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Qualità dell’organizzazione del lavoro e salute psicologica

Trovo ancora interessante questo articolo scritto per Risorse Umane in Azienda (Maggio/Giugno 2003). Mi sembra molto attuale.

 

Che il disagio psichico, la qualità dello stato d’animo, è concausa – se non fonte diretta – di malattia, è ormai risaputo da tempo. Il fatto che, anche negli Stati Uniti, un cospicuo numero di psichiatri abbia richiesto all’American Board of Medical Specialties che la psicosomatica venga riconosciuta a tutti gli effetti come branca ufficiale della medicina, ammanta ancora più di rispetto il dato di realtà. Naturalmente il legame tra buon umore, serenità, equilibrio e salute del corpo è stato già riconosciuto da diversi studi scientifici ed è un fondamento che anima i medici clown, ma anche le direzioni aziendali più avvedute. Stare bene vuol dire fare bene.

Quando i dipendenti sono soddisfatti del loro ambiente di lavoro e delle loro condizioni di lavoro, possono sentirsi maggiormente coinvolti e responsabilizzati in ciò che fanno e offrire servizi e prodotti di alta qualità alla clientela.

Le aziende a loro volta stanno imparando a non trascurare che l’incremento della produttività e la qualità dei servizi si trova sempre più in relazione con il morale dei collaboratori e il benessere (nei termini di salute e sicurezza) nel luogo di lavoro. Stanno apprendendo che quando investono sulla salute ed il benessere dei loro collaboratori ne traggono un beneficio in termini di qualità del lavoro, creatività e migliore servizio al cliente. Ed hanno appreso anche quanto sia importante contare – in termini di opportunità – sulle evoluzioni imposte dall’ambiente, per farne una vera leva di cambiamento, una reale opportunità per mobilitare le persone e la loro creatività; per concepire, con esse, una impresa intelligente e proattiva, flessibile e umana, redditizia e generosa.

La qualità del lavoro può influire direttamente sulla nostra salute fisica e mentale. Quando si parla di salute mentale al lavoro si fa riferimento al sentimento di benessere o di malessere psicologico ed emotivo che la persona sperimenta sul luogo di lavoro. La letteratura in questo caso mette in relazione specifici fattori di rischio psicologico con il rischio lavorativo (in relazione ai ruoli e ai compiti delle persone, in termini di quantità di lavoro, responsabilità, capacità o competenze, incertezze, priorità, processi spesso interrotti, ecc.) ed il rischio organizzativo ( conseguente a un conflitto di valori, a uno scarso coinvolgimento nelle decisioni, a una mancanza di riconoscimento e di rispetto da parte dei superiori e/o colleghi, alle limitate prospettive di carriera, alla scarsa autonomia decisionale, ecc.). A queste evenienze possono aggiungersi caratteristiche più individuali, che possono predisporre la persona a sviluppare un vero problema di salute psicologica. Ad esempio, è stato dimostrato che le personalità di tipo A, cioè le persone considerate come competitive, ambiziose, perfezioniste e che hanno bisogno di controllare ogni cosa, sono più soggette a problemi di salute mentale. Lo stesso si può dire per quei lavoratori che mettono in atto strategie di adattamento inappropriate; ad esempio quelli che consumano droghe o alcolici per tentare di diminuire la tensione psicologica o per alleggerire il proprio stato d’animo e “curare” il proprio stress.

Il lavoro può avere conseguenze dirette sulla nostra salute fisica e mentale; lo stress è senza dubbio il problema più comune che pone molto bene in evidenza lo squilibrio tra le risorse interne della persona e le richieste dell’esterno, alle quali l’individuo “deve” rispondere.

Nel corso degli ultimi anni, cambiamenti su larga scala di natura socio economica e tecnologica hanno influito in modo considerevole sui luoghi di lavoro ed alcuni cambiamenti che si ritengono di miglioramento – cito la recente ricerca sulla stress correlato al lavoro realizzata dall’Institute of Work, Healt & Organisations, dell’Università di Nottingam per conto dell’Agenzia Europea per la Sicurezza e la Salute sul Lavoro – per l’ambiente di lavoro “possono produrre l’effetto opposto”.

