È forte e seducente il fascino e il potere delle nuove tecnologie, a volte ci si sente quasi onnipotenti proprio grazie a tale potenzialità. Capita altre volte però che un accidente, un ritardo, un ostacolo, un blocco di corrente, l’intenzione di un hacker, il virus, un qualsiasi incidente, faccia crollare tale nostra immagine di potenza che non appartiene solo alla singola persona ma all’azienda, all’organizzazione, alla squadra che nell’accusare il colpo, rischia anche di perdere – per un tempo auspicabilmente brevissimo – la propria coesione interna.
A volte è il caos e quasi sempre è l’ansia a regnare sovrana. Con la conseguenza che si perde, con molta facilità, il controllo della situazione. Qualunque sia la natura dell’evento, gli effetti non sono unicamente di ordine materiale e non possono essere misurati soltanto in denaro. In certi casi i danni materiali sono leggeri o anche inesistenti, ma il “crollo” psicologico può tuttavia comportare pesanti conseguenze di carattere psico-sociale e affettivo-relazionale. Le persone vivono tali esperienze come traumatizzanti, talvolta fanno fatica a riconoscere la natura delle loro reazioni emotive: reazioni eccessive, forti, sconvolgenti. Tali reazioni vanno considerate entro la norma e il semplice fatto di saperle legittimare, può aiutare a confrontarsi con quei sentimenti, quei pensieri e quei comportamenti che sembrano così inconsueti. Riconoscere e legittimare gli “strani” fenomeni che stanno accadendo dentro e fuori di noi: ecco un primo passo sul cammino che porta a superare la crisi e il conseguente disorientamento/cambiamento.
L’evento critico di solito mette in risalto l’impreparazione degli attuali sistemi di fronteggiamento e la loro limitata capacità di cogliere i campanelli di allarme. Sarebbe pertanto opportuno porsi degli interrogativi prima che sia troppo tardi, non trascurando l’esistenza di vaste lacune per quanto riguarda i valori e le responsabilità. Perché quando accade qualcosa di imprevisto nascono incomprensione, impotenza, abbattimento. Ancora più preoccupante, è il fatto che di fronte ad una sfida che dovrebbe essere affrontata con determinazione, spesso ci si tira indietro, la si rifiuta per timore o paura. E’ la paura delle persone che si sentono costrette ad uscire dai loro abituali quadri di riferimento se vogliono davvero affrontare il problema, è la paura delle organizzazioni che si rifiutano di rivedere i loro strumenti, le loro procedure e ancora di più le loro culture sedimentate.
Occorre tuttavia comprenderli, più che criticare, questi comportamenti e anche queste resistenze. Quando viene a mancare la capacità di considerare con attenzione desta e animo tollerante, può apparire un’operazione piena di insidie, impegnarsi in un cambiamento o nel fronteggiamento di una crisi. Poiché spesso non abbiamo la possibilità di conoscere adeguatamente sia il terreno su cui ci muoviamo, sia il modo in cui interveniamo. E, ancora di più, rimanendo scarsamente in contatto con le emozioni che coinvolgono le persone e le organizzazioni, nonché con quelle modalità delle relazioni che non sempre sono funzionali per far fronte al problema.
Molto spesso diventa difficilissimo padroneggiare la propria esperienza, in termini di pensieri, sentimenti e azioni, di fronte ad un evento che mette in crisi le nostre capacità di risposta. Apprendere delle competenze non tecniche, che possono aiutarci in questi frangenti, risulta spesso una scelta vincente.
Ho ritrovato su alcune vecchie agende delle annotazioni che mi sembrano ancora interessanti: brevi riflessioni, credo non banali rispetto al tempo in cui le ho scritte.
Ne ho scelto cinquantadue, risalenti al 2002, 2003 e 2004, con l’intenzione di proporre un motivo di ispirazione settimanale per il corso dell’anno.
Questa è la n. 40: “Premunirsi, non spaventarsi” (2003)
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