La figura del padre contemporaneo potrebbe essere illustrata con una immagine pirandelliana: egli non ha un ruolo ben definito, ma è uno nessuno e centomila.
Soprattutto quando l’uomo si trova ad affrontare il periodo di transizione alla paternità facendo affidamento sulle proprie capacità, le proprie risorse, il proprio intuito: Non potendo contare su “linee” di comportamento, privo di qualsiasi rito di formazione o iniziazione che lo incoraggi a entrare in questo ruolo.
A lungo considerata una patologia che colpisce esclusivamente le madri, la depressione postnatale colpisce anche i padri. Secondo i risultati presentati all’ultima convention annuale dell’American Psychological Association, il 10% di questi sarebbe seriamente coinvolto. Sotto-diagnosticato dagli operatori sanitari, il fenomeno sarebbe anche ampiamente sconosciuto nella popolazione generale. Di fondo c’è l’idea sbagliata che la depressione postnatale sia dovuta esclusivamente ai cambiamenti ormonali durante il parto, quando l’impatto della privazione del sonno potrebbe essere maggiore.
C’è anche una serie di stereotipi di genere. Per valutare l’importanza di questi pregiudizi, un team di ricercatori britannici di psicologia ha sottoposto 406 adulti dai 18 ai 70 anni a casi clinici fittizi: a ogni volontario è stata descritta la situazione sia di una donna e sia di un uomo, presentando sempre gli stessi sintomi. I partecipanti dovevano quindi indicare se “qualcosa non andava” nello stato psicologico della persona. I risultati ottenuti sono stati inequivocabili: i partecipanti hanno identificato correttamente la depressione postnatale nel 90% delle madri, ma solo nel 46% dei padri. Non solo le difficoltà di questi ultimi sono state evidenziata meno volte, ma sono state anche più spesso attribuite alla fatica o allo stress.