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La leadership che verrà

Attraverso la robotizzazione e la digitalizzazione il lavoro sta cambiando forma e, di conseguenza, subisce una trasformazione anche la “presenza” umana al lavoro. Alla luce delle sfide che le aziende stanno affrontando, quali saranno le competenze chiave per mobilitare i collaboratori e raggiungere il successo? Quale potrebbe essere un profilo tipico del leader di domani?

Attraversiamo una lunga fase di mutevoli e continui adattamenti. All’interno di uno scenario che da tempo – e a ragione – viene indicato attraverso l’acronimo VUCA

La V (volatility) della volatilità, si riferisce alla natura e alle dinamiche dei cambiamenti caratterizzati da fluttuazioni, turbolenze e disruption. Un fenomeno che si sta verificando con maggiore frequenza rispetto al passato ed è incrementato, oltre che dalla liberalizzazione del commercio e della concorrenza globale, dalla crescita esponenziale della digitalizzazione e della connettività. Maggiore è la volatilità, più i cambiamenti sono veloci. Ragion per cui la natura, i ritmi e l’ampiezza di ciò che cambia non sono più prevedibili e non è possibile ricondurre il cambiamento ad un quadro di riferimento conosciuto e stabile.

La U (uncertainty) indica l’incertezza o la mancanza di prevedibilità degli eventi. Oggi è praticamente impossibile utilizzare le esperienze passate per prevedere il futuro, in quanto il futuro ormai non rappresenta più una pacifica proiezione del passato. Basarsi sulle esperienze trascorse per fare previsioni non ha più senso e all’incertezza si accompagna spesso la difficoltà di comprendere pienamente cosa sta succedendo. Più il mondo è incerto, più difficile fare previsioni e più complicato prendere decisioni sensate.

La C (complexity) è quella della complessità. Caratteristica di un aggregato organico e strutturato in parti tra loro interagenti, in base alla quale il comportamento globale del sistema non è immediatamente riconducibile a quello dei singoli elementi, perché dipende dal modo in cui essi interagiscono. Un contesto è tanto più complesso quanto più i fattori da considerare sono numerosi, diversi tra loro e diverse sono le relazioni tra gli elementi. Questo è quanto sta accadendo nella vita delle nostre aziende, dove aumentano sempre di più fattori interni ed esterni da gestire contemporaneamente. Ad esempio, la maggiore capacità di interconnessione, aumenta la complessità del sistema e questo rende sempre più complicato analizzare la quantità complessiva delle informazioni.

L’ultimo elemento in gioco è la ambiguità (ambiguity). Cioè la difficoltà di farsi un’idea precisa di ciò che sta accadendo. Poca chiarezza sugli eventi e, di conseguenza, difficoltà di decifrarli e addirittura comprenderli. Si presenta pertanto una situazione ambigua data la incompletezza delle informazioni, incompleta, contraddittoria o poco definita, che non permette di giungere a conclusioni certe. Sono occasioni in cui ci si trova di fronte a eventi che denotano incerta natura o provenienza, che lasciano perplessi sugli sviluppi o le intenzioni, che creano molta ansia.

Le organizzazioni del lavoro stanno affrontando cambiamenti impegnativi paragonabili a quelli che hanno preceduto il passaggio dal mondo agricolo a quello industriale. La digitalizzazione, la robotizzazione e l’intelligenza artificiale stanno cambiando radicalmente il mondo del lavoro. Gli artefatti tecnologici svolgeranno molte delle attività sinora eseguite dagli esseri umani e, allo stesso tempo, creeranno nuovi posti di lavoro, sosterranno nuove attività produttive di beni e di servizi.

Tutto ciò richiederà nuovi assetti organizzativi e modalità di gestione più appropriate delle risorse umane e delle relazioni di lavoro, sia nell’ambito dei rapporti tra persone che tra queste ultime e le tecnologie. Le evoluzioni nel mondo del lavoro e nelle organizzazioni del lavoro producono inevitabili disruption anche nel campo del management e della leadership. Al crocevia delle problematiche tecnologiche, strategiche e umane, la posizione del leader sarà davvero delicata.

