Archivio dei tag qualità della vita al lavoro

6 – Tener conto dei rischi psico-sociali

I rischi per la salute mentale dei lavoratori in rapporto, diretto con situazioni esposte a tensioni psico-sociali estreme e costanti, sono stati più volte evidenziati da C. Dejours sin dal 1990.

Tuttavia, molte delle persone toccate dal problema spesso trascurano il fatto che lo stress professionale non comprende solo una reazione del singolo a determinate situazioni aziendali; ma è anche il risultato di una prassi aziendale generalizzata. Spesso si sottovaluta l’evidenza che, oltre ai fattori individuali, anche alcuni fattori aziendali come le attività di management, le condizioni di lavoro e la cultura aziendale possono giocare un ruolo decisivo nell’insorgenza dello stress e dei rischi psico sociali sul posto di lavoro.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, 1986) ha per la prima volta definito i rischi psico-sociali in termini di interazioni tra contenuto del lavoro, gestione ed organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative da un lato, e le competenze e le esigenze dei lavoratori dipendenti dall’altro. Tali interazioni possono essere pericolose perché influiscono sulla salute dei lavoratori dipendenti attraverso le loro percezioni e la loro esperienza (in questo caso si accenna al vissuto soggettivo delle persone).

Nella “ricerca sullo stress correlato al lavoro”, pubblicazione ufficiale della European Agency for Safety and Healt at Work (2000), era già ben evidente che i rischi psico-sociali, possono esercitare anche effetti diretti sulla persona, effetti che non sono mediati dall’esperienza di stress. Ma, probabilmente, la definizione più soddisfacente è quella proposta da Cox e Griffihs nel 1995; i quali affermano che i rischi psico-sociali sono correlati con “quegli aspetti di progettazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, e i loro contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono dar luogo a danni di natura psicologica, sociale o fisica”.

Ecco i punti di riferimento in materia di stress che ispirano le attuali politiche di promozione della salute nei luoghi di lavoro. Quello dello stress associato alla esposizione ai rischi fisici (in sostanza, la  tensione e la paura da parte dei lavoratori di essere esposti a situazioni di pericolo derivanti dall’ambiente fisico e/o dall’uso di sostanze e prodotti pericolosi) e quello dello stress associato alla esposizione verso rischi psico-sociali (relativi al contesto del lavoro e al contenuto del lavoro)

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

 

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni dell’economia e delle imprese.

I primissimi dati forniti dalla Commissione delle Comunità eurpopee (2000), hanno messo in luce che la “non qualità” del lavoro si traduce in una perdita di capacità produttiva per l’economia (500 milioni di giornate di lavoro perse nel 1999 a causa di infortuni o di problemi di salute) e in spese per indennizzi e prestazioni il cui finanziamento pesa, in larga misura sulle imprese. Quasi 350.000 persone sono state costrette a cambiare occupazione o luogo di lavoro o a diminuire la durata del lavoro e quasi 300.000 presentano diversi gradi di invalidità

A livello dell’impresa stessa, la non qualità si traduce in un degrado della sua immagine nei confronti del mondo esterno: dei dipendenti, dei clienti, dei consumatori e, più in generale, del pubblico, che è sempre più sensibile ai temi legati alla sicurezza. Un ambiente di lavoro sano consente inoltre di affermare l’immagine di prodotti o di servizi di qualità e il suo miglioramento dipende da una strategia globale di “gestione della qualità” e di responsabilità sociale, che apporta benefici alle prestazioni e alla competitività

La promozione di “un vero benessere sul luogo di lavoro” che sia tanto fisico quanto psicologico e sociale, e che non si misuri semplicemente con l’assenza di infortuni o di malattie professionali. (Comunicazione della Commissione, 2002) diventa così una importante leva di sviluppo organizzativo per le aziende.

Spesso si incontrano persone che criticano le misure preventive contro lo stress e i rischi psico sociali sul posto di lavoro, affermando che comportano costi elevati. Però, se consideriamo il personale unicamente come fattore di spesa, quando sarà necessario prendere una decisione, queste misure possono apparire onerose. “Ma se si persegue l’idea di investire in risorse umane o capitale umano, i vantaggi a lungo termine sono maggiori dei costi immediati” (Udris, 2003). Considerare il personale come un costo oppure come un investimento comporta strategie e modi di pensare diversi. Tra un’analisi del problema a breve o lungo termine, occorre distinguere la “differenza”; infatti, se si investe nel lungo periodo si avranno meno assenze, meno fluttuazioni del personale, maggiore motivazione e una migliore salute.

Di solito, quando si parla di miglioramento delle condizioni di lavoro si pensa spesso a grossi cambiamenti, che investono vari ambiti quali l’ergonomia, la gestione aziendale, lo sviluppo organizzativo, ecc. Tali fattori sono certamente importanti, ma non dobbiamo dimenticare che anche piccoli passi possono produrre risultati e molti di questi non comportano alcuna spesa. Si pensi ad esempio che con la riorganizzazione dei compiti e delle funzioni, attraverso discussioni e riunioni di gruppo, è possibile introdurre piccoli cambiamenti che possono contribuire a ridurre lo stress sul posto di lavoro e aumentare il grado di soddisfazione dei dipendenti.

