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La consapevolezza non è riproducibile artificialmente

“La consapevolezza va al di là del meccanismo. E’ un fenomeno primario. E’ una proprietà irriducibile della realtà”.

Federico Faggin, l’inventore del primo microchip e fondatore di Synaptics, che aveva già costruito per Olivetti il primo computer, ricercatore di fama mondiale e inventore di numerose applicazioni tecnologiche, esprime un motivato parere nei confronti del tecno guru di turno.

In questo caso si tratta di Ray Kurzweil, l’inventore di una stramba cosa chiamata trans umanesimo che sostiene sia possibile fare il download in un computer della nostra consapevolezza. Affermando che un giorno tutti noi potremmo scaricare su un computer i “dati” della nostra vita interiore.

Faggin, nella bella intervista di Gian Antonio Stella sul Corriere di oggi (9.10.2014), non esita a definire folle tutto ciò. “sapessimo almeno dove sono questa e quella cosa. Dov’è la memoria? E le emozioni? Boh … E poi, la consapevolezza va al di là dei dati”.

Federico Faggin, che per vent’anni ha tentato di costruire un computer  in grado di imparare da solo, ha chiuso. “Perché, dall’esperienza ha capito che non è possibile. La consapevolezza va al di là del meccanismo. E’ un fenomeno primario. E’ una proprietà irriducibile della realtà”.

E, secondo lui, aver riconosciuto quel limite, è un fatto positivo. Perché lo ha aiutato a comprendere quanta più profondità ci sia in un uomo o perfino in un animale. “Un bambino che sbatte su un albero da quel momento sa che si farà un bernoccolo sbattendo contro ogni albero, alto, basso, giovane, vecchio, verde o spoglio, che sia pino, abete o baobab: il computer no. Devo fargli immagazzinare tutte le variabili perché da solo non ci arriva”.

 

La consapevolezza non è riproducibile artificialmente

La dipendenza affettiva: riconoscerla e affrontarla

Nelle persone che soffrono di dipendenza affettiva è facile notare difficoltà di natura psichica che sono da ricollegare all’infanzia. Le diverse forme di “costrittività” subite durante questo periodo potrebbero porsi in stretta relazione con la sofferenza.

Per comprendere bene di cosa si tratta, proviamo a inquadrare i sintomi ad essa collegati e le ripercussioni sulla vita delle persone che ne sono afflitte.

 

Sintomi della dipendenza affettiva

Difficoltà a stimarsi nel modo giusto

Cioè ad identificare con precisione quali siano le proprie responsabilità.

Ciò può esprimersi in tre modi:

– la persona sta soffrendo di un complesso di inferiorità;

– la persona è orgogliosa e megalomane;

– la persona si preoccupa solo del giudizio degli altri.

 

Difficoltà a stabilire dei confini efficaci

I confini ci proteggono dalle aggressioni esterne e, nello stesso tempo, contengono la nostra aggressività.

Ci aiutano inoltre a definire meglio ciò che siamo e cosa vogliamo.

Le persone dipendenti affettivamente possono presentare quattro modalità disfunzionali diverse:

– l’assenza totale di barriere: in questo caso la persona non si rende conto della aggressività di cui è vittima o che, al contrario, rivolge verso gli altri;

– scarsa efficacia dei limiti: in alcune situazioni i limiti posti dalla persona funzionano bene, in altre si rivelano del tutto inefficaci;

– eccessiva strutturazione dei limiti: per proteggersi completamente, la persona utilizza una maschera, una corazza. Erige quattro tipi di muro: la collera, la paura, il silenzio o le parole;

– un continuo passare da una posizione di difesa totale a una completa incapacità di difendersi.

 

Difficoltà a riconoscere la propria identità

L’identità è determinata dalla realtà del corpo, dall’organizzazione del pensiero, dai sentimenti che si provano e dal comportamento.

La difficoltà a riconoscere la propria identità può presentarsi in due forme distinte:

– la persona conosce la propria identità ma non arriva a comunicarla: la nasconde agli altri, per paura di un rifiuto. Crede che la propria identità non corrisponda alla aspettative delle persone che le stanno intorno;

– la persona non ha alcuna idea di ciò che costituisce la propria identità: deve allora costruirsene una in funzione di ciò che desidera offrire agli altri.

 

Difficoltà a riconoscere e a soddisfare i propri bisogni e le proprie aspettative

Si possono presentare quattro atteggiamenti diversi:

– dipendenza: la persona conosce i propri bisogni e desideri ma non li esprime e non fa nulla perché possano essere soddisfatti. Lascia che altri se ne curino al posto suo.

– indipendenza: la persona conosce i propri bisogni e desideri ma sceglie di non soddisfarli piuttosto che chiedere aiuto.

– indifferenza: la persona ritiene di non avere alcun bisogno o desiderio. Qualcuno dovrà quindi vegliare costantemente  su di essa per assicurarsi che almeno i suoi bisogni primari vengano soddisfatti.

– confusione tra desideri e bisogni: la persona sa quello che vuole e in genere si attiva per ottenerlo. Tuttavia, è incapace di definire un personale progetto di vita, di stabilire le priorità, poiché non ha una idea chiara dei propri bisogni.