Il management e la leadership hanno un’influenza diretta e tangibile sull’impegno dei dipendenti. Anche se rimane ancora valido il vecchio principio che la loro funzione è soprattutto quella di garantire una efficace collaborazione all’interno di un’organizzazione, sarà il modo di attuare questa collaborazione che avrà bisogno di adattarsi con le esigenze dei tempi attuali.

Molto probabilmente, alcune caratteristiche specifiche della leadership come passione, impegno, disciplina, carisma saranno combinate con nuovi valori: flessibilità, creatività, curiosità, innovazione, ottimismo. Un nuovo stato mentale dovrà essere coltivato, fatto di auto-accettazione, di umiltà, di resilienza. Grazie a una nuova modalità di porsi in relazione con gli altri, basata sulle competenze emozionali e comunicative, le situazioni difficili e gli inevitabili conflitti che inevitabilmente ne derivano, potranno essere gestiti. Tutte queste capacità dovranno essere dispiegate in un contesto dinamico, in perpetuo cambiamento. In definitiva, l’obiettivo principale sarà quello di sviluppare una serie di competenze per far avanzare l’intelligenza collettiva all’interno dell’azienda.

È certo difficile fare previsioni. Però trovo interessante uno scenario che è emerso già qualche anno fa, da una serie di interviste a un gruppo di esperti di fama internazionale realizzate da Suzanne Dansereau, delle quali è stata pubblicata un’ampia sintesi su Gestion, la rivista canadese di management (vol. 41/2016, pag. 70-73).

Tutti concordano sul fatto che in un ambiente volatile, incerto, complesso e ambiguo, la scelta di un leader non si concentrerà su competenze specifiche, ma sul suo potenziale di successo.

Ecco dieci qualità che lo aiuteranno a sviluppare questo potenziale.

A differenza del leader eroico degli anni ’80, egli si renderà conto che non potrà affrontare tutte le sfide che gli si presenteranno. E sarà consapevole che in un mondo digitale in cui tutto è interconnesso (interrelato/interdipendente), la sua influenza sarà limitata e non sarà più l’unico a essere in possesso delle risposte. Probabilmente non sarà in prima linea, ma piuttosto dietro perché il suo ruolo non sarà quello di comandare, ma di creare un contesto in cui tutti possano svolgere un ruolo di protagonista e quindi assumere la leadership, prendere il suo posto e realizzare progetti. In questo modo, la leadership nell’organizzazione di domani sarà federata. Ci sarà un leader al vertice, ma la funzione sarà ovunque nell’organizzazione e anche fuori perché il leader di domani non controllerà l’organizzazione ma soprattutto contribuirà a dargli forma.

La curiosità sarà una qualità essenziale. Il suo ruolo sarà quello di indirizzare nuove idee, assorbirle e tradurle in azioni concrete che permetteranno di cambiare le regole del gioco. Mentre il leader di ieri era un esperto nel suo campo e aveva una visione chiara delle azioni da intraprendere, quello di domani manifesterà una curiosità insaziabile, non solo sul campo che riguarda la sua azienda, ma anche in molte altre aree. Questo leader che vuole apprendere porrà molte domande piuttosto che offrire risposte.

Si dice spesso che il leader deve pensare fuori dagli schemi, ma domani penserà riferendosi a diversi “frame”. L’organizzazione non è più una macchina ma un organismo vivente, un sistema aperto. È finita l’epoca in cui un leader poteva tracciare un percorso seguito da tutti: il leader di domani dovrà affrontare imprevisti. Imparerà ad amare l’ambiguità perché questa imporrà “nuove abitudini mentali” che gli permetteranno di affrontare la complessità. Invece di gestire il probabile, il leader dirigerà il possibile; invece di cercare di rendere tutti d’accordo, adotterà diverse prospettive; invece di semplificare e ottimizzare le attività una per una, imparerà a distinguere dei sistemi; infine, invece di decidere e definire “la” strategia, sperimenterà alla periferia, attraverso verifiche che potrebbero fallire senza minacciare l’impresa.

Durante la sua carriera, il leader del domani occuperà diverse posizioni, farà esperienze diverse. Potrà spostarsi anche in tutto il mondo e si confronterà con varie culture; molto probabilmente non rimarrà confinato solo nel suo paese, soprattutto perché una buona parte dei mercati sarà incuneata all’interno di zone in via di sviluppo.

