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Essere sé stessi. Non solo sopravvivere o adattarsi.

“Durante una vacanza sul Pacifico, me ne stavo su alcune sporgenze rocciose a guardare le onde infrangersi sugli scogli, notai con sorpresa, su una roccia, qualcosa come dei piccoli fusti di palma, non più alti di 70-80 cm, che ricevevano l’urto del mare. Attraverso il binocolo vidi che si trattava di un certo tipo di alghe costituito da un fusto snello e un ciuffo di foglie posto in cima. Osservandole nell’intervallo fra un’onda e l’altra sembrava evidente che il fusto fragile, eretto, dalla chioma pesante, sarebbe stato completamente schiacciato e spezzato dall’onda successiva. Ma quando l’onda gli si abbatteva sopra, il fusto si piegava paurosamente e le foglie venivano sbattute fino a formare una linea diretta dallo scorrere dell’acqua. Tuttavia, non appena l’onda era passata, ecco di nuovo la pianta diritta, resistente, flessibile. Sembrava incredibile che un’ora dopo l’altra, giorno dopo notte, per settimane e forse per anni, potesse resistere a questo urto incessante, e per tutto il tempo potesse nutrirsi, affondare le proprie radici e riprodursi. In breve, potesse mantenere e migliorare se stessa attraverso un processo che, nel nostro linguaggio, chiamiamo crescita. Con la tenacia e la persistenza della vita, la capacità di resistere in un ambiente incredibilmente ostile, riuscendo non soltanto a sopravvivere, ma ad adattarsi, a svilupparsi, a “essere se stessa.”

Questo breve appunto biografico di C. Rogers aiuta a porre in risalto come, in tutti i regni della natura, la vita sia un processo attivo, non passivo. Portando a considerare che, prescindendo dalla provenienza dello stimolo, dal fatto che l’ambiente possa essere favorevole o sfavorevole, l’organismo tende ad assumere forme adatte a mantenere, migliorare e riprodurre se stesso. Sicuramente questa è una descrizione molto generica del fenomeno, ma rappresenta in modo adeguato (almeno nell’economia di questo scritto) la natura propria del processo, in continuo divenire, chiamato “vita”. Cioè quella tendenza intrinseca negli organismi viventi che è presente in ogni momento della loro esistenza. Infatti, è solamente la evidenza o l’assenza di questo processo che può darci la possibilità di dire se un dato organismo è vivo o morto.

Mi è spontaneo pensare al racconto quando capita di incontrare clienti che vivono la loro situazione definendola molto complicata e difficile. Vogliono cambiare e non sanno come fare, sentendosi schiacciati dai loro fardelli personali. A un esame superficiale le loro storie possono sembrare problematiche, disturbate, sorprendenti. Le condizioni in cui queste persone sono cresciute, hanno vissuto la loro esistenza, di solito non sono state molto agevoli e sicure … eppure, ogni volta che si presenta l’occasione, possono contare su una tendenza profondamente volitiva che alberga in loro.

La chiave per comprendere quel modo di essere è che esse stanno lottando, persone ed anche organizzazioni di persone, con le uniche modalità che sentono di avere a disposizione, per muoversi verso la crescita, verso il divenire: per uscir fuori da quella condizione di sofferenza. A chi in quel momento osserva la scena dall’esterno e non sta vivendo quei problemi, i tentativi possono sembrare inammissibili e inspiegabili ma essi sono i coraggiosi, autentici, tentativi della vita di diventare se stessa. È un modo di essere, una forte tendenza che cerca di affermare un processo di crescita costruttivo.

A partire da queste considerazioni, emerge con evidenza il fatto che quando le circostanze sono favorevoli, l’organismo cerca di superare se stesso, raggiungendo un grado di armonia e di integrazione superiori. E – per esperienza – mi sento di affermare che quell’essere bio-psico-sociale vive una condizione di sviluppo costantemente attivo, in virtù di un processo intrinseco naturale, perché in natura non esiste un processo vitale che giunge definitivamente a completezza e stabilità. Di conseguenza, posso anche rilevare sia gli elementi che favoriscono la crescita e sia le modalità attraverso le quali tale crescita può essere facilitata o incoraggiata.

Le caratteristiche generali degli esseri viventi assumono negli umani forme molto più complesse e singolari. Nelle persone le forze “naturali” appartenenti alla sfera vegetativa e quelle legate alla “istintualità” sono certamente meno attive ed evidenti, essendosi metamorfosate in capacità superiori tipiche dell’umanità. Ciò ha portato la persona a crescere individualmente, ad interiorizzarsi sempre di più, ad evidenziare la unicità e la irripetibilità del prorio Io, in un processo continuo di crescita spirituale. Sottolineando così la diversità e la differenza esistente tra ciascun essere umano.

Tuttavia, per essere “Io” bisogna essere almeno in due. Non è possibile crescere se si è da soli, l’Io si trova in divenire soltanto in rapporto a un Tu, solo nel momento in cui si confronta con l’altro. François de Singly ha sviluppato il tema della costruzione/ricomposizione dell’identità adulta all’interno delle relazioni ed ha evidenziato una struttura a quattro termini: un sé visto da sé stessi e un sé visto dagli altri, sdoppiati a loro volta in un sé intimo, privato, e un sé “sociale”, quello che da statuto a una persona. Mettendo in evidenza che la questione dell’identità che sta alla base della definizione di sé, non è mai compiuta una volta per tutte ma richiede costanti aggiornamenti o riaggiustamenti. Quanto detto aiuta a comprendere anche che la costruzione dell’identità diventa un progressivo svelamento e/o rafforzamento di sfaccettature nascoste di noi stessi, da parte di altre persone significative.

Ecco dunque, che per lo sviluppo spirituale-identitario dell’essere umano “l’ambiente” che può facilitare o ritardare la sua crescita diventa maggiormente complesso e complicato dalla presenza e dalla necessità delle relazioni interpersonali che sono alla base della sua esistenza.