 

Difficoltà ad avere  comportamento e reazioni equilibrate

Questo sintomo è più facilmente identificabile da chi vive vicino alla persona che soffre di dipendenza affettiva: le sue reazioni vanno da un estremo all’altro, senza una ragione apparente.

 

Aver riscontrato in noi qualche sintomo della dipendenza affettiva è già un passo avanti verso la guarigione.

 

Trattamento della dipendenza affettiva

Per un trattamento efficace, va rispettata una regola importante: “Apprendere a combattere contro i problemi esistenziali”.

Ad esempio migliorare l’autostima, affrontare la vita con più equilibrio, ecc.

Per fare questo, pè possibile utilizzare le seguenti strategie:

– Riconoscere la natura dei  problemi: scoprendo come subite i sintomi e come essi influiscono su ogni aspetto della vostra esistenza.

– Farsi aiutare: per avere un sostegno nella ricerca di voi stessi, scegliete una persona che sia capace di aiutarvi, di offrirvi l’ascolto di cui avete bisogno.

– Affrontare subito i problemi che vi fa vivere la dipendenza.

 

In conclusione

Il cammino che conduce alla soluzione del problema è spesso difficile. L’impressione di passare da un estremo all’altro fa in modo che ci si possa sentire male nei propri panni.

Di più, il passaggio tra la dipendenza e l’indipendenza crea talvolta molta insicurezza.

Bisogna tuttavia mantenere la fiducia sul fatto che questo disturbo è transitorio e che, in fin dei conti, se ne può uscire.

Magari, con il supporto di un professionista esperto che vi aiuti a porre in una prospettiva migliore il senso della vostra esistenza.

Le polizie europee valutate dai loro cittadini

Che cosa pensano i cittadini europei dei loro servizi di polizia?

La loro percezione varia se i essi vivono ad Oslo, Lisbona o Bruxelles?

 

L’EUPCN (European Crime Prevention Network) ha pubblicato recentemente “Public opinion and policy on crime prevention in Europe”, un rapporto che raccoglie l’opinione dei cittadini di 21 paesi europei e che si basa su uno studio condotto dall’ESS (European Social Survey) tra il 2010 e il 2011. Purtroppo mancano i dati relativi alla Romania, Lettonia, Lussemburgo, Malta e Italia; tuttavia la ricerca mantiene inalterato il suo importante valore documentale.

L’obiettivo principale di questo studio è stato quello di valutare il livello di fiducia degli Europei per la loro polizia e la legittimità che essi le riconoscono.

Tre sono state le domande poste ai cittadini europei per rilevare la percezione globale che essi hanno dell’attività di polizia:

– I servizi di polizia lavorano bene o male?

– Entrano spesso o raramente in contatto con la popolazione di loro iniziativa?

– I cittadini sono soddisfatti della loro azione?

E’ stato posto in evidenza in primo luogo che gli europei sono piuttosto positivi, il 65% si è espresso a favore della qualità dell’attività di polizia. Tuttavia le risposte date alle domande mettono anche in risalto che non esiste per forza una correlazione diretta tra questi tre item.

In concreto, la frequenza dei contatti tra la popolazione e servizi di polizia non sembra influenzare sistematicamente il livello di soddisfazione dei cittadini e nemmeno il loro apprezzamento qualitativo del lavoro di polizia.

Tra i Paesi nei quali i contatti tra polizia e popolazione sono frequenti, alcuni evidenziano buoni risultati in termini di soddisfazione della popolazione mentre per altri, questo livello di soddisfazione è nettamente inferiore. Allo stesso tempo, un paese come la Finlandia registra un consenso comune sulle frequenze di contatti tra la polizia e la popolazione, con soddisfazione dei cittadini rispetto all’attività della polizia e la valutazione positiva della qualità di tale attività. Vi sono però altre realtà di paese che mostrano dati molto diversi.

Per valutare la fiducia che gli Europei hanno nei confronti della loro polizia, lo studio si è concentrato sulla capacità di prevenzione delle forze di polizia e anche sulla loro imparzialità.

La polizia è in grado di prevenire la criminalità? 

Solo la metà degli Europei ne è convinta. Un dato interessante: nelle persone che sono state vittime recenti di un fatto di criminalità, l’apprezzamento dell’efficacia della polizia in termini di prevenzione è minore. E’ stato anche anche messo in luce che l’opinione della popolazione varia poco tra i diversi paesi che hanno partecipato allo studio. Alla domanda sull’imparzialità dei servizi di polizia, i risultati sono più contrastati secondo i paesi.

Un esempio? Mentre il 91% dei Finlandesi sono convinti di tale imparzialità, all’incirca il 50% degli abitanti della Lituania condividono la stessa opinione. E quando si tratta di una eventuale differenza di trattamento in funzione dello stato di ricchezza o di povertà delle persone oggetto di un intervento di polizia, le differenze tra i paesi sono ugualmente importanti: il 76% di opinioni positive nei Paesi Bassi, rispetto al 22% in Grecia, con tuttavia una costanza tra tutti i paesi: più la persona coinvolta sarà povera, meno essa sarà convinta di questa imparzialità.

