come uno strumento musicale. Pertanto nella fiaba dello”strano violinista”, il violino potrebbe rappresentare l’essere umano inteso come strumento di risonanza e comunicazione di un vissuto individuale, cioè come uno “strano” portatore di individualità. Strano è ciò che si presenta differente dal solito o dal consueto; che quando è riferito a persone o al modo di pensare, ne definisce la loro singolarità e unicità.
Ecco allora che nella fiaba lo “strano” potrebbe rappresentare la diversità e quindi la singolarità umana, l’individualità unica e irripetibile, di un uomo  che si incammina per un bosco (allude alle componenti impulsive e inconsce del nostro essere, la nostra natura “oscura”) con l’intenzione di trovare “un buon compagno”, una persona con la quale entrare in relazione, per contare su di essa in caso di bisogno.
Il lupo, la volpe e la lepre potrebbero esprimere simbolicamente un tratto irrazionale e impulsivo dell’animo umano. Degli “stati critici”, complicazioni o incidenti di percorso sulla via del violinista, che richiamano la nostra attenzione, ben sapendo che gli animali possono esprimere simbolicamente  anche aspetti qualitativi affermativi.
Si potrebbe pertanto immaginare che il violinista della fiaba, camminando per il bosco, che simboleggia il percorso di vita, sia irretito da quegli animali che lo blandiscono promettendogli di fare tutto ciò che lui vuole, se insegna loro a suonare. E’ certamente una richiesta ben strana; tanto è vero che il violinista si difende imprigionandoli, cioè impedendo loro di nuocergli.
La fiaba ci fornisce un’immagine dei tre animali abbastanza amichevole. Il lupo, la volpe e la lepre non hanno fatto nulla di male al violinista, hanno soltanto chiesto di imparare a suonare. Sembrerebbe proprio così. Ma se guardiamo dietro quel mondo “rovesciato”, dove apparentemente è l’uomo il cattivo, risulta che quello “strano violinista” ha agito con congruenza. Intanto, ha cercato di salvaguardare la propria umanità tutelando la sua individualità. A ben guardare è meno strano il violinista rispetto alla stranezza del fatto che gli animali vogliano imparare a suonare.
La fiaba, esprimendolo allegoricamente, pone in evidenza proprio questa stramberia: gli animali vogliono impadronirsi di poteri tipicamente umani e che, di conseguenza, il  violinista corre il rischio di essere preda di quei comportamenti irrazionali raffigurati dal lupo, la volpe, la lepre. Gli animali scelti per la fiaba rappresentano forme di comportamento impulsivo, non governato dalla consapevolezza dell’Io, in cui si corre il pericolo di lasciarsi andare.
Il lupo simbolicamente ha sempre rappresentato la voracità, la forza furiosa trattenuta a stento. Non meraviglia che nelle favole esso costituisca la minaccia maggiore per gli uomini. Se la caratteristica principale del lupo è la ferocia, quella della volpe è indubbiamente la furbizia, l’astuzia e la malizia nelle loro derive malevole. La volpe rappresenta l’egoismo astuto, l’imbroglio e l’intelligenza perfida. Mentre la lepre effigia un carattere di tipo infantile: salta da una parte all’altra, è facilmente instabile in quanto molto timorosa e pertanto “può giocare facilmente dei tiri” (chi va ancora a caccia di lepri sa che a volte scartano d’improvviso ed è difficile colpirle). La lepre è anche legata alle idee di esuberanza, di prolificità, di incontinenza o di spreco, di lussuria e di sfrenatezza. Molte delle forze che agiscono positivamente nell’infanzia dell’uomo, simboleggiate dalla lepre, diventano nell’età della ragione elementi di “irrazionalità”, di “dissennatezza”, di perdita di sé attraverso il panico. Un evento intensamente stressante può interferire con le attività mentali tanto da impedire di valutare lucidamente ciò che sta accadendo. L’effetto di questo stress improvviso provoca a volte un vero e proprio corto circuito nell’ambito delle funzioni intellettive, producendo un black out nelle capacità di elaborare risposte. La persona è completamente bloccata o paralizzata e se lo stato d’allarme intenso permane, possono emergere disturbi psichici e complicazioni di varia natura.
Nella schematica descrizione dell’immagine simbolica della lepre propostaci dalla fiaba, possiamo cogliere a grandi linee il comportamento di quelle persone che hanno una tendenza di base ad avere reazioni emotive più accentuate, frequenti e intense rispetto alla media. In altre persone lo stile di affrontare le situazioni può manifestarsi diversamente. Ad esempio, vi sono uomini e donne che affrontano i rapporti con il mondo in maniera molto competitiva e conflittuale, all’insegna del mors tua vita mea. I lupi, per intenderci, in lotta continua con i propri simili (collaboratori, clienti, familiari, superiori, ecc.) tendenzialmente ipercritici e legati al possesso, spesso inclini alla violenza.
Poi, vi sono altre persone sostanzialmente “invidiose” e/o “gelose” che vivono con la convinzione pessimistica degli altri, non si fidano e pertanto sono “furbi” come le volpi per difendere la loro supposta debolezza e nello stesso tempo per “fregare” gli altri. Non fidandosi degli altri sono, da una parte incapaci di farsi aiutare e dall’altra incapaci di delegare i loro compiti o mansioni. Non fidandosi, sono costretti a rimanere soli.Come fare nelle situazioni in cui rischiamo di essere travolti dagli eventi? In quei momenti in cui perdiamo il controllo della situazione?
Come il violinista della fiaba, potremmo confidare in un “povero” boscaiolo o meglio potremmo contare su soluzioni di “buon senso”, su quella “sana ragione” che, se ben applicata, può risolvere i problemi dell’esistenza quotidiana.
A pensarci bene, la figura del taglialegna non è poi così enigmatica. Lo vediamo “povero” in quanto “semplice”. E’ una persona che agisce sulla realtà (il bosco) trasformandola sapientemente e utilmente. Usa l’ascia, uno strumento essenziale attraverso il quale riesce a ottenere il massimo vantaggio col minimo sacrificio. Potremmo considerarla una “icona” che, sebbene sbiadita, è rappresentativa di un tipico raziocinio funzionale. Certo, il nostro mondo è diverso, ma questa raffigurazione offre l’opportunità di scoprire che l’azione del boscaiolo della fiaba propone un messaggio d’incoraggiamento.
Il tagliaboschi, anche un boscaiolo odierno, con la sua azione è capace di generare una metamorfosi. Quanto nelle fiabe ha sempre rappresentato l’essere caotico dell’interiorità umana, il bosco, può essere trasformato in un articolato e armonico complesso di elementi. E’ ciò che i boscaioli fanno, trasformando attraverso una serie di azioni regolate l’insieme intricato della vegetazione in un ordinato, utile ed economico complesso di beni. Trasformando in utilità o benessere ciò che prima appariva come un caotico e pericoloso insieme di elementi.
“Dacci un taglio!” a volte diciamo o ci sentiamo dire. Finalmente possiamo comprendere come quell’esortazione, per nulla offensiva, rappresenti in fondo un segnale, una spinta a cambiare adeguatamente e, si potrebbe dire, a farlo con misura e precisione. In un modo “semplice”, che in questo caso non vuol dire “alla buona” o in modo “elementare” e nemmeno “facile”, ma… saggio.

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