Una delle grandi differenze tra il leader di domani e il leader di ieri sarà che dovrà eccellere in tutti i campi della comunicazione, sia di persona, sui social media, di fronte a un pubblico di 300 persone o parlando con dipendenti che lavorano a migliaia di chilometri da casa e che non si saranno mai incontrati. Queste abilità sono già ricercate più che mai, l’organizzazione chiede al leader di sapere come evidenziare i messaggi da trasmettere al pubblico, di sviluppare il potenziale della propria personalità digitale e, di conseguenza, migliorare l’immagine del marchio. Facendo molta attenzione, perché l’autenticità è fondamentale.

Il leader di domani dovrà essere vicino alle persone che lo circondano e non solo creerà legami ma li manterrà anche. Non vorrà vincere una discussione quanto essere in contatto con le persone. Non eviterà il conflitto, ma mostrerà rispetto ed empatia per gli altri pur non avendo paura dello scontro. Sarà pronto a dare di più e saprà che ne riceverà da parte degli altri. Più che mai, le relazioni saranno significative e autentiche. In effetti, la fine della leadership eroica annuncia l’arrivo di una cultura di stretta collaborazione. In questo contesto, la vicinanza è fondamentale.

Il necessario equilibrio famiglia-lavoro è diventato un tema importante per la generazione X. Il leader di domani sarà ancora più multidimensionale. Dovrà abbracciare la complessità, cogliere la moltitudine di punti di vista e opinioni e comprendere bene gli ambienti che sono spesso multiformi e multiculturali. Un buon bagaglio di esperienze e background variegato diventa estremamente redditizio in questo contesto.

Il leader di domani vorrà che la sua azienda abbia un impatto positivo sulla società, l’ambiente, il pianeta, oltre a creare valore per gli azionisti. Il mondo del lavoro richiede un leader sempre più responsabile, più etico, onesto e generoso; anche perché i dipendenti saranno orientati a scegliere un’organizzazione che li impieghi in funzione della sua missione, della sua responsabilità sociale, dei suoi prodotti, in breve degli impatti che tuto questo avrà sul bene comune. È quasi una certezza che in dieci anni, i rischi sociali e umani di qualsiasi progetto saranno anche calcolabili come i rischi ambientali. Agire in modo responsabile sarà nell’interesse di ogni azienda.

Dovrà avere il coraggio di agire, non aver paura di lasciare il confort per andare avanti, non rinviare decisioni difficili, dispiacere ad alcune parti interessate, avere il coraggio di dire la verità e non quello che gli altri vogliono sentire, saper riconoscere quando si sbaglia. Il leader dovrà incoraggiare tutto il suo staff a parlare francamente e offrire loro più opportunità di apprendimento non avendo paura che falliscano o cambino la loro organizzazione. L’intera attitudine al fallimento deve essere diversa: il fallimento insegna e rende umili.

Dal momento che sarà in grado di navigare da una cultura all’altra, il leader di domani sarà più aperto alla diversità. Cercherà di circondarsi non di persone che saranno come lui ma con persone che lo completeranno e che non penseranno come lui. La diversità sarà una leva. Per progredire, un’organizzazione che opera in un mondo complesso e ambiguo ha bisogno di diversità e “dissidenza costruttiva”. È tanto una questione di diversità culturale, etnica e sessuale quanto di diversità di valori. Il leader di domani avrà un maggiore rispetto per le differenze. La sua forza risiederà nella sua capacità di mettere in collegamento idee e persone.

Dare un senso alle trasformazioni in atto

Ci troviamo ormai al centro di una nuova rivoluzione tecnologica e, di conseguenza, socio-economica e antropologica. Cosa è cambiato e come stiamo cambiando? Abbiamo adeguata consapevolezza di ciò che sta accadendo e siamo in grado di aggiornare le informazioni in nostro possesso, su noi stessi e il mondo che ci circonda?
Questo articolo propone una breve riflessione sui nuovi sistemi economici e allo stesso tempo un tentativo di inquadrare sommariamente alcuni elementi delle trasformazioni in atto e l’impatto sulle persone e gli organismi sociali.