Cambiano le caratteristiche delle organizzazioni e dei settori di lavoro; cambiano i tempi di lavoro e i contratti di lavoro; cambia la organizzazione del lavoro, la presenza dominante delle nuove tecnologie imprime maggiore velocità ai cambiamenti; cambia la qualità e il genere dell’incidenza dei disturbi correlati al lavoro e all’organizzazione del lavoro.
Attualmente diventa sempre più evidente e straordinariamente importante il ruolo centrale della soggettività e della intersoggettività nei rapporti di lavoro e nelle organizzazioni. Emerge la necessità di trasformare le disfunzioni e gli elementi critici emergenti in esperienze pro-positive, avviare interventi di formazione e di ricerca adeguati alle mutate condizioni.

La psicologia e gli psicologi non sono esclusi in queste trasformazioni; la psicologia del lavoro non può esimersi dalle responsabilità che le competono e dall’accettare la sfida delle trasformazioni per apprendere dalle nuove esperienze e accrescere la cultura della Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione quale disciplina in grado di accompagnare concretamente le organizzazioni di ogni tipo e dimensione lungo un percorso di sviluppo continuo e di continue trasformazioni.

Il tema del cambiamento e quello delle società ultramoderne o ipermoderne, coinvolge anche gli psicologi del lavoro. Perché le “complessità”, i rapporti interpersonali che vengono vissuti in azienda, la crescita e lo sviluppo degli individui nel contesto produttivo e organizzativo, la qualità della vita delle persone e degli ambienti di lavoro, costituiscono un campo privilegiato per la psicologia del lavoro e dell’organizzazione.

Non si può trascurare che, ad ogni livello organizzativo, le persone soffrono pressioni nuove e particolarmente intense derivanti in vario modo dalle politiche di qualità e di eccellenza, dall’accrescimento di produttività, ecc. che vengono attuate attraverso l’utilizzo di “risorse umane” che fanno appello soprattutto alla mente e al mentale di chi lavora.

All’interno delle organizzazioni, le cause di tensione mentale e affettiva possono situarsi su differenti piani: la organizzazione del lavoro, la eventuale mancanza di risorse umane appropriate, le esigenze della clientela, il ritmo serrato dell’attività, le relazioni interpersonali, ecc.
La maggior parte di noi passa più di un terzo del suo tempo al lavoro e le esigenze reali del lavoro diventano sempre più importanti. La qualità della nostra vita è direttamente proporzionale alla qualità del nostro lavoro.

Con il convegno “Qualità dell’organizzazione del lavoro e salute psicologica” (Milano, 29 maggio 2003) vogliamo proseguire il nostro cammino di ricerca e di confronto coinvolgendo i colleghi della psicologia del lavoro e delle organizzazioni, i datori di lavoro e i direttori del personale, i medici del lavoro e gli altri professionisti interessati, in una giornata di studio affinché insieme si possa realizzare un confronto sereno e produttivo che giunga ad evidenziare la sostenibilità di interventi che, con il sostegno della ricerca scientifica nel campo del la psicologia del lavoro e delle organizzazioni, contribuiscano ad aumentare la qualità delle salute psicologica in ambito lavorativo ed organizzativo. Soprattutto alla luce della strategia comunitaria per la salute e la sicurezza 2002-2006.

La strategia comunitaria per la salute e la sicurezza nei luoghi di lavoro, si conferma impostata sulla prevenzione e progettata a livello del benessere individuale, di quello organizzativo e sociale, con misure diversificate, interdisciplinari, capaci di affrontare i rischi tradizionali e quelli emergenti nelle aziende.
Lo scopo rimane quello di creare ambienti di lavoro che forniscano e facilitino un ritorno di benessere economico e sociale nonché un ritorno di vantaggi competitivi per le aziende.
Le indicazioni comunitarie confermano la importanza della qualità della vita lavorativa per il benessere delle persone e costituiscono uno schema di riferimento per accogliere una specifica domanda sociale di professionalità psicologica nei contesti di lavoro e per potenziare gli appositi servizi a livello aziendale.

Facendo riferimento a gli obiettivi che la Comunicazione della Commissione europea 2002/118 pone in primo piano e che, nel loro insieme definiscono un profilo di psicologo esperto dei problemi della sicurezza e della salute occupazionale, si possono schematizzare almeno le seguenti aree di attività psicologica:
a) essere in grado di effettuare una diagnosi della qualità e degli effetti del lavoro, a livello individuale, correlata al contesto di lavoro;
b) essere in grado di effettuare una diagnosi della qualità e degli effetti del lavoro, a livello di gruppo e di organizzazione;
c) essere in grado di identificare e di effettuare valutazioni dei rischi di natura “trasversale”, psicosociale, connessi con le specifiche situazioni di lavoro, cooperando con gli altri specialisti e funzioni aziendali deputati alla valutazione dei rischi e alla individuazione di misure di sicurezza e salute lavorativa;
d) essere in grado di effettuare valutazioni di rispondenza ai principi ergonomici degli strumenti di lavoro;
e) essere in grado di progettare programmi multidisciplinari di intervento preventivo e soluzioni correttive;
f) essere in grado di progettare e realizzare progetti di stress management, di counseling individuale e di gruppo;
g) essere in grado di progettare interventi informativi e formativi efficaci adottando le tecniche psicologiche più adatte ad attivare processi di apprendimento da parte degli operatori;
h) essere in grado di cooperare con gli altri specialisti allo sviluppo di programmi di promozione e di sistemi di comunicazione