I cittadini europei come valutano la legittimità della loro polizia? Nei confronti del quesito, lo studio ha avuto la possibilità di stabilire una correlazione tra due percezioni, cioè che:

  • le forze di polizia e il cittadino hanno lo stesso apprezzamento di ciò che è bene e male;
  • il cittadino ritiene che obbedire agli ordini della polizia è un obbligo.

Chiaramente, più il cittadino sente di condividere gli stessi valori morali della polizia, e più sarà incline a rispettare le sue direttive … anche se questo sentimento di valori condivisi può fortemente variare secondo i paesi.

In generale, i 2/3 degli Europei apprezzano positivamente il modo in cui la loro polizia agisce, anche se i risultati rimangono contrastanti in funzione dei Paesi.

 

 

Fonte: EUCPN (2012). European Crime Prevention Monitor 2012/2: Public opinion and policy on crime prevention in Europe. Brussels: European Crime Prevention Network.

Amicizia e salute

Le persone che hanno buoni rapporti sociali subiscono meno l’incidenza di malattie gravi come i tumori o i disturbi cardio circolatori, perché l’amicizia non si limita solo a dare sostegno agli individui, essa partecipa anche alla cura e alla salutogenesi delle persone.

Ciò accade in quanto le relazioni, quando sono serene e positive, apportano benessere innescando processi psico-neuro-endocrini che migliorano le nostre risorse immunitarie.

Dalle prime ricerche sui “legami sociali” risalenti al 1929, sino ad oggi, la letteratura scientifica ha continuamente fornito riscontri qualificati e documentati che mettono in luce le potenzialità dell’amicizia. Essa amplia il senso d’appartenenza e aumenta la voglia di vivere. Incoraggia la nostra tendenza a stare bene e previene/elimina lo stress. Amplia il sentimento d’autostima. Riduce il rischio di problemi gravi per la salute psichica. Aiuta a superare i momenti critici della nostra vita, ad esempio i lutti e le malattie. Gli amici più intimi possono aiutarci a cambiare le cattive abitudini, come la dipendenza da sostanze. Con un amico sincero possiamo lasciarci andare ed essere completamente “trasparenti” nei momenti felici e in quelli più difficili e dolorosi.

L’amicizia è una qualità del legame sociale che aggiunge valore alla relazione interpersonale (in famiglia, al lavoro, ecc.) e non è solo prerogativa infantile o adolescenziale.

Se penso ad essa come a un ambito spazio-temporale al cui interno si sviluppano interazioni aventi un alto grado di similarità (culturale, di interessi, valori, stili di condotta, ecc.) posso immaginare una relazione più appagante anche nelle interazioni sociali al lavoro. Tuttavia, oggi mi chiedo se l’amicizia esiste ancora in una società dove il successo a scapito degli altri sembra la via maestra. Alludo, ad esempio, a quelle organizzazioni del lavoro basate sul benchmarking, in cui i dipendenti si trovano continuamente in competizione tra loro, condizione che compromette gravemente la salute; evento testimoniato anche da una recentissima sentenza di un tribunale francese che impone alla Caisse d’Epargne Rhône Alpes Sud di fermare la loro modalità gestionale, proprio ispirata al benchmarking.

Credo che occorra impegnarsi molto responsabilmente affinché questo patrimonio immateriale della nostra umanità (l’amicizia) ritorni ad essere la fonte benefica alla quale attingere le risorse per stare in salute: il piacere di stare insieme, l’accettazione e il rispetto dell’altro, la fiducia, la comprensione, la spontaneità e l’ascolto attento dell’altro.

I rapporti amichevoli al lavoro riguardano direttamente le persone, il loro stato di salute e gli interessi delle imprese e societari, cioè la “salute” delle aziende. Pure in questo campo, ricerche ormai numerose lo confermano postulando la necessità di prestare particolare attenzione ai rischi psico-sociali e valutare attentamente l’incidenza dello stress lavoro-correlato che ha un forte impatto sull’ambiente di lavoro e sulle relazioni umane; di conseguenza, direttamente sulla salute delle persone e delle aziende. E’ proprio per questo che oggi si usa parlare di “benessere organizzativo”, facendo riferimento al fatto che un’azienda “amichevole” o friendly è capace di realizzare un clima relazionale sano e, di conseguenza, prevenire manifestazioni di malessere a livello organizzativo e individuale.

Una azienda poco amichevole è caratterizzata da fattori organizzativi come ad esempio la mancanza di relazioni di supporto sul luogo di lavoro, l’insicurezza del lavoro e la cultura organizzativa. Tali fattori costituiscono la matrice dei rischi psico-sociali e dello stress lavoro-correlato che possono causare degli effetti negativi sulla salute, un aumento del rischio di incidenti ed una diminuzione della performance capaci di portare in un secondo tempo all’abbandono del posto di lavoro. queste conseguenze hanno un impatto sia a livello individuale che a livello organizzativo, ma possono anche avere un impatto a livello di settore e nazionale.