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Vulnerabilità e umanità degli operatori della polizia locale: emergenza del fenomeno e ipotesi di intervento

Nell’ultimo decennio, sono notevolmente aumentate le evidenze empiriche relative ai rischi per la salute nei luoghi di lavoro, che segnalano tra l’altro come in numerosi ambienti lavorativi le persone possano addirittura morirne. L’attenzione dei ricercatori e dei professionisti della salute al lavoro, in questo momento è rivolta soprattutto ai rischi  psico-sociali che risultano essere direttamente correlati al modo in cui ciascun lavoro è organizzato e gestito; oltre, naturalmente, alle caratteristiche sociali e ambientali nelle quali si svolge l’attività. Questi rischi hanno assunto una rilevanza crescente perché hanno un forte impatto  sulla  salute  e  il  benessere  dei  lavoratori  e si trovano direttamente in relazione con il fenomeno dello stress lavoro-correlato. Ciò è stato messo in risalto anche dall’ultima indagine Europea sulle condizioni di lavoro, facendo notare che il  35% dei lavoratori dell’Unione Europea è convinto che la qualità del lavoro influisca sulla loro salute. Nell’indagine è emerso anche che tra i sintomi  di  maggiore  rilievo primeggia lo  stress correlato al lavoro, insieme al mal di schiena, ai dolori muscolari e alla fatica, i quali – si noti bene – possono trovarsi direttamente o indirettamente in rapporto con lo stress da lavoro.

E’ ormai noto che la crescente importanza  dei  rischi  psicosociali  sia  determinata  dai  rapidi  cambiamenti e dalle profonde modifiche che il mondo del lavoro ha subito negli ultimi decenni  e ciò è convinzione ormai condivisa in tutti gli ambienti scientifici internazionali.

Il mondo del lavoro è cambiato profondamente ed è cambiato per tutti, anche per gli operatori della polizia locale. In questo scenario, il loro lavoro è diventato una minaccia per la salute. L’affermazione, che a tutta prima sembra eccessiva, è supportata dagli studi e dalle ricerche empiriche su scala mondiale.

La fatica professionale degli operatori della polizia locale, è connotata in particolar modo dallo stress connesso all’esercizio della professione e dalla sindrome di “esaurimento professionale” o burn out che ne può derivare. Si tratta di un evento multidimensionale, la cui eziopatogenesi è da attribuire all’articolazione di fattori individuali, relazionali, lavorativi, organizzativi e persino storico culturali, i quali contribuiscono a determinare uno stato di malessere che può sfociare in una patologia conclamata. Nessuno di questi fattori autonomamente può condurre al burn out, ma la loro contemporanea presenza sembra determinarlo.

Tale fenomeno, pur non essendo specifico dell’attività professionale in argomento, assume una rilevanza in quanto un numero considerevole degli interessati soffrono della sindrome di esaurimento professionale o dichiarano avere problemi di salute di natura psichica. Trova una sua contestualizzazione all’interno dei complessi equilibri tra le molteplici sollecitazioni specifiche dell’attività di polizia, in cui la combinazione e l’articolazione di esse e la natura degli equilibri o compromessi che ne derivano, comporta diversi aspetti di sofferenza, che vanno dal semplice stress al burn out, sino a forme di comportamento estremo come l’autosoppressione. A fronte di questa drammatica situazione, spesso ci si trova in assenza sia di piani di sostegno degli operatori in difficoltà e sia di programmi di prevenzione.

Il fenomeno dell’esaurimento professionale degli operatori della polizia locale, più noto come burn out, ha conseguenze sulla qualità del servizio e sull’accessibilità al servizio da parte della cittadinanza. Non si tratta di un problema individuale a carico del singolo lavoratore bensì una questione di pubblico interesse, in quanto migliorare la qualità di vita degli agenti aumenta l’efficienza degli stessi, l’efficacia del servizio offerto e si ripercuote favorevolmente sulla fiducia e la sicurezza della comunità.  Ed esiste ormai – a livello internazionale – un accordo generale sulla necessità di far fronte al problema con scelte opportune ed iniziative qualificate scientificamente.

Le famiglie hanno bisogno di riconquistare le loro funzioni di cura

Nelle attuali condizioni di vita, le persone sono continuamente costrette a superare molteplici e complesse crisi di adeguamento e/o di cambiamento che si presentano in forme diverse durante il loro sviluppo.

Anche in tali condizioni è possibile e sostenibile favorire la crescita delle persone, soprattutto promuovendo concretamente le funzioni sociali che competono loro, piuttosto che intervenire con investimenti rivolti unicamente agli stati “patologici” delle persone e delle famiglie.

Le famiglie hanno bisogno di riconquistare le loro funzioni di cura, di solidarietà e di educazione; è indispensabile perciò che le persone siano riportate al centro della vita quotidiana ribadendo la centralità e la insostituibilità delle loro capacità e potenzialità pro-positive.

