Nelle imprese di solito si incontrano limitate difficoltà relative alla comprensione e alla soluzione di problemi tecnici. Coloro che sono coinvolti nel progetto tuttavia fanno spesso fatica ad intendersi e sono sempre più evidenti i segnali relativi alla loro insoddisfazione riguardo il lavoro.
Molte persone hanno la impressione di non farcela più, di non avere abbastanza tempo per fare correttamente ciò che viene loro richiesto, di vivere continuamente nell’urgenza. I sentimenti si intensificano e incidono sulla percezione qualitativa del lavoro e influiscono sul significato da dare alla propria occupazione. Si chiedono se ha un senso ciò che stanno facendo e se vale veramente la pena di andare avanti in quel modo.
C’è pure un sentimento di degrado dei valori che spinge a chiederci quale possa essere il “ruolo” della cultura dell’organizzazione del lavoro e in che modo essa venga percepita da chi lavora. Perché ogni organizzazione ha un proprio ”respiro” che imprime più o meno intensità al lavoro delle persone che la compongono. Ritmo e intensità che invece di fluidificare le attività, spesso le rendono stressanti, pericolose e angosciose, con ricadute sulla salute delle persone e delle stesse organizzazioni.
Il nostro ruolo dovrebbe essere quello di “mettere un po’ d’olio nei meccanismi”, lubrificare gli scambi, lavorando sull’ascolto, sulla gestione dello stress e delle emozioni, sui problemi relazionali. Sarebbe importante, prima di tutto, sviluppare un clima di fiducia e migliorare la coesione del gruppo, per far respirare bene l’organizzazione e le persone.
Ciò, alla fine, offrirebbe tante opportunità. Perché, ad esempio, in caso di conflitto, se io mi trovo in disaccordo con un collaboratore o con un collega, ho la possibilità di rispettarlo totalmente e, allo stesso tempo, fargli delle rimostranze su un atto preciso, senza attaccare la persona. Potrò anche offrirgli la possibilità di parlare di ciò che lo mette in difficoltà e lo porta ad agire in quel modo. Sarebbe per ambedue una opportunità per restituire “senso” e “valore” a ciò che stiamo facendo. E, alla fine, riusciremo a sentirci anche meno precari.
“Comunicare e mettere in comune” (2002). In Oltre il Giardino, ebook 2008
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