Sono ancora poco frequenti gli studi sulla portata della trasformazione digitale nei confronti del benessere e il funzionamento delle persone e delle organizzazioni; molto spesso essa viene percepita come utilizzo di “tecnologie soft”, che agevolano la qualità della vita di chi se ne avvale. In realtà, non è ancora possibile inquadrare con certezza il ruolo che questi cambiamenti stanno avendo sul comportamento individuale o organizzativo delle nostre occupazioni.

Sembra che possa cambiare tutto, a partire dal lavoro. E’ quanto emerge da un recente rapporto del World Economic Forum (2016), il 65% dei bambini che in questo momento frequentano la scuola primaria, probabilmente avrà un’occupazione che oggi non esiste ancora. È possibile che i lavori attuali non scompariranno del tutto ma saranno certamente ridefiniti e cambieranno le competenze necessarie per svolgerli in congruenza con le esigenze organizzative della produzione e dei servizi del futuro.

Un nuovo mondo del lavoro
Negli ultimi due decenni, le nuove tecnologie hanno gradualmente modellato un “nuovo mondo del lavoro”. Questi nuovi ambienti di lavoro mettono a confronto i lavoratori e le loro organizzazioni con molteplici sfide all’insegna della “economia digitale”. Quest’ultima, come si sa, ha caratteristiche molto peculiari. Innanzitutto, le informazioni digitalizzate, prodotte in grande abbondanza (big data) e sfruttabili da algoritmi molto potenti, rappresentano una risorsa economica sempre più strategica, in tutti i settori di attività e su scala mondiale. Inoltre si sta delineando un nuovo modello di produzione industriale all’insegna della “Industria 4.0”, che si avvale di una nuova generazione di oggetti comunicanti (l’Internet delle cose), macchine capaci di imparare sfruttando grandi dati e muoversi autonomamente. Allo stesso tempo, il concetto di rete sta diventando un principio organizzativo non solo dell’economia, ma anche della vita nella società perché è cambiata profondamente la nostra concezione della distanza e del tempo. Infine, lo specifico modello di business delle piattaforme online, noto anche come mercati a due lati, sta diventando sempre più importante e tende a sostituire modelli di business più tradizionali nella fornitura di servizi o nella distribuzione di beni. Queste funzionalità non sono completamente nuove, ad eccezione del modello di piattaforma. Combinano tendenze di lunga data, con lo sviluppo della società dell’informazione e cambiamenti più radicali, spesso definiti “disruptive”.

Sotto l’effetto di questa nuova generazione di tecnologie digitali pervasive e di cambiamenti in costante accelerazione nelle organizzazioni aziendali, sono in corso importanti trasformazioni nelle situazioni di lavoro e nella vita delle persone. Nelle aziende l’ambiente di lavoro ha accolto nuovi oggetti: microchip comunicanti, dispositivi di geolocalizzazione, robot autonomi, software incorporati in tutti i dispositivi. Dietro queste tecnologie, ci ricorda G. Vallenduc (Toeing the line. Working conditions in digital environments. HesaMag, 16/2017) vi sono algoritmi potenti e alquanto misteriosi che generano miliardi di gigabyte per pilotare dispositivi industriali remoti, tracciare merci e persone, prevedere comportamenti, influenzare le preferenze e molto altro che sarebbe andato oltre la nostra immaginazione dieci anni fa, quando i primi smartphone furono messi sul mercato.

In questa “economia digitale”, come si presentano i problemi di benessere organizzativo?
L’economia digitale fa già parte delle nostre vite. È una rivoluzione che porta con sé molti lati positivi: un mondo connesso, più opportunità di collaborazione, macchinari che svolgono buona parte dei lavori pesanti, computer in grado di coadiuvare attività complesse ecc. Tuttavia, al di là di questi miracoli tecnologici, queste grandi trasformazioni avranno i loro effetti, oltre che sul mercato del lavoro, anche sulle condizioni di vita dei lavoratori dipendenti, sulle condizioni di lavoro e sulla formazione.

Il sovraccarico di informazioni è la forma più comune di tecnostress.
In questo scenario, l’attività di lavoro si svolgerà in connessione permanente con notevoli effetti sulla salute delle persone. Il “tecnostress”, legato al fatto di lavorare online in modo continuato (in pratica: permanente), è stato oggetto di numerosi studi lungo il corso degli anni; cito ad es. quelli di Mandl et colleghi (New forms of employment Eurofound, Publications Office of the EU, 2015) e voglio ricordare anche il recente “ICT e lavoro: nuove prospettive di analisi per la salute e la sicurezza sul lavoro” (Inail, 2017).

