Le attuali modalità organizzative e di management in diverse occasioni moltiplicano le fratture all’interno delle comunità e dei percorsi di carriera, rendono fragili i contesti di appartenenza e di riconoscimento del lavoro, aumentando le criticità nei processi di socializzazione organizzativa e di costruzione delle identità professionali.
Occorre avere chiari questi nodi critici, se vogliamo comprendere gli atteggiamenti e i comportamenti di chi lavora insieme a noi, per realizzare una gestione consapevole e ponderata delle persone che vi lavorano.
Chi dirige un’azienda o è responsabile di un suo settore, deve tenere ben presente che l’incremento della produttività e la qualità dei servizi, si trova sempre più in relazione con il morale dei collaboratori e il benessere (nei termini di “qualità delle relazioni collaborative”) nei luoghi di lavoro.
Impegnarsi nella qualificazione complessiva della vita al lavoro, migliorare il clima organizzativo, significa in sostanza contribuire ad agevolare le transazioni relazionali di chi vi lavora, mettere a punto i relativi meccanismi di regolazione per garantire il successo dell’azienda e dei suoi prodotti/servizi. Non dimenticando che il benessere delle persone influisce sulle performance aziendali.
Ci rendiamo conto che il ruolo centrale della soggettività e dell’intersoggettività nelle relazioni di lavoro, dentro e fuori il perimetro aziendale, diventa sempre più evidente e importante.
È necessario affrontare con molto realismo il problema del riconoscimento al/del lavoro; al di là del semplice iter giuridico ed economico, senza temere etichette di idealismo o ingenuità.
Oltretutto il riconoscimento al lavoro sta richiamando sempre più l’attenzione, in quanto comporta un elemento di criticità che è legato anche ai problemi di salute mentale al lavoro. Abbiamo bene in mente che i vari fattori di rischio non positivi per la salute dei lavoratori e, di conseguenza, per quella delle aziende, comprendono tra gli altri anche il sovraccarico di lavoro, il deterioramento delle relazioni tra colleghi, la scarsità delle relazioni con i superiori diretti, la inadeguata circolazione delle informazioni relative alla governance e l’eccessiva limitatezza di comportamenti o pratiche di riconoscimento verso il lavoro svolto dai dipendenti.
Chi lavora spera in qualcosa di più di un salario, si aspetta che il suo lavoro sia riconosciuto; ad esempio, vedendo mettere in risalto i buoni risultati, sentendosi offrire incoraggiamento o segni d’apprezzamento. Una riconoscenza che può manifestarsi anche attraverso la creazione di uno spazio di discussione, che permette alle persone di esprimere il loro punto di vista sul lavoro e rinsalda i legami.
È possibile mettere in evidenza almeno due elementi di base del riconoscimento. Uno è il giudizio d’utilità del lavoro realizzato (riconoscere il rispetto delle gerarchie, il raggiungimento degli obiettivi, gli ostacoli superati, ecc.); l’altro è il giudizio estetico del lavoro (riconoscere la qualità delle azioni, la pertinenza delle decisioni, l’ingegnosità delle soluzioni, ecc.). Cercando di comprendere anche quali rischi incontra colui o colei che non si stente stimato/a e riconosciuto/a nel suo lavoro, tanto dai suoi superiori che dai suoi colleghi; ma anche quali inciampi possano emergere per le organizzazioni. Parecchi studi dimostrano che la mancanza di riconoscimento al lavoro è strettamente connessa con lo scarso coinvolgimento professionale, la demotivazione e l’assenteismo
Il lavoro rimane il luogo fondamentale della nostra vita e della ricerca d’identità e realizzazione personale; la qualità della nostra vita è direttamente proporzionale alla qualità del nostro lavoro. Un adeguato investimento di risorse morali e materiali per migliorare la qualità della nostra vita al lavoro è necessario.
Sfortunatamente, molto spesso, il lavoro è in genere percepito nella sua dimensione utilitaristica; ciò facendo non si rende giustizia agli sforzi di chi lavora e al contributo che egli offre. Trascurando che il riconoscimento al lavoro permette di realizzare le proprie attese, la immagine identitaria; che costituisce un elemento fondamentale di salute mentale.
L’assenza di riconoscimento genera spesso la perdita di riferimenti professionali e personali importanti. Con conseguenti aspri sentimenti quali l’amarezza, la frustrazione, l’inutilità e l’indegnità, che contribuiscono a mortificare la qualità dei rapporti tra il dipendente e l’azienda. Innesca anche una serie di comportamenti, costanti e tenaci, che invischiano a loro volta i dipendenti in un subdolo processo di vittimizzazione. È proprio l’importanza dello sguardo che l’azienda rivolge al proprio dipendente che da un senso a questo fenomeno; non importa tanto la natura dello sguardo, quanto lo sguardo stesso. Molto spesso chi si sente vittima, ad esempio di mobbing, o molestie morali, sente drammaticamente la mancanza di uno sguardo rassicurante. Che lo/la rassicuri soprattutto dell’importanza che l’altra parte gli riconosce in seno all’azienda.
Il riconoscimento e la riconoscenza al lavoro rappresentano la dimostrazione chiara che quanto noi realizziamo, gli sforzi investiti nel nostro lavoro e la stessa persona, sono apprezzati nel loro giusto valore. Il salario non è tutto. Occorre ugualmente sentirsi apprezzati per rinfrescare la nostra motivazione, sviluppare il proprio sentimento d’appartenenza e la voglia di sentirsi coinvolti nell’impresa.