La salute è un bene fondamentale e sappiamo che il concetto di salute si è evoluto nel tempo: da una rappresentazione basata sull’assenza di patologie, si è passati a una rappresentazione della salute come realizzazione intenzionale, di intervento dinamico dell’individuo nel suo ambiente. Essa va intesa come benessere fisico, psichico e sociale; vista anche come il risultato di fattori sociali ed economici che esulano dalla sfera esclusiva dell’attività sanitaria.

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

 

8 – La promozione della salute organizzativa

La promozione della salute all’interno delle aziende, come attività derivante da uno sforzo congiunto è stata sostenuta dalle politiche comunitarie a partire dalla Dichiarazione di Lussemburgo del 1997 e dal Memorandum di Cardiff del 1998. In queste due occasioni è stata postulata la importanza di una attività volta al raggiungimento dei seguenti obiettivi:

–     miglioramento dell’ambiente e dell’organizzazione del lavoro;

–     promozione della partecipazione attiva dei lavoratori e dei datori di lavoro;

–     incoraggiamento dello sviluppo delle competenze individuali;

–     consapevolezza che qualsiasi normativa in materia di salute e sicurezza al lavoro, può essere inefficace se viene a mancare la contemporanea diffusione della cultura della prevenzione che necessariamente deve andare oltre i confini dell’ambiente di lavoro.

La prevenzione dovrà essere attivata a partire dal lavoro e insieme ai lavoratori, ponendo in essere dei comportamenti in grado di agire sulle scelte organizzative, per generare interventi che si pongano sempre più a monte delle situazioni che influiscono negativamente sulla qualità del lavoro.

Gli interventi sull’organizzazione del lavoro sono quindi di fondamentale importanza per la prevenzione. La prevenzione non si basa solo sul rispetto di norme ma anche sulla capacità di tutti i diretti interessati ad attivarsi nella elaborazione di misure efficaci per la prevenzione dei rischi che minacciano la salute fisica e la salute psicologica e sociale.

In futuro, la salute dell’individuo avrà certamente una importanza sempre più preponderante. La salute fisica, la salute mentale e la socializzazione continueranno ad essere asset fondamentali.  Senza essi, chi lavora non può raggiungere i criteri di performance richiesti né assumere il proprio ruolo nel mondo del lavoro.

Occorre farsi carico di una vera “cultura” del rischio, con lo scopo di analizzare le forme più sottili, più sfuggevoli della presa in carico e della gestione dei rischi psico-sociali al lavoro. Perché, dopo i rischi naturali e i rischi tecnologici, occorre renderci conto che esistono i rischi psicologici. Tenendo in considerazione non soltanto la resistenza ai rischi, ma l’assunzione del rischio (il farsene carico) per studiarne allo stesso tempo i fattori soggettivi delle condotte “a rischio” e “nel rischio” e l’incidenza dell’orientamento organizzativo sull’attivazione delle determinanti che innescano disfunzioni sul piano individuale e organizzativo. Smarcandoci da un approccio solamente obiettivante e negativo, del rischio equiparato al pericolo e/o alla malattia, sostituendo ad esso un intervento di tipo partecipativo, a partire da una considerazione integrativa e proiettiva. Perché, oltre ai meccanismi di difesa (nel senso psicodinamico) e di adattamento (coping) il rischio sollecita meccanismi di disimpegno e di decisioni adeguate che portino all’uscita dalla situazione critica, che dipendono in larga misura dalla organizzazione del lavoro.

La psicologia del lavoro e delle organizzazioni permette di avere una visione globale delle condizioni di lavoro e del loro effetto sulla salute, mettendo in evidenza i rischi legati alla organizzazione del lavoro, ai tempi di lavoro, alla intensificazione del lavoro, ecc.; che pur rimanendo celati allo sguardo dei molti, sono attualmente quelli che costituiscono la principale causa di danno per la salute e la sicurezza di chi lavora.

Il lavoro è diventato per consistenti quote di lavoratori una faccenda molto complessa, che presuppone sempre maggiori conoscenze e capacità di risolvere i problemi, ed è fortemente caratterizzato da cambiamenti di ordine tecnico ed organizzativo. Ne consegue che non solo le competenze professionali, ma anche quelle sociali e personali rivestono un ruolo decisivo nella vita lavorativa. L’effettiva possibilità di acquisire e di consolidare tali competenze, esercita un’influenza decisiva e sempre più forte sulla posizione occupata dai lavoratori sul mercato del lavoro.

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

La strenna più bella: sentirsi riconosciuti al lavoro!


Le attuali modalità organizzative e di management in diverse occasioni moltiplicano le fratture all’interno delle comunità e dei percorsi di carriera, rendono fragili i contesti di appartenenza e di riconoscimento del lavoro, aumentando le criticità nei processi di socializzazione organizzativa e di costruzione delle identità professionali.

