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5 – Una caratteristica importante del lavoro di oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto.

Prima dell’avvento delle nuove tecnologie, la maggior parte del lavoro era routinaria e ciò dava una certa stabilità e una certa identità al posto di lavoro e a chi lo occupava. Attualmente la parte routinaria è stata automatizzata e ceduta alla macchina che è diventata, per forza di cose, la protesi cognitiva o il “palliativo tecnico” di molti lavoratori. Spesso a chi lavora resta oggi solo la gestione delle situazioni critiche, degli incidenti di cui le cui ragioni sono spesso molto complesse, tenendo conto della sofisticatezza attuale delle macchine. La variabilità delle soluzioni si è ugualmente accresciuta: là dove erano possibili due soluzioni, ora ve ne compaiono diverse.

L’attività della supervisione al lavoro arriva così a sancire l’emergenza di una realtà nuova, composta di eventi aleatori e non prevedibili, la cui regolazione costituisce il contenuto della gestione dei processi. Lo stress della diagnosi, dell’incidente da anticipare o la riparazione da fare in brevissimo tempo, è diventato un aspetto non trascurabile del lavoro moderno. Uno dei sintomi possibili di questo stato di cose è la “sindrome di sfinimento mentale” che Frese e Hesse (1995) hanno descritto come il fatto “che una persona si sente affaticata fisicamente, tanto da non essere più capace di identificarsi con il suo lavoro, avendo la sensazione che il suo ideale, le sue idee o il suo potenziale non possono più realizzarsi”. Ciò che di solito si manifesta attraverso una mancanza di motivazione e di produttività e attraverso l’aumento del tasso di assenteismo e dei disturbi a carico della salute fisica e mentale delle persone (abbassamento del livello di vigilanza, reattività, disturbi psicosomatici, sindromi depressive, ecc.).

L’aumento di condizioni “limite” come quelle appena accennate, è stato ormai da tempo messo in relazione con l’evoluzione generale dell’organizzazione del lavoro, spinta ad ottenere il massimo della produttività e della redditività in un contesto di concorrenza estrema (Levi, 1999; Cox T., Griffiths A., Rial-Gonzales E., 2000; Third European Survey on Working Conditions, 2000,Peter e Siegrist, 2000; Tennant, 2001; Kiecolt-Glaser et al., 2002)

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

6 – Tener conto dei rischi psico-sociali

I rischi per la salute mentale dei lavoratori in rapporto, diretto con situazioni esposte a tensioni psico-sociali estreme e costanti, sono stati più volte evidenziati da C. Dejours sin dal 1990.

Tuttavia, molte delle persone toccate dal problema spesso trascurano il fatto che lo stress professionale non comprende solo una reazione del singolo a determinate situazioni aziendali; ma è anche il risultato di una prassi aziendale generalizzata. Spesso si sottovaluta l’evidenza che, oltre ai fattori individuali, anche alcuni fattori aziendali come le attività di management, le condizioni di lavoro e la cultura aziendale possono giocare un ruolo decisivo nell’insorgenza dello stress e dei rischi psico sociali sul posto di lavoro.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, 1986) ha per la prima volta definito i rischi psico-sociali in termini di interazioni tra contenuto del lavoro, gestione ed organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative da un lato, e le competenze e le esigenze dei lavoratori dipendenti dall’altro. Tali interazioni possono essere pericolose perché influiscono sulla salute dei lavoratori dipendenti attraverso le loro percezioni e la loro esperienza (in questo caso si accenna al vissuto soggettivo delle persone).

Nella “ricerca sullo stress correlato al lavoro”, pubblicazione ufficiale della European Agency for Safety and Healt at Work (2000), era già ben evidente che i rischi psico-sociali, possono esercitare anche effetti diretti sulla persona, effetti che non sono mediati dall’esperienza di stress. Ma, probabilmente, la definizione più soddisfacente è quella proposta da Cox e Griffihs nel 1995; i quali affermano che i rischi psico-sociali sono correlati con “quegli aspetti di progettazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, e i loro contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono dar luogo a danni di natura psicologica, sociale o fisica”.