Riconciliare il lavoro e la famiglia

Ci sono domande http://webpages.ca/ ineludibili alle quali occorre rispondere per dare senso ai nostri progetti di sviluppo. Alcune, apparentemente le meno pressanti, riguardano i temi relativi la conciliazione …

Quanto è importante, per il successo delle nostre aziende, la consapevolezza della differenza di genere? Come inserire, nella prospettiva dell’organizzazione e del funzionamento quotidiano dell’impresa, tale argomento. Che tipo di cambiamenti saranno necessari nella politica aziendale. Come trarne un vantaggio competitivo. Quanto, influirà sulle modalità di gestione delle risorse umane e come saranno attivate in questa diversa prospettiva. In che modo aiutare gli imprenditori e i dirigenti d’azienda a rendersi conto di queste nuove realtà? Questi sono alcuni dei temi che attualmente vengono affrontati in ogni parte del mondo produttivo.

 

 

 

I molti cambiamenti, avvenuti nelle società avanzate, hanno comportato un mutamento anche nell’esistenza delle persone, caratterizzando la loro vita e circoscrivendola a due sfere essenziali: quella del lavoro e quella della famiglia (e, più in generale, della vita privata). In questo modo, le donne e gli uomini che lavorano, si trovano sempre più costretti a moltiplicare gli sforzi per far fronte alle difficoltà che quotidianamente emergono dal conflitto lavoro-famiglia. Conflitto che molto spesso, si traduce nei termini di un’incompatibilità tra le esigenze del lavoro e le esigenze della vita personale, in particolar modo quelle che riguardano la gestione della famiglia.

Pur riconoscendo che la pressione del lavoro è alta, le aziende non si sono ancora rese conto dell’ampiezza del problema.  Ignorano generalmente che la seconda causa di sofferenza al lavoro, dopo quella dovuta al sovraccarico di lavoro, riguarda proprio la difficoltà a conciliare lavoro e famiglia. Esse dovranno prestare maggiore attenzione verso il problema, affinché possano realizzare adeguate forme di gestione delle risorse.

Conciliare l’efficienza al lavoro con la necessità di prestare le necessarie cure alla salute del figlio/a, che in quel momento ne ha bisogno, è problema di tipo personale e professionale. L’ansia del personale si ripercuote sull’azienda e sulla qualità del lavoro.

C’è un reciproco influenzamento tra vita professionale e vita familiare. L’azienda dovrà essere capace di realizzare adeguate misure di conciliazione, per agevolare la vita privata dei suoi dipendenti. Allo stesso tempo, avrà modo di influire direttamente e positivamente sulla stessa organizzazione aziendale e sui risultati della propria attività.

I dipendenti hanno ancora timore e vergogna di parlare dei loro problemi familiari al lavoro. Ma quando l’argomento non sarà più tabù, le aziende riusciranno ad avere più consapevolezza del problema e i dipendenti non saranno molto più soddisfatti del loro lavoro e della loro azienda.

In questa occasione vogliamo portare l’attenzione sull’argomento a partire da una serie di considerazioni.

Seguendo nel corso degli ultimi trenta anni l’evolversi dell’organizzazione del lavoro, non possiamo trascurare due elementi che attualmente evidenziano la centralità degli aspetti psico-sociali come fattore di stimolo e miglioramento della resa organizzativa e delle produttività dei lavoratori.

Tali elementi interagiscono non solo con la cultura e i climi organizzativi aziendali ma anche con gli interessi e le necessità individuali fuori dal lavoro, a cominciare dalle responsabilità familiari e genitoriali.

Il lavoro è cambiato in termini di “contenuti”, di “condizioni” e di organizzazione. Un ampio processo di trasformazioni, relative non solo al mercato del lavoro, ma anche ai modelli produttivi e regolativi, tutte all’insegna della “flessibilità”, ha improntato la stessa vita privata dei lavoratori.

Se il lavoro conserva un ruolo centrale nella società, può in certi casi entrare in conflitto con le ragioni della società stessa, soprattutto in quei casi in cui la responsabilità insita nell’attività professionale entra in conflitto con la responsabilità della famiglia. In questo caso vi è conflitto tra i due fondamentali modelli organizzativi della società: quello del lavoro e quello della famiglia L’azienda e la famiglia, la responsabilità di “produzione” e quello della “riproduzione” e cura, entrano in collisione; producendo costi aggiuntivi.

Emerge nei contesti di lavoro la necessità di un nuovo contratto psicologico che incontri l’aspettativa di flessibilità oraria lavorativa e allo stesso tempo conduca a ricercare soluzioni adeguate per aiutare donne e uomini a perseguire efficaci strategie di conciliazione vita-lavoro.

