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Gravidanza, parto e puerperio: a volte una selva oscura

Sono ancora una volta le scene drammatiche di un film a scuotere la coscienza troppo a lungo sopita e metterci a confronto con una realtà non nuova. Così, il film di Cristina Comencini (Quando la notte, 2011), straordinariamente intenso, squarcia il velo dell’ipocrisia mettendoci a confronto con la pesante sofferenza esistenziale di una maternità complicata. E’ la storia di una donna sola davanti alla propria incapacità di essere la brava madre che, razionalmente, vorrebbe essere; narrata da un film che ci costringe a tener conto di un lato oscuro e tuttavia importante della maternità. Quel senso di solitudine e sofferenza interiore che invade la protagonista è una realtà che può fare paura, tuttavia non possiamo nasconderci che in molti casi è parte della maternità. E’ uno stato d’animo che ha bisogno di essere riconosciuto e legittimato, prima ancora che curato. Non deve far paura o vergogna e tanto meno essere nascosto. continua a leggere il mio intervento su paginemediche.it, approfondisci depressione post partum

Madre e nonno troppo protettivi: condannati per maltrattamenti in famiglia

La Corte di Cassazione, con la sentenza 10 ottobre 2011, n. 36503, ha confermato la condanna per il delitto di maltrattamenti in famiglia, già disposta dai giudici di merito in capo alla madre e al nonno materno, giudicati “iperprotettivi” nei confronti di un ragazzino minore di età.

Nei fatti la madre e il nonno materno del minorenne ricorrono per Cassazione avverso una sentenza della Corte d’Appello di Bologna che li ha condannati per il delitto di maltrattamenti in famiglia, di cui all’art. 572 c.p., che confermava la decisione del G.U.P. del Tribunale di Ferrara. I due ricorrenti risultano imputati per aver in concorso tra loro, in qualità di conviventi, rispettivamente del figlio e del nipote minore di età, commesso il reato di maltrattamenti in famiglia, mediante atteggiamenti iperprotettivi verso il minore medesimo, consistiti nel non far frequentare con regolarità la scuola, nell’impedire la sua socializzazione, nell’impartire uno stile di vita tale da incidere sullo sviluppo psichico, con consequenziali disturbi deambulatori, ed infine per avergli rappresentato la figura paterna come negativa e violenta, imponendogli di farsi chiamare col cognome materno.

I giudici di merito, concordi sulla qualificazione del reato ascritto, hanno definito le condotte poste in essere dai due imputati quali “atteggiamenti iperprotettivi” ed “eccesso dì accudienza”, “deprivazioni sociali” come l’impedimento dei rapporti coi coetanei, e “deprivazioni psicologiche”, come la rimozione della figura paterna.

Siffatte condotte sono state ritenute idonee a ritardare nel minore lo sviluppo psicologico relazionale, coi coetanei e la figura paterna, nonché l’acquisizione di abilità in attività materiali e fisiche, come la corretta deambulazione.

La Cassazione, nello svolgere le proprie argomentazioni poste a base del rigetto il ricorso, premette che la sentenza di secondo grado, oggetto dell’impugnazione, non può essere valutata isolatamente, bensì deve essere esaminata in correlazione con la sentenza di primo grado, definendo entrambe “sviluppate e condotte secondo linee logiche e giuridiche pienamente concordanti”. La Corte d’Appello ha confermato la prima sentenza attraverso un giudizio di diritto che per la difesa non può essere condiviso: per confermare la citata decisione, avrebbe addirittura “rimodellato” la configurazione del reato di maltrattamenti ed i relativi elementi costitutivi, per rendere applicabile la fattispecie astratta a condotte che, sempre secondo la tesi difensiva, non possono rientrare nell’ambito dell’elemento oggettivo della norma del c.p.

Infatti l’ipercura e l’iperprotezione, per la difesa, non possono costituire l’elemento oggettivo del reato di maltrattamenti, poiché che tra le condotte di chi maltratta e di chi ipercura o iperprotegge sussiste “un’incompatibilità strutturale insanabile”.

La Corte tuttavia rammenta che nel reato di maltrattamenti, ex art. 572 c.p. l’oggetto giuridico non è rappresentato soltanto dall’interesse dello Stato alla salvaguardia della famiglia da condotte violente, bensì pure dalla tutela dell’incolumità fisica e psichica delle persone, citando un proprio precedente (Cass. pen. sez. 6, 37019/2003), a prescindere quindi da condotte di carattere vessatorio e violento.

Circa l’elemento soggetto, gli ermellini rilevano che la persistenza delle metodiche di iperaccudienza e di isolamento, talora imposte e talora concordate, rappresenta un chiaro sintomo della ricorrenza in capo agli imputati dell’”intenzionalità” che connota il reato oggetto del capo di imputazione.

(Altalex, 18 ottobre 2011. Nota di Laura Biarella)

http://www.altalex.com/index.php?idu=118897&cmd5=2eb93ab8c007e01909a3cbbf5ffeec2c&idnot=53955

La tutela dei minori nella programmazione televisiva è un bene giuridico rilevante

In una situazione di contrasto (e di necessario bilanciamento) fra il diritto alla cronaca e all’informazione, e il diritto di tutela dei minori, entrambi costituzionalmente protetti, va privilegiato quello dei minori, considerando per converso recessivo gli altri con esso confliggenti. Questo l’indirizzo accolto dal Tar Lazio, sez. III ter, nella sentenza n. 7694 del 4 ottobre che si conclude con il rigetto del ricorso per l’annullamento della delibera con la quale la Autorità per le Garanzie nelle comunicazioni (AGCOM) ha condannato la ricorrente società emittente televisiva al pagamento di una sanzione pecuniaria pari ad euro 50.000,00.