Ecco i punti di riferimento in materia di stress che ispirano le attuali politiche di promozione della salute nei luoghi di lavoro. Quello dello stress associato alla esposizione ai rischi fisici (in sostanza, la  tensione e la paura da parte dei lavoratori di essere esposti a situazioni di pericolo derivanti dall’ambiente fisico e/o dall’uso di sostanze e prodotti pericolosi) e quello dello stress associato alla esposizione verso rischi psico-sociali (relativi al contesto del lavoro e al contenuto del lavoro)

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

 

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni dell’economia e delle imprese.

I primissimi dati forniti dalla Commissione delle Comunità eurpopee (2000), hanno messo in luce che la “non qualità” del lavoro si traduce in una perdita di capacità produttiva per l’economia (500 milioni di giornate di lavoro perse nel 1999 a causa di infortuni o di problemi di salute) e in spese per indennizzi e prestazioni il cui finanziamento pesa, in larga misura sulle imprese. Quasi 350.000 persone sono state costrette a cambiare occupazione o luogo di lavoro o a diminuire la durata del lavoro e quasi 300.000 presentano diversi gradi di invalidità

A livello dell’impresa stessa, la non qualità si traduce in un degrado della sua immagine nei confronti del mondo esterno: dei dipendenti, dei clienti, dei consumatori e, più in generale, del pubblico, che è sempre più sensibile ai temi legati alla sicurezza. Un ambiente di lavoro sano consente inoltre di affermare l’immagine di prodotti o di servizi di qualità e il suo miglioramento dipende da una strategia globale di “gestione della qualità” e di responsabilità sociale, che apporta benefici alle prestazioni e alla competitività

La promozione di “un vero benessere sul luogo di lavoro” che sia tanto fisico quanto psicologico e sociale, e che non si misuri semplicemente con l’assenza di infortuni o di malattie professionali. (Comunicazione della Commissione, 2002) diventa così una importante leva di sviluppo organizzativo per le aziende.

Spesso si incontrano persone che criticano le misure preventive contro lo stress e i rischi psico sociali sul posto di lavoro, affermando che comportano costi elevati. Però, se consideriamo il personale unicamente come fattore di spesa, quando sarà necessario prendere una decisione, queste misure possono apparire onerose. “Ma se si persegue l’idea di investire in risorse umane o capitale umano, i vantaggi a lungo termine sono maggiori dei costi immediati” (Udris, 2003). Considerare il personale come un costo oppure come un investimento comporta strategie e modi di pensare diversi. Tra un’analisi del problema a breve o lungo termine, occorre distinguere la “differenza”; infatti, se si investe nel lungo periodo si avranno meno assenze, meno fluttuazioni del personale, maggiore motivazione e una migliore salute.

Di solito, quando si parla di miglioramento delle condizioni di lavoro si pensa spesso a grossi cambiamenti, che investono vari ambiti quali l’ergonomia, la gestione aziendale, lo sviluppo organizzativo, ecc. Tali fattori sono certamente importanti, ma non dobbiamo dimenticare che anche piccoli passi possono produrre risultati e molti di questi non comportano alcuna spesa. Si pensi ad esempio che con la riorganizzazione dei compiti e delle funzioni, attraverso discussioni e riunioni di gruppo, è possibile introdurre piccoli cambiamenti che possono contribuire a ridurre lo stress sul posto di lavoro e aumentare il grado di soddisfazione dei dipendenti.

La salute è un bene fondamentale e sappiamo che il concetto di salute si è evoluto nel tempo: da una rappresentazione basata sull’assenza di patologie, si è passati a una rappresentazione della salute come realizzazione intenzionale, di intervento dinamico dell’individuo nel suo ambiente. Essa va intesa come benessere fisico, psichico e sociale; vista anche come il risultato di fattori sociali ed economici che esulano dalla sfera esclusiva dell’attività sanitaria.

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

 

8 – La promozione della salute organizzativa

La promozione della salute all’interno delle aziende, come attività derivante da uno sforzo congiunto è stata sostenuta dalle politiche comunitarie a partire dalla Dichiarazione di Lussemburgo del 1997 e dal Memorandum di Cardiff del 1998. In queste due occasioni è stata postulata la importanza di una attività volta al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

–     miglioramento dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro;

–     promozione della partecipazione attiva dei lavoratori e dei datori di lavoro;

–     incoraggiamento dello sviluppo delle competenze individuali;

–     consapevolezza che qualsiasi normativa in materia di salute e sicurezza al lavoro, può essere inefficace se viene a mancare la contemporanea diffusione della cultura della prevenzione che necessariamente deve andare oltre i confini dell’ambiente di lavoro.