In effetti, se la dimensione strutturante del lavoro per le persone e la collettività è reale, il lavoro può tuttavia mutarsi in circostanze organizzative o situazioni individuali mal vissute che influenzano non positivamente la vita delle persone e delle organizzazioni, comportando costi psicologici elevati che si assommano a quelli di natura puramente patrimoniale.

La evoluzione tecnologica e la necessità di essere sempre più competitivi, hanno accresciuto la pressione sulla organizzazione aziendale e le persone che vi lavorano. Per molte di esse il tempo dedicato al lavoro è aumentato e allo stesso tempo si sono moltiplicati i tipi di impiego cosiddetti atipici. Le esigenze della vita oltre il lavoro sono diventate sempre più numerose nel corso degli anni, anche perché le strutture familiari sono cambiate e la percentuale delle persone occupate che hanno minori o anziani a carico è nel tempo aumentata. Ci troviamo di fronte nuove problematicità e nuove opportunità.

Diventa più difficile attualmente conciliare le esigenze del lavoro con gli impegni genitorialii e familiari. Tale difficoltà crescente comporta conseguenze che hanno un costo, sia per le imprese che per le persone in esse occupate e le loro famiglie. Le organizzazioni di lavoro hanno una responsabilità e un ruolo da esercitare in materia di conciliazione lavoro-famiglia. Le pratiche, che favoriscono la conciliazione delle responsabilità familiari e del lavoro, sono vantaggiose sia per le aziende che per le donne e gli uomini che vi lavorano. Tenendo conto dei vantaggi che ne derivano, queste pratiche dovrebbero essere più estese di quanto non lo sono attualmente.

 

Conciliare le responsabilità familiari e professionali ha sempre comportato una certa difficoltà, ma sembra che la difficoltà di riuscirci sia aumentata considerevolmente nel corso degli ultimi anni, in particolare per il fatto che la maggioranza dei genitori, uomini e donne, sono attualmente attivi nel mercato del lavoro.

Tutto questo deriva dal fatto che si sono verificati cambiamenti profondi e durevoli che, in modo accelerato, nel corso di circa trenta anni, si sono verificati all’interno della famiglia, del lavoro e della società in generale.

 

Attraverso i profondi cambiamenti che, a partire dagli anni Settanta, il nuovo diritto di famiglia ha innescato, si sono prodotte notevoli trasformazioni sociali che hanno delineato modelli di famiglia più centrati sull’individuo e, allo stesso tempo, caratterizzati da una relazione familiare elettiva connotata dall’autonomia, dall’autoregolazione normativa e dalla negoziazione, ma anche dall’instabilità.

Dal punto di vista strutturale, i fenomeni che hanno contribuito maggiormente a determinare le trasformazioni sono di tipo socio-demografico: aumento delle separazioni e dei divorzi, delle convivenze, delle famiglie dette unipersonali e monogenitoriali, delle famiglie ricostituite dopo il divorzio, delle nascite fuori dal matrimonio.

Sono trasformazioni che evidenziano la diffusione di una pluralità di modelli familiari, palese anche sul piano relazionale, perché la vita delle famiglie oggi è sempre più caratterizzata da scelte e strategie di coppia o individuali che hanno come presupposto l’autonomia e l’autoaffermazione dei singoli membri.

Nel quadro delle profonde trasformazioni che in questi anni hanno investito i rapporti tra generazioni e quelli tra generi, la famiglia mononucleare, caratterizzata dalla coppia uomo/donna con figli, non rappresenta più la “normale” struttura entro la quale prendono corpo i legami primari. Vi sono oggi nuove forme che la famiglia può assumere e che diventano occasione di trasformazione della comunità sociale.

Si è verificato un notevole cambiamento nel tessuto sociale, innescato da una “eclissi progressiva della figura paterna” che prima era centrale nella gestione del potere e nella trasmissione dei valori etici. A una struttura gerarchica, verticale, con a capo il padre, si sostituisce la coppia dei genitori: in sostanza assistiamo a una distribuzione del potere decisionale. Crescere i figli è diventato un progetto comune da portare avanti con una condivisione di responsabilità e di valori.

Al declino della “patria potestà” ha corrisposto una sempre maggiore rilevanza di valori materni.

Tra i molti e radicali i cambiamenti introdotti con il nuovo diritto di famiglia del 1975 possismo trarne utili riferimenti, quali ad esempio : l’attribuzione dell’esercizio della patria potestà sui figli ad ambedue i genitori, con una fortissima e significativa rivalutazione del ruolo della donna in quanto genitrice; il riconoscimento della centralità del lavoro casalingo ai fini del consolidamento e del potenziamento delle risorse del nucleo familiare; la rivalutazione sulla linea successoria, del coniuge, posto prima dei figli, a conferma di una concezione del matrimonio come impresa solidale alla cui realizzazione contribuiscono a pari titolo sia l’uomo che la donna; l’obbligo dei genitori di educare i figli nel rispetto delle loro inclinazioni e non più nel rispetto della morale corrente.