Nella fattispecie veniva riscontrato dal Garante che diversi servizi di cronaca nera, prevalentemente a sfondo familiare, anche coinvolgenti minori, erano caratterizzati dall’impiego di una terminologia particolarmente forte ed impressionante, non strettamente funzionale alla comprensione delle notizie ed accompagnati dalle immagini delle vittime dei reati. Il tutto accadeva nella fascia oraria di programmazione protetta in assenza di alcun presidio atto a dissuaderne la visione da parte dei minori.

Non può nascondersi, allo stato, la crescente sensibilizzazione da parte della pubblica opinione nei confronti della tutela dei minori, attenzione che si è esternata, invero, in tutte le sedi, politiche, istituzionali, culturali, sociali ed anche da parte degli organi di informazione, specie con la crescente diffusione dei mezzi di comunicazione mediatica.

Del resto anche i diversi provvedimenti normativi evidenziano, come il legislatore abbia conferito alla tutela degli utenti minori dei mezzi di comunicazione un particolare rilievo, rendendo obbligatoria la dettagliata disciplina contenuta nel Codice di autoregolamentazione a tutela dei minori, e traducendo le regole di comportamento ivi declinate in precisi precetti normativi alla cui violazione è correlato il potere sanzionatorio dell’AGCOM.

In particolare vengono in rilevo, in quanto interessati dalla tematica oggetto della controversia:

a) l’art. 31 della Costituzione, laddove al comma 2 si prevede che la Repubblica protegge l’infanzia, riconoscendo, dunque, a detta tutela il rango costituzionale (protezione che ha poi trovato autorevoli conferme anche a livello internazionale, come nella convenzione sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza approvata dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989, ratificata dall’Italia con legge 27 maggio 1991 n. 176);

b) l’art. 4, del D.Lgs. 177/2005 (Testo unico della radiotelevisione) che opera il bilanciamento tra beni tutti meritevoli di tutela, prevedendo un divieto relativo alla messa in onda di trasmissioni suscettibili di ledere lo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori, attraverso l’adozione di particolari cautele. Esso, in particolare, nel

delineare i principi generali del sistema radiotelevisivo a garanzia degli utenti, garantisce, tra l’altro: la trasmissione di programmi che rispettino i diritti fondamentali della persona, essendo, comunque, vietate le trasmissioni che contengono messaggi cifrati o di carattere subliminale o incitamenti all’odio comunque motivato o che inducono ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità o che, anche in relazione all’orario di trasmissione, possono nuocere allo sviluppo fisico, psichico o morale dei minori o che presentano scene di violenza gratuita o insistita o efferata ovvero pornografiche, salve le norme speciali per le trasmissioni ad accesso condizionato che comunque impongano l’adozione di un sistema di controllo specifico e selettivo;

c) il Codice di autoregolamentazione relativo alla TV e minori, emanato dall’allora Ministero per le Telecomunicazioni il 29 novembre 2002, e contenente l’impegno assunto e sottoscritto da vari operatori del settore radiotelevisivo (fra i quali anche la stessa società ricorrente), a prendere il testo dello stesso Codice quale riferimento unico in materia, al fine di dare effettività e concretezza alla tutela dei diritti e dell’integrità psichica e morale, sia nella parte in cui sono definite le norme di comportamento che le norme di diffusione e controllo. In particolare,

I par. 1.2, lett. a), 2.3 e 3.1, del Codice prevedono l’impegno delle emittenti … a non diffondere nelle trasmissioni di informazione in onda dalle ore 7.00 alle ore 22.30: a) sequenze particolarmente crude o brutali o scene che, comunque, possano creare turbamento o forme imitative nello spettatore minore; b) notizie che possano nuocere alla integrità psichica o morale dei minori; .. a dedicare nei propri palinsesti una fascia “protetta” di programmazione, tra le ore 16.00 e le ore 19.00, idonea ai minori con un controllo particolare sia sulla programmazione sia sui promo, i trailer e la pubblicità trasmessi.

Da tali citate disposizioni, il Collegio asserisce, è possibile enucleare sia precisi divieti di carattere generale, che devono intendersi applicabili in senso assoluto e trasversalmente a qualunque tipo di trasmissione, (ci si riferisce al divieto di messa in onda di scene di violenza gratuita o pornografiche o che inducano ad atteggiamenti di intolleranza basati su differenze di razza, sesso, religione o nazionalità), sia un ulteriore specifico divieto funzionale alla tutela dello sviluppo fisico, psichico o morale dei minori.

Divieto quest’ultimo che diversamente dagli altri assume valenza relativa, e cioè deve essere ragguagliato alle trasmissioni potenzialmente idonee a ledere lo specifico bene protetto, ma, tuttavia, suscettibile di deroga solo allorché la scelta dell’ora di trasmissione o qualsiasi altro accorgimento tecnico consentano di escludere che i minorenni che si trovano nell’area di diffusione assistano normalmente a tali programmi (si richiama sul punto Cass. Civ, Sez. I, 6 aprile 2004, n. 6760).

Lilla Laperuta

http://www.diritto.it/docs/5087715-la-tutela-dei-minori-nella-programmazione-televisiva-un-bene-giuridico-rilevante?tipo=news&source=1