Le molteplici logiche dell’agire imprenditoriale costituiscono una notevole fonte di spunti per riflettere sulle modalità della successione, sia rispetto al profilo, sia rispetto allo stile di direzione dell’imprenditore. All’inizio degli anni ’90 Michel Bauer (Bauer M., Les Patrons de PME entre le Pouvoir, l’Entreprise et la Famille. Paris, InterEditions, 1993), ha descritto molti casi, dai quali ha tratto la conclusione che occorre mettere in discussione l’esclusività della razionalità economica alla base delle scelte imprenditoriali. Sostenendo che le operazioni economiche sono certamente importanti, ma non sono esaustive e non rendono onore alla complessità dei problemi che devono affrontare gli imprenditori.
Bauer scrive che i dirigenti d’impresa spiegano tutto attraverso i numeri; evitando di evocare le loro preoccupazioni famigliari, le difficoltà e/o i piaceri dell’esercizio del potere, che tuttavia influiscono sul loro operato. Si adeguano scrupolosamente alla regola del “parlare-soltanto-economico”. Del resto, dice Bauer, in un mondo caratterizzato da esigenze d’efficacia e razionalità, di modernità e competenza, come potrebbero confessare queste realtà più “tradizionali” che coinvolgono la sfera affettiva e politica, i sentimenti e la parentela? Il fatto è che anche i loro interlocutori rispettano tutto questo e non derogano mai alla regola del “parlare-soltanto-economico”. Ad esempio, per spiegare, salutare o criticare le strategie decise ai vertici delle aziende, gli osservatori più credibili (giornalisti, economisti, analisti finanziari, ecc.) si esprimono come se non conoscessero un solo modo di esprimersi: quello economico. Tutti i discorsi “seri” fanno così apparire l’imprenditore come un essere che prende ogni decisione in funzione della sola razionalità economica. Ma, a questo punto, lo scarto tra realtà e linguaggio può diventare ragguardevole, in quanto nessuno affronta il “non detto”, il non economico, che diventa pertanto un vero tabù.
Sembra pertanto – dice Bauer – che gli imprenditori seguono in modo esclusivo la logica dell’efficacia economica e che le questioni di potere e le vicende famigliari non pesano affatto sulle loro decisioni.
Per comprendere le difficoltà incontrate da un imprenditore al momento di preparare la sua successione occorre rendersi conto del carattere riduttivo delle argomentazioni economiche; à necessario uscire dagli schemi strettamente economici o “manageriali” per comprendere il comportamento effettivo dei dirigenti e degli imprenditori.. Ai vertici delle aziende, anche se tabù, le logiche politiche e famigliari sono ancora importanti. Occorre mettere in discussione la regola del parlare-soltanto-economico, cogliendo così le complesse dinamiche che agevolano o impediscono la successione dell’impresa familiare. Vi sono logiche sotterranee che, pur non essendo economiche, pesano sulle decisioni. Occorre scoprire il non detto e far apparire in tutta la sua evidenza che l’imprenditore, nella sua attività professionale, è un essere molto più complicato rispetto alle usuali rappresentazioni, molto più sensibile e complesso di quanto non rivelino i discorsi freddi ed astratti della teoria economica. Il nodo critico della trasmissione, sottolinea Bauer, sta nella pluralità delle razionalità presenti nella testa di ogni imprenditore e nell’esito dei conflitti che le diverse scelte possibili provocano.
Un imprenditore è “un uomo a tre teste”. Questa la “legge fondamentale” dedotta da Bauer. In parte è Homo oeconomicus, interessato ai risultati della sua azienda e ai guadagni che produce. In parte è Homo politicus che, come tutti gli uomini politici, cerca di consolidare il suo potere o, quanto meno, di conservarlo. Infine è Pater familias che, come molti padri di famiglia, cerca a suo modo di aiutare i figli.
Al comando della sua azienda un imprenditore agisce non soltanto secondo una razionalità economica, ma allo stesso tempo secondo una razionalità politica ed una famigliare. La sua attività professionale, costituita dall’insieme delle decisioni che prende, va considerata come il prodotto di questa tripla razionalità.
Bauer delinea alcune situazioni tipo per descrivere come dirige la sua impresa un capo che funziona soltanto secondo la sua razionalità politica e come immagina la sua eventuale successione. Secondo l’autore, alcuni capi non trasmettono spontaneamente la loro impresa, a meno che non si intenda con questo: “abbandonare volontariamente la poltrona dopo aver selezionato e poi formato il successore”. La loro testa di homo politicus non li spinge affatto ad abbandonare il potere, ma anzi a conservarlo.
Altri capi evitano di avere accanto un delfino; al massimo accettano un “erede di famiglia”, ma mantenendolo nella condizione di “erede-che-aspetta-passivamente”.
Vi sono altri imprenditori particolarmente reticenti a dividere l’esercizio del potere. Vegliano perchè la loro autorità non possa essere messa in discussione.
Alcuni capi d’impresa provano molta difficoltà a smettere di lavorare a un’età che per i dipendenti corrisponde a quella della pensione. Tendono piuttosto a rimanere aggrappati al loro potere ed a conservare le loro prerogative il più a lungo possibile. E’ il caso di quelli che rimangono al timone anche da vecchi e non pensano di preparare la successione perché non hanno che settant’anni …
La storia di ogni passaggio generazionale d’impresa è frutto di una complessa interazione tra le tre “teste” dell’imprenditore e le soluzioni aprioristiche per risolvere i problemi di successione rischiano di essere poco incisive se non tengono conto delle modalità di gestione (del potere) della governance.
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