Sono trascorsi cinquanta anni dalla scomparsa di Angelo Roncalli. Per la sua morte si commossero anche gli atei. Era stato eletto in Conclave il 28 ottobre 1958 e nella giornata del successivo 4 novembre fu solennemente incoronato Papa Giovanni XXIII. Nel suo breve pontificato (all’incirca quattro anni e sette mesi) riuscì ad affermarsi come una delle più grandi personalità del mondo contemporaneo.
Un uomo “scomodo” per la tradizione curiale vaticana; un papa buono e lungimirante per tutti coloro che da quel momento hanno creduto alla collaborazione dei credenti con i non credenti, alla conquista di diritti per tutti, come processo di distensione proiettato verso l’uguaglianza degli uomini.
Era stato capace di incoraggiarci a mettere da parte gli egoismi di determinati ceti e i bigottismi delle troppo illuminate “confreries”. Forse per questo a volte la sua voce appariva isolata. Ma le contraddizioni che fece emergere diventarono fermenti importantissimi che ancora oggi riescono a rimanere vivi.
Riuscì a conquistare la nostra mente e il nostro cuore per la semplicità dei suoi gesti e la grande intelligenza umana. Era un finissimo politico e grande “patriarca”. Un pastore molto sensibile e attento che sapeva muoversi in sintonia con il suo gregge. Un grande leader capace di agevolare e far crescere il potere dei “figli” di Dio e del “popolo” di Dio.
Affermerà sin dall’esordio di quello che gli altri (come lui stesso diceva) definivano il “suo” papato: “C’è chi si aspetta dal pontefice l’uomo di Stato, il diplomatico, lo scienziato, l’organizzatore della vita collettiva, ovvero uno dall’animo aperto a tutte le forme di progresso della vita moderna. Venerabili fratelli e diletti figli, tutti costoro sono fuori dal retto cammino. A noi sta a cuore in maniera specialissima il compito di pastore di tutto il gregge”.
Vero. Un uomo capace di porsi nei panni degli altri e intenzionato a “promuovere” il progresso materiale e spirituale attraverso l’esempio in prima persona. Un grande e umile saggio che con la Enciclica “Pacem in Terris” – non ancora del tutto compresa nemmeno dal mondo cattolico – si rivolge a tutti gli uomini (e le donne) di buona volontà con il convincimento che i conflitti devono essere risolti non con le armi ma con la collaborazione reciproca, non con l’intolleranza ma la reciproca comprensione sui diritti e sui doveri.
Un uomo che ancora oggi ci spinge a riflettere sul nostro destino “globale” in una prospettiva evolutiva che va verso una era post liberista. In cui non sono più le regole a governare le relazioni ma è la potenza del più forte a dettare legge. A scapito dell’umanità attuale, della “nostra” civiltà, ma anche a scapito di chi oggi sta nascendo o è soltanto un bambino.
Ho ritrovato su alcune vecchie agende delle annotazioni che trovo ancora interessanti: brevi riflessioni, credo non banali rispetto al tempo in cui le ho scritte.
Ne ho scelto cinquantadue, risalenti al 2002, 2003 e 2004, con l’intenzione di proporre un motivo di ispirazione settimanale per il corso dell’anno.
Questa è la n. 23: 3 giugno 1963 (2003)
Info sull'autore