Quando si parla di technostress, si allude all’aumento del carico psicosociale correlato al lavoro, in quanto il potenziale offerto dai nuovi strumenti digitali molto spesso si trasforma in una pressione sul lavoratore. Sia a livello delle aspettative esplicite o implicite del suo datore di lavoro o dei suoi colleghi, sia delle aspettative o esigenze del cliente, per problemi di connettività che disturbano il lavoro o sotto forma di forte dipendenza da strumenti digitali come ad esempio gli smartphone e i tablet.

Vallenduc, nel lavoro appena citato, sottolinea che il sovraccarico di informazioni è la forma più comune di tecnostress. Dicendo anche che l’uso continuato di e-mail, messaggistica istantanea e social network comporta un elevato carico di informazioni e messaggi, nonché frequenti interruzioni del lavoro. Ciò causa una pressione costante per dare una risposta a tutti i segnali ricevuti o per segnalare la propria presenza. Inoltre, i messaggi di posta elettronica sono spesso caratterizzati dalla mancanza di indicatori organizzativi, quando gli stessi messaggi vengono inviati a un numero elevato di destinatari, senza ordine di priorità o destinazione preferita. Spetta a ciascun dipendente adottare i propri criteri di selezione e valutazione, con il rischio di essere criticato per aver trascurato le informazioni che aveva ricevuto. Il costante mix di informazioni significative e informazioni insignificanti, che caratterizzano Internet e i social network, è fonte di affaticamento mentale, oltre alla necessità di essere permanentemente accessibile e disponibile. Inoltre, i frequenti utenti di Internet possono essere influenzati da una perdita di riferimenti spaziali e temporali, legati all’apparente scomparsa di distanze e differenze temporali. Il “tempo reale” che caratterizza il lavoro online a volte è un momento che non è reale per nessuno.

Le conseguenze del tecnostress possono manifestarsi nella stanchezza cronica generalizzata, un atteggiamento apatico o cinico, compromissione della concentrazione, tensione muscolare e altri dolori fisici, oltre al burnout. Oltre a queste conseguenze, che sono abbastanza simili a quelle dello stress da lavoro in generale, il tecnostress può portare a disturbi neurologici di deficit dell’attenzione che rendono i lavoratori incapaci di gestire correttamente le loro priorità e il loro tempo e che generano sentimenti di panico o senso di colpa.

Ciò che è nuovo oggi, è che una crescente proporzione di lavoratori è interessata da questi fenomeni di eccessiva sollecitazione digitale: non solo i manager, ma anche i professionisti di tutte le discipline, i dipendenti tecnici e commerciali, gli operatori sanitari. Lo sviluppo del nomadismo digitale è una delle cause di questa espansione. Si tratta una forma di organizzazione del lavoro che utilizza costantemente strumenti digitali connessi e moltiplica i luoghi di lavoro: in varie sedi dell’azienda, presso i clienti, in viaggio, a casa, negli spazi condivisi, ecc., fino alla evanescenza della nozione stessa di luogo di lavoro. Secondo gli studi di Mandl e colleghi (cit.), la moltiplicazione dei luoghi di lavoro oggi riguarda quasi un quarto dei lavoratori europei.

Oltre al tecnostress, i nomadi digitali sono anche esposti al rischio di dipendenza o di assuefazione ai dispositivi mobili e onnipresenti: l’uso compulsivo, la difficoltà di disconnessione sarebbe solo temporanea, stato di astinenza dopo l’interruzione dell’uso cronico, rischio di recidiva dopo periodi di disconnessione, ecc. Per molti lavoratori mobili, la gestione dei tempi di connessione e disconnessione diventa un problema importante, non solo in termini di stress ma anche in termini di equilibrio tra lavoro e vita privata e in termini di responsabilità all’interno delle organizzazioni. Di fronte a questi rischi, alcuni rapporti ufficiali (ricordo il “Rapporto Mettlin del 2015 per il Governo francese) raccomandano l’istituzione di un “diritto alla disconnessione”, già inserito in alcuni accordi negoziati nelle aziende.