L’era dell’accidia

L’era dell’accidia

Sul Corriere della Sera del 31 maggio scorso, è stato proposto un “medaglione” sull’Accidia, di Carlo Fruttero e Franco Lucentini. Fertilissimi scrittori molto amati dal pubblico ( si definivano “La Ditta”) ma soprattutto osservatori attenti delle dinamiche sociali. Anzi, come ha avuto modo di affermare recentemente il critico letterario Domenico Scarpa, «Fruttero e Lucentini erano degli eccezionali decifratori di indizi: sia quando scrivevano polizieschi sia quando si trattava di leggere la società: coglievano cose che stavano appena nascendo, le descrivevano in anticipo, ed è per questo che quello che hanno scritto è ancora così attuale».

Secondo i nostri autori, l’Accidia è il peccato capitale più diffuso e praticato dall’umanità intera che però non lo sa, non se ne accorge, non lo riconosce. Perché l’Accidia è subdola, s’insinua tra le pieghe del quotidiano, striscia tra la folla che si accalca sui binari della metro e osserva con distacco, senza fare nulla, lo scippo, l’aggressione, il pestaggio che si compie proprio lì, a pochi metri, sotto i suoi occhi. Viene spesso scambiata per indifferenza, noncuranza e invece è lei, l’Accidia, che ci fa voltare dall’altra parte, che ci impedisce di intervenire. Ed è ancora l’Accidia che ci spinge alla rassegnazione, all’immobilismo cronico, persino nelle piccole cose di tutti i giorni: una bolletta troppo alta che preferiamo pagare pur di evitare grovigli burocratici interminabili e faticosissimi, a fronte di un rimborso minimo. Non ne vale la pena … E non vale la pena neppure tornare al supermercato per contestare la scatoletta di tonno battuta due volte da una cassiera distratta. E così via da uno scippo, a uno sportello, l’Accidia, mascherata da pigrizia, ci rende apatici. Sarà forse per questo che nel nostro Paese la burocrazia è così difficile da sconfiggere? Perché pecchiamo tutti di Accidia e abbiamo deposto le armi in cambio di un rassegnato quieto vivere?

Ecco un brano del loro libro “ La manutenzione del sorriso” (Mondadori, 1988) in cui tratteggiano questo argomento:

“Un mendicante tende la mano. L’avaro non gli dà niente, perché cento lire sono sempre cento lire. Il superbo passa senza nemmeno vederlo. L’iracondo se lo toglie dai piedi con un’imprecazione. Il lussurioso non può certo fare aspettare la bela Lalage, né il goloso lasciar scuocere il prelibato risotto né l’invidioso commuoversi per chi vive libero, senza responsabilità e senza pagare le tasse.
Ma ecco qualcuno che si avvicina con passo bighellone, occhio disponibile, l’animo sgombro da impegni, rovelli, cupidigie, il borsellino pieno di tintinnanti monete. Si fermerà per l’elemosina? L’uomo rallenta ancora, esita, fa risalire la mano grassoccia e ben curata verso la tasca… ma poi la lascia ricadere mollemente lungo il fianco e si allontana senza fretta e senza rimorsi: troppa fatica, chi glielo fa fare, chi se ne frega, e comunque ci penserà qualche altra anima buona.
Così l’accidioso, peccatore per omissione ambiguo abitatore di un regno dalle elastiche, incerte frontiere, pronto a rifugiarsi quando gli fa comodo negli amabili territori dell’adiacente pigrizia, oppure a mimetizzarsi tra le orientali sabbie del quietismo, dove l’assoluta inattività (la “santa indifferenza”) è mistico progetto di vita.
Insieme all’invidia, l’accidia è il vizio più diffuso nella (anzi, “dalla”) società moderna, di cui la maschera di febbrile attivismo nasconde malamente l’autentico volto burocratico. E la burocrazia è grande maestra di accidia, immenso alveare di viziosi impuniti e impunibili, ronzanti in mezzo a pratiche inevase, in giacenza, dimenticate, slittate, smarrite, scivolate tra dita incuranti.
Vizio d’aspetto dimesso, inoffensivo, esso è tuttavia il responsabile di guasti non meno gravi di quelli causati dalle smanie del fare, un subdolo, impercettibile sgretolare di tradizioni, mestieri, sistemi, un abbassatore di livelli professionali, di produttività, di eleganza, di cultura, di stile.
L’accidioso non ha lo sbadiglio beato del battifiacca, la furba smorfietta dello scansafatiche, né l’elusività truffaldina dell’assenteista; gente questa che dal proprio peccato trae in un modo o nell’altro un profitto, per minimo che sia. L’accidia è disinteressata, non porta a chi vi si crogiola nessun tangibile vantaggio, nessun tipo di soddisfazione o rivalsa morale. Perennemente afflosciata su se stessa, non ispira in chi la guarda nessuna simpatia, nostalgia o solidarietà. Come una barba mal rasata, una lattina contorta in un’aiuola, una macchia d’umido sul soffitto, contribuisce soltanto a estendere sempre più il vasto impero dello squallore.” …

Il brano è stato pubblicato anche in: Fruttero e Lucentini, Il cretino in sintesi (a cura di Domenico Scarpa). Ebook Mondadori, 2002

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