La prevenzione dovrà essere attivata a partire dal lavoro e insieme ai lavoratori, ponendo in essere dei comportamenti in grado di agire sulle scelte organizzative, per generare interventi che si pongano sempre più a monte delle situazioni che influiscono negativamente sulla qualità del lavoro.

Gli interventi sull’organizzazione del lavoro sono quindi di fondamentale importanza per la prevenzione. La prevenzione non si basa solo sul rispetto di norme ma anche sulla capacità di tutti i diretti interessati ad attivarsi nella elaborazione di misure efficaci per la prevenzione dei rischi che minacciano la salute fisica e la salute psicologica e sociale.

In futuro, la salute dell’individuo avrà certamente una importanza sempre più preponderante. La salute fisica, la salute mentale e la socializzazione continueranno ad essere asset fondamentali.  Senza essi, chi lavora non può raggiungere i criteri di performance richiesti né assumere il proprio ruolo nel mondo del lavoro.

Occorre farsi carico di una vera “cultura” del rischio, con lo scopo di analizzare le forme più sottili, più sfuggevoli della presa in carico e della gestione dei rischi psico-sociali al lavoro. Perché, dopo i rischi naturali e i rischi tecnologici, occorre renderci conto che esistono i rischi psicologici. Tenendo in considerazione non soltanto la resistenza ai rischi, ma l’assunzione del rischio (il farsene carico) per studiarne allo stesso tempo i fattori soggettivi delle condotte “a rischio” e “nel rischio” e l’incidenza dell’orientamento organizzativo sull’attivazione delle determinanti che innescano disfunzioni sul piano individuale e organizzativo. Smarcandoci da un approccio solamente obiettivante e negativo, del rischio equiparato al pericolo e/o alla malattia, sostituendo ad esso un intervento di tipo partecipativo, a partire da una considerazione integrativa e proiettiva. Perché, oltre ai meccanismi di difesa (nel senso psicodinamico) e di adattamento (coping) il rischio sollecita meccanismi di disimpegno e di decisioni adeguate che portino all’uscita dalla situazione critica, che dipendono in larga misura dalla organizzazione del lavoro.

La psicologia del lavoro e delle organizzazioni permette di avere una visione globale delle condizioni di lavoro e del loro effetto sulla salute, mettendo in evidenza i rischi legati alla organizzazione del lavoro, ai tempi di lavoro, alla intensificazione del lavoro, ecc.; che pur rimanendo celati allo sguardo dei molti, sono attualmente quelli che costituiscono la principale causa di danno per la salute e la sicurezza di chi lavora.

Il lavoro è diventato per consistenti quote di lavoratori una faccenda molto complessa, che presuppone sempre maggiori conoscenze e capacità di risolvere i problemi, ed è fortemente caratterizzato da cambiamenti di ordine tecnico ed organizzativo. Ne consegue che non solo le competenze professionali, ma anche quelle sociali e personali rivestono un ruolo decisivo nella vita lavorativa. L’effettiva possibilità di acquisire e di consolidare tali competenze, esercita un’influenza decisiva e sempre più forte sulla posizione occupata dai lavoratori sul mercato del lavoro.

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

Nuove forme di lavoro e nuove esigenze cognitive

Qual è l’impatto delle tecnologie digitali dell’informazione e della comunicazione sulla qualità della vita e del lavoro? Il loro uso è ormai inevitabile. Proprio per questo è necessario conoscere gli eventuali effetti dirompenti nei confronti del benessere e della qualità della vita al lavoro.