Il tema della salute e del benessere al lavoro non si limita alla considerazione degli effetti negativi individuali, ma si connette con i numerosi fattori che incidono sulla qualità della vita lavorativa in una organizzazione
Lo sforzo di rispondere alle nuove domande sociali di qualità della vita lavorativa e di salute e benessere segnalate dalla Commissione europea può concretizzarsi in una nuova figura professionale che renderà progressivamente più articolata la categoria generale degli psicologi del lavoro e dell’organizzazione.
In tale contesto di riferimento il convegno trae spunto e si propone come momento di presentazione e diffusione di una cultura della prevenzione nel campo della salute mentale al lavoro alla luce della Psicologia del Lavoro e dell’Organizzazione.
Intende inoltre stimolare dibattito e riflessioni più ampie sui meccanismi che presiedono le scelte in questo particolare settore e sulle prospettive ed opportunità nuove che si aprono, a livello europeo, nazionale e delle singole Regioni, nell’attuale scenario normativo, politico istituzionale, economico e sociale, in forte evoluzione.

La gestione dell’evento critico come processo evolutivo

Prevenire le conseguenze indesiderate del un evento critico, in fin dei conti significa saper gestire la situazione che si è palesata nell’occasione. Senza tale capacità sarebbe veramente difficile immaginare un’adeguata gestione degli eventi e la necessaria comprensione (e capitalizzazione) dell’accaduto. Per fare tutto questo, non basta elaborare un piano di interventi infarcito dei vari tecnicismi di grido; occorre soprattutto interrogarsi su quanto “comunica” il cambiamento e quali sono le azioni che “conducono” alla necessaria capacità di governo della situazione. L’esperienza mi ha fatto comprendere che è necessario, a fianco del sapere tecnico, esprimere capacità non necessariamente tecniche che, alla luce dei fatti, aiutano ad esprimere al meglio la tecnologia.

Mi riferisco, in questo caso, a quelle competenze di natura non tecnica necessarie per gestire in modo efficace le problematiche dipendenti dai comportamenti umani; quelle capacità che ci aiuteranno a comprendere ciò che ci spinge ad agire, a reagire o addirittura a non agire.

 

Le persone e le organizzazioni sono obbligate a adattarsi ai cambiamenti. È inevitabile. Spesso si tratta soltanto di passaggi evolutivi che coinvolgono, sia sul piano tecnico e strutturale che su quello organizzativo e culturale, gli organismi nel corso della loro esistenza. Non è una novità; anche se solitamente se ne enfatizza la portata, soprattutto in relazione ai necessari adattamenti che la nostra vita ci impone.

Cambiamento, evoluzione, mutazione, trasformazione, metamorfosi, progresso … sono alcuni dei temi legati alla storia dell’umanità e ai rapporti che essa ha stabilito, da Adamo in avanti, con la natura circostante. Sono le questioni della vita in generale, che hanno occupato sin dagli albori la mente di uomini e donne alla ricerca delle regole che sostengono tali processi. Con la prospettiva di dominarli, assecondarli, controllarli, riprodurli, manipolarli, dirigerli … giorno dopo giorno.
Si potrebbe dire che è attraverso tale ricerca che ognuno di noi riesce a trovare il sale o il gusto per la propria vita e i motivi sufficienti per crescere come persona, realizzando la propria individuazione.
Tuttavia, nonostante il “cambiamento” e i suoi vari processi o manifestazioni siano sempre esistiti, ciascuno di noi fa fatica a cambiare o, meglio, ad adattarsi. Meno per quanto riguarda le trasformazioni che avvengono fuori della propria consapevolezza desta; molto, per quei casi in cui ci si trova coinvolti direttamente e che ci chiedono una presenza e un impegno in prima persona.

È un cimento che cementa.
Una prova “impegnativa” o addirittura rischiosa (il cimento) sin dai tempi di quelle che F. Braudel definì “onde lunghe della storia” e che attualmente sono diventate sempre più brevi e interdipendenti.