Occorre avere chiari questi nodi critici, se vogliamo comprendere gli atteggiamenti e i comportamenti di chi lavora insieme a noi, per realizzare una gestione consapevole e ponderata delle persone che vi lavorano.
Chi dirige un’azienda o è responsabile di un suo settore, deve tenere ben presente che l’incremento della produttività e la qualità dei servizi, si trova sempre più in relazione con il morale dei collaboratori e il benessere (nei termini di “qualità delle relazioni collaborative”) nei luoghi di lavoro.
Impegnarsi nella qualificazione complessiva della vita al lavoro, migliorare il clima organizzativo, significa in sostanza contribuire ad agevolare le transazioni relazionali di chi vi lavora, mettere a punto i relativi meccanismi di regolazione per garantire il successo dell’azienda e dei suoi prodotti/servizi. Non dimenticando che il benessere delle persone influisce sulle performance aziendali.

Ci rendiamo conto che il ruolo centrale della soggettività e dell’intersoggettività nelle relazioni di lavoro, dentro e fuori il perimetro aziendale, diventa sempre più evidente e importante.
È necessario affrontare con molto realismo il problema del riconoscimento al/del lavoro; al di là del semplice iter giuridico ed economico, senza temere etichette di idealismo o ingenuità.
Oltretutto il riconoscimento al lavoro sta richiamando sempre più l’attenzione, in quanto comporta un elemento di criticità che è legato anche ai problemi di salute mentale al lavoro. Abbiamo bene in mente che i vari fattori di rischio non positivi per la salute dei lavoratori e, di conseguenza, per quella delle aziende, comprendono tra gli altri anche il sovraccarico di lavoro, il deterioramento delle relazioni tra colleghi, la scarsità delle relazioni con i superiori diretti, la inadeguata circolazione delle informazioni relative alla governance e l’eccessiva limitatezza di comportamenti o pratiche di riconoscimento verso il lavoro svolto dai dipendenti.

Chi lavora spera in qualcosa di più di un salario, si aspetta che il suo lavoro sia riconosciuto; ad esempio, vedendo mettere in risalto i buoni risultati, sentendosi offrire incoraggiamento o segni d’apprezzamento. Una riconoscenza che può manifestarsi anche attraverso la creazione di uno spazio di discussione, che permette alle persone di esprimere il loro punto di vista sul lavoro e rinsalda i legami.
È possibile mettere in evidenza almeno due elementi di base del riconoscimento. Uno è il giudizio d’utilità del lavoro realizzato (riconoscere il rispetto delle gerarchie, il raggiungimento degli obiettivi, gli ostacoli superati, ecc.); l’altro è il giudizio estetico del lavoro (riconoscere la qualità delle azioni, la pertinenza delle decisioni, l’ingegnosità delle soluzioni, ecc.). Cercando di comprendere anche quali rischi incontra colui o colei che non si stente stimato/a e riconosciuto/a nel suo lavoro, tanto dai suoi superiori che dai suoi colleghi; ma anche quali inciampi possano emergere per le organizzazioni. Parecchi studi dimostrano che la mancanza di riconoscimento al lavoro è strettamente connessa con lo scarso coinvolgimento professionale, la demotivazione e l’assenteismo

Il lavoro rimane il luogo fondamentale della nostra vita e della ricerca d’identità e realizzazione personale; la qualità della nostra vita è direttamente proporzionale alla qualità del nostro lavoro. Un adeguato investimento di risorse morali e materiali per migliorare la qualità della nostra vita al lavoro è necessario.
Sfortunatamente, molto spesso, il lavoro è in genere percepito nella sua dimensione utilitaristica; ciò facendo non si rende giustizia agli sforzi di chi lavora e al contributo che egli offre. Trascurando che il riconoscimento al lavoro permette di realizzare le proprie attese, la immagine identitaria; che costituisce un elemento fondamentale di salute mentale.

L’assenza di riconoscimento genera spesso la perdita di riferimenti professionali e personali importanti. Con conseguenti aspri sentimenti quali l’amarezza, la frustrazione, l’inutilità e l’indegnità, che contribuiscono a mortificare la qualità dei rapporti tra il dipendente e l’azienda. Innesca anche una serie di comportamenti, costanti e tenaci, che invischiano a loro volta i dipendenti in un subdolo processo di vittimizzazione. È proprio l’importanza dello sguardo che l’azienda rivolge al proprio dipendente che da un senso a questo fenomeno; non importa tanto la natura dello sguardo, quanto lo sguardo stesso. Molto spesso chi si sente vittima, ad esempio di mobbing, o molestie morali, sente drammaticamente la mancanza di uno sguardo rassicurante. Che lo/la rassicuri soprattutto dell’importanza che l’altra parte gli riconosce in seno all’azienda.

Il riconoscimento e la riconoscenza al lavoro rappresentano la dimostrazione chiara che quanto noi realizziamo, gli sforzi investiti nel nostro lavoro e la stessa persona, sono apprezzati nel loro giusto valore. Il salario non è tutto. Occorre ugualmente sentirsi apprezzati per rinfrescare la nostra motivazione, sviluppare il proprio sentimento d’appartenenza e la voglia di sentirsi coinvolti nell’impresa.