Ognuno può rendersi conto in ogni momento, qualunque cosa stia facendo, che l’uso delle ICT ha determinato una notevole riconfigurazione delle pratiche quotidiane e una definizione del quadro di riferimento delle attività e delle competenze nel lavoro. Queste trasformazioni sono accompagnate da nuove sollecitazioni, ad esempio la necessità di elaborare in pochissimo tempo le informazioni ricevute o l’urgenza di organizzare la valanga di dati che ogni giorno richiamano la nostra attenzione. Portano con sé anche delle opportunità tra le quali la possibilità di gestire meglio il proprio orario di lavoro. Ma soprattutto hanno dato vita a nuovi profili di attività professionali caratterizzate da forme inedite di organizzazione del lavoro e una notevole dominanza delle tecnologie digitali.

Accelerazione digitale
In questi ultimi anni l’accelerazione del ritmo dei cambiamenti è in costante crescita a causa delle continue innovazioni e conseguente messa a punto di soluzioni tecnologiche. Si tratta di processi di implementazione che innovano le modalità di azione e di apprendimento di chi usa le tecnologie e che, a volte, generano evidenti situazioni dirompenti nell’ambito del loro utilizzo. Soprattutto perché esse richiedono una ristrutturazione radicale dell’esperienza dell’utilizzatore, in quanto elicitano nuovi modi di fare, di pensare, di organizzare le attività e mantenere vive le collaborazioni. Ragion per cui è necessario inventare nuovi modelli organizzativi e socio-cognitivi per lavorare con gli strumenti digitali e, allo stesso tempo, tenere conto che l’uso delle tecnologie può avere effetti sulla salute e il benessere di chi le usa.

Gli studi scientifici e le ricerche empiriche hanno messo in evidenza l’emergere di collegamenti tra le condizioni di lavoro, in cui le ICT svolgono un ruolo importante, e la salute di chi lavora. Diventa pertanto importante tenerne conto, soprattutto per motivarci ad analizzare ancora più in profondità il ruolo delle ICT rispetto alla salute e alla qualità della vita e del lavoro.

Ad esempio, il tempo e le risorse liberate grazie all’uso delle ICT possono essere investite in occupazioni che producono maggiore valore aggiunto e sono più stimolanti. Tuttavia, mentre le tecnologie possono migliorare il lavoro e riqualificare la professionalità, esse tendono anche a snaturare il lato umano dell’attività e a sviare la persona che lavora da tutto ciò che ha senso per essa; per esempio: le pratiche e i contatti professionali, oppure i margini individuali di manovra e la relazione che ha con il “suo” lavoro. La mediatizzazione tecnologica dell’attività può dunque correre il rischio di svolgersi in danno della salute di chi lavora e della qualità della vita al lavoro perché ha un impatto sulla struttura psichica della persona.

Come si diceva, in questo costante processo di cambiamento alimentato dalle continue innovazioni tecnologiche, possiamo mettere in evidenza anche una certa varietà di destabilizzazioni. Si tratta di cambiamenti costanti che influenzano la struttura e il contenuto delle decisioni e delle comunicazioni e di conseguenza influenzano i tradizionali parametri di riferimento dello spazio e del tempo di lavoro. Mentre nello spazio (di lavoro), le ICT hanno completamente smaterializzato la relazione dei dipendenti con il proprio ufficio, l’azienda, la famiglia e la vita privata; tanto che i confini tra i diversi tipi di ambito sono divenuti permeabili, se non addirittura scomparsi. Nella prospettiva temporale, dato che l’orario di lavoro è sempre più scandito dal tempo (velocissimo) degli strumenti tecnologici e il ritmo batte la misura al nanosecondo, l’immediatezza diventa la modalità prevalente di organizzazione della vita professionale e sociale. In questo caso, il tempo umano è diventato tempo della processazione che rimpalla sull’aumento del carico di lavoro. Ciò che può essere brevemente definito come la relazione tra sollecitazioni e capacità che possono essere mobilitate dall’individuo. In questo caso, cresce in modo esponenziale il volume dei dati (in quantità e qualità) ragion per cui il lavoro subisce una compressione dovuta alla maggiore quantità di informazioni da gestire e, allo stesso tempo, l’attività si intensifica con l’accelerazione del ritmo di lavoro e delle sequenze di lavoro. Rapidità delle comunicazioni, immediatezza della risposta e reattività della persona diventano così alcune delle caratteristiche del compito smaterializzato. Il riflesso sostituisce la riflessione e la simultaneità delle attività diventa una condotta pregnante dell’attività mediatizzata. E’ quanto risulta, in modo ben evidenziato e documentato, proprio dagli studi specialistici. L’accumulo di compiti in corso, avviati, ma mai completamente completati, si sta dimostrando estenuante e, allo stesso tempo, angosciante. Il dipendente si disperde in compiti concorrenti e contemporanei che deve gestire secondo le sollecitazioni tecnologiche per progredire nonostante tutto nel lavoro.

