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Il lavoro può essere un “acceleratore del passaggio all’atto, o anche la fonte principale del suicidio

Sto pensando a una persona appena scomparsa e provo tanta inquietudine (pessimismo della ragione) nei confronti di un problema ancora molto sottovalutato.

La notizia che una persona si è tolta la vita non lascia indifferenti e non solo per l’evento della morte che può essere addirittura scelta. A me personalmente fa vivere un ambivalente senso di impotenza/ammirazione verso la realizzazione di un progetto individuale grandioso (in quanto si impone all’attenzione), potente (perché mostra notevole forza e coraggio) e, ahimè, ultimo.

Ma il sentimento prevalente è quello di una frustrazione notevole perché, da professionista e ricercatore, percepisco i molti limiti di un approccio al problema che, di consueto, vede l’estrinsecazione delle condotte suicidarie solo come un riflesso di una sofferenza “privata”.

Le conseguenze di un suicidio sono devastanti a tutti i livelli. Le aziende (di qualsiasi tipo) stanno sottovalutando ancora l’impatto del problema. Ed è raro che un’organizzazione disponga di un piano d’azione per prevenire un suicidio e che tenga conto di quanto l’organizzazione del lavoro possa influire sul fenomeno.

La reazione di evitamento (fuga) e la negazione da parte dei responsabili organizzativi porta automaticamente costoro (e talvolta anche il sindacato) a circoscrivere il problema cercando di ipotizzare “la fragilità individuale” come causa del suicidio, mentre ci si astiene dal considerare eventuali ipotesi inerenti la organizzazione del lavoro.

Questa mancanza di risposta organizzativa al rischio suicidio può portare, secondo me, a un ulteriore deterioramento del clima lavorativo, delle relazioni sociali e della coesione sociale e aumentando di conseguenza il rischio di passaggio all’atto.

Certo, il suicidio è un atto complesso, legato a un insieme di cause ugualmente complesse, che evocano disperazione e sofferenza. Tuttavia, il lavoro può essere un “acceleratore del passaggio all’atto, o anche la fonte principale.

E credo che il contesto organizzativo, in particolare il sovraccarico di lavoro e le relazioni sociali, il riconoscimento delle persone e del lavoro da loro svolto, la conflittualità, i comportamenti additivi, la difficoltà a mantenere in equilibrio la vita familiare e quella del lavoro, ecc. diventino fattori essenziali per comprendere i legami tra suicidio e lavoro.

Non è una semplice questione di causa ed effetto tra queste variabili e l’ideazione suicidaria, ma piuttosto di una dinamica che si instaura tra tali variabili organizzative che può aiutarci a comprendere l’emergere dell’ideazione suicidaria.