Una condizione o situazione, in cui la persona vi si trovare volontariamente (in quanto ha deciso di cambiare qualche aspetto della sua esistenza) oppure coinvolta dalle circostanze. Una sfida che, in un certo senso, richiede di dimostrare se si possiedono determinate qualità o attitudini. Può trattarsi perciò di una “contingenza difficile”, che mette alla prova le nostre capacità o che può rendere evidente o meno la fondatezza di una nostra decisione oppure la realtà di un fatto. Il “cimento” diventa perciò per noi una “verifica” e un “ri-conoscimento”, che lo si voglia ammettere o No. Ed è per questo forse che ci rende ansiosi.

In generale il cambiamento è un evento che svela le qualità o inclinazioni di chi compie la prova e certamente anche di chi vi si trova sottoposto. Ma non ci si può contentare di sottoporsi o subirlo il cambiamento: occorre gestirlo, accompagnarlo, dirigerlo, guidarlo, attraverso un necessario processo di adattamento e una indispensabile ricerca di alleanze. Questo è il cemento che consolida la nuova opera, il nuovo percorso di sviluppo.
Tenendo in considerazione il complesso di relazioni personali e professionali della nostra vita attiva, sarà necessario agire adeguatamente per rettificare la percezione e la comprensione dei rapporti di interdipendenza relativi al cambiamento in atto.

Tutto si evolve ed è in costante mutamento. In ogni momento ciascuno è portato a confrontarsi con i continui e ripetuti sbilanciamenti (e, di conseguenza, le trasformazioni e gli adattamenti) che si ripetono in tempi sempre più ravvicinati e dei quali talvolta non comprendiamo il senso. Il cambiamento richiede una discreta vivacità intellettuale, una minima curiosità verso il nuovo, affinché ciascuno possa sentirsi pronto a cogliere l’occasione, a seguire un’intuizione e ed elaborare le necessarie fasi della realizzazione pratica di un progetto.

Bisognerà pretendere dai diretti interessati una capacità che tuttavia rimane ancora molto evanescente per la maggior parte di noi: la “creatività”. Ovvero l’attitudine verso nuove idee per trovare soluzioni inedite. Evitando di riprodurre puramente e semplicemente l’esistente; in breve, per decidere novità che, ahimé, metteranno in “crisi” la normalità del quotidiano e le nostre comode abitudini. Soprattutto per il fatto che – non nascondiamocelolo – di solito invochiamo la creatività, la capacità di innovare, purché ciò non disturbi o sconvolga la tradizione.

Alludo in questo caso alla capacità – o meglio, “abilità” – che non è tanto creatività o generatività, quanto “intelligenza che trasgredisce”, cioè che va fuori degli schemi prefissati. Precisando che la trasgressione creativa non è necessariamente l’anarchia, quanto il coraggio di andare “oltre” le diagnosi degli “esperti” e gli stereotipi della cultura tradizionale che, in fin dei conti, spesso riproducono solo quanto è certo e quindi già “dato”.

Ogni organismo, organizzazione, sistema, possiede forza e debolezza, limiti ed opportunità, sul piano delle persone, dei processi e delle strutture. In questi ambiti la psicologia, attraverso la professionalità e gli strumenti utilizzati dagli psicologi, può dare una mano ad orientarsi e “pesare” gli investimenti necessari.

Lo psicologo esperto può collaborare con le persone e le organizzazioni per elaborare insieme un piano per la gestione del cambiamento, affiancandole temporaneamente nelle decisioni, facilitare con adeguati apporti metodologici i gruppi di lavoro, contribuire alla elaborazione e alla realizzazione di una efficace attività di comunicazione interna.

L’affiancamento in forma di coaching, individuale o di gruppo, è talvolta indispensabile per permettere di seguire meglio l’azione del cambiamento, anticipare i problemi, affrontarli con ponderazione per evirare precipitazioni nelle decisioni e garantirsi una coerenza d’insieme.

Ogni forma di cambiamento o di riorganizzazione è anche un’opportunità per diventare ancora più capaci di apprendere dalle esperienze. Ed attraverso una consulenza specifica, è possibile valutare le attività realizzate, sia da un punto di vista qualitativo che quantitativo; anche le caratteristiche del successo, affinché l’esperienza possa essere capitalizzata dalle persone e dalla intera organizzazione.

I processi di cambiamento rappresentano una fonte inesauribile di opportunità per la crescita delle persone e delle aziende.