Frammentazione e destabilizzazione
Si tratta di situazioni marcate da continui disapprendimenti e/o riapprendimenti, che sono cognitivamente estenuanti e professionalmente molto destabilizzanti, in grado addirittura di imporre le regole di condotta e di lavoro perché strettamente associate all’uso degli strumenti digitali. In questi casi, parliamo anche di stress associato alle paure, le ansie, le frustrazioni provocate dalla introduzione e dall’uso delle tecnologie sul lavoro.

Gli artefatti tecnologici guidano e scandiscono il lavoro, pongono frequenti sollecitazioni. Interrompono il lavoro, determinano le modalità di azione e gli impieghi del tempo (ad esempio, attraverso le agende condivise), orientano e costantemente reindirizzano azioni e compiti da realizzare (al esempio, attraverso la messaggistica sincrona e asincrona). Tutti casi in cui i dipendenti si sentono privati della loro capacità di agire e prendere decisioni sulla propria attività. Di fronte a queste interruzioni permanenti, il lavoro è frammentato e ridotto a micro-compiti che devono essere costantemente raccordati per ritrovarne il senso. Si ha allora la sensazione di perdere il controllo del proprio lavoro per subire ciò che impone il sistema. Alla fine, ci si trova davanti a un lavoro che richiede sempre più frequentemente di affrontare gli imprevisti e raccordare i compiti frammentati, vale a dire un lavoro sul lavoro. Che potremmo anche definire un “meta-lavoro”.

Sottoposto a tale frammentazione, l’individuo è dunque obbligato a ridefinire costantemente l’organizzazione e le priorità della sua attività per dare una parvenza di coerenza e raggiungere i suoi obiettivi professionali.

In questa attività spezzettata, ognuno deve sapere come gestire il passaggio tra i diversi frammenti di attività, e anche tra i diversi mondi professionali ad esso collegati e in cui si ritrova proiettato secondo le sollecitazioni della tecnologia digitale.

Propongo un quadro emerso da una ricerca pubblicata recentemente. Si tratta di una dirigente che si trova ad assumere, nello spazio di qualche decina di minuti, ruoli e responsabilità diverse. Cioè, svolgere il ruolo di responsabile della comunicazione, del project manager, collaborare a un altro progetto, essere cliente di un fornitore, collega … ecc. Ove ogni contesto professionale è stato avviato da una interruzione tecnologica (mail, smartphone, strumenti collaborativi, agenda condivisa, ecc.) e ha richiesto specifici riferimenti commerciali: conoscenza del vocabolario dedicato, implementazione di un particolare know-how, padronanza degli strumenti e metodi appropriati, conoscenza degli obiettivi di ciascun progetto e loro temporalità, posizionamento e ruolo sociale appropriato. Alla fine, la dirigente doveva essere in grado di adattarsi permanentemente a questa “poli contestualità professionale”. In questo caso diventano necessarie capacità cognitive specifiche (gestione della dispersione, contestualizzazione, anticipazione, articolazione delle differenze, organizzazione, ecc.) In modo che l’attività possa raggiungere un obiettivo che si trova oltre l’assemblaggio caotico di frammenti dispersi di lavoro. In assenza di tale impegno di articolazione, il rischio è che l’attività perde il suo significato, si svuota della sua sostanza e alla fine scoraggia l’individuo che è costretto a confrontarsi con una serie di attività frustrate e frustranti, incomplete o prevenute, in breve a un lavoro che gli sfugge e in cui non si riconosce.

Tutto ciò – possiamo comprenderlo – rappresenta una fonte di malessere per le persone e, di conseguenza, può avere un impatto non positivo sulla qualità della vita al lavoro.

 

* L’autore può fornire – a richiesta – ulteriori informazioni ed eventuale documentazione bibliografica, nonché pareri specialistici sullo specifico argomento