L’insieme di mutamenti legislativi ha determinato profonde trasformazioni nell’immagine complessiva del matrimonio, della famiglia, dell’apertura alla vita,  imboccando la strada della “nuova famiglia” che si è delineata sul finire del Novecento e che occupa gli scenari italiani, sostanzialmente anche europei, dei primi anni Duemila.

Per quanto riguarda il lavoro, vi sono stati cambiamenti profondi che hanno avuto l’effetto di complicare maggiormente la assunzione delle responsabilità genitoriali e familiari. Si pensi in particolar modo alla estesa varietà degli orari di lavoro cosiddetti atipici (a tempo determinato, a tempo parziale, a turni, di sera, di notte, a chiamata, ecc.) e dei lavori atipici (temporaneo, a tempo determinato, a tempo parziale, flessibile, condiviso, ecc.). Molte persone scelgono volontariamente questo genere di impieghi, per molteplici ragioni, spesso familiari, e soprattutto donne; ma la parte del lavoro atipico involontario non smette di crescere. I giovani in età di fondare una famiglia o che hanno già dei bambini piccoli sono particolarmente coinvolti da questo fenomeno poiché sono soprattutto loro che occupano quei posti di lavoro. D’altra parte, le ristrutturazioni e le trasformazioni tecnologiche che sopraggiungono in un contesto di concorrenza accresciuta hanno l’effetto di generare un ritmo di lavoro più rapido che non ha in se nulla che possa ridurre la pressione sulla famiglia e l’impiego.

Alle trasformazioni che sono sopraggiunte in seno alla famiglia e nel mondo del lavoro si aggiungono altri fattori che contribuiscono anche a spiegare perché diventa più esigente ai nostri giorni conciliare lavoro e famiglia. Pensiamo a un fenomeno come la estensione delle città che ha come effetto di allungare i tempi di percorrenza per recarsi al lavoro e per tornare a casa, riducendo di colpo il tempo dedicato alla famiglia e alla vita privata. Possiamo anche far cenno al prolungamento degli orari dei servizi e del commercio: se i consumatori ne possono approfittare, viceversa il personale che fornisce questi servizi si vede costretto a lavorare in orari non comuni; per coloro che lavorano in settori in espansione, il compito di conciliare lavoro e famiglia può complicarsi maggiormente soprattutto quando deve tener conto dell’orario inerente la custodia dei figli.

Occorre tener conto anche del fatto che il costante aumento delle donne che lavorano non è un fenomeno passeggero ma un fenomeno strutturale stabile che ha forti ripercussioni dentro e fuori l’azienda e che richiede all’azienda e ai suoi manager un vero e proprio cambio di paradigma.

Del resto la politica nazionale ha nel corso del tempo portato molta attenzione sul problema. Per avere un quadro di riferimento ancora più completo, occorre tener conto che in questi ultimi trenta anni sono avvenuti cambiamenti anche sul piano legislativo orientati a creare pari opportunità tra uomo e donna nel lavoro, avendo come obiettivo la parità sostanziale tra donne e uomini sul piano professionale.

Essi hanno un riferimento diretto con la evoluzione del concetto di conciliazione tra lavoro e famiglia. Chiedendo perdono per eventuali omissioni, possiamo ricordare la

Legge 1294/1971: Tutela delle lavoratrici madri; il DPR 1026/1976: Regolamento di esecuzione della legge 1204/1971; la Legge 903/1977: Parità di trattamenti tra uomini e donne in materia di lavoro; la Legge 194/1978: Norme per la tutela sociale della maternità e sull’interruzione volontaria della gravidanza; la Legge 125/1991: Azioni positive per la realizzazione della parità uomo-donna nel lavoro; la Legge 215/1992: Azioni positive per l’imprenditoria femminile; Legge 476/1998: Legge che modifica la 184/1983; la Legge 53/2000: Disposizioni per il sostegno della maternità, per il diritto alla cura e alla formazione e per il coordinamento dei tempi della città; il DL 151/2001: Testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità, e a norma dell’art. 15 della legge 53/2000; il DL 198/2006: Codice delle pari opportunità tra uomo e donna, a norma dell’art. 6 della legge 246/2005.

Una giurisprudenza abbastanza estesa. Si tratta ora di produrre il cambiamento culturale adeguato. Nella certezza che la flessibilità organizzativa originata e orientata alla conciliazione tra le responsabilità del lavoro e quelle della famiglia possa tradursi in una convenienza anche per le aziende.

La conflittualità tra il mondo del lavoro e quello della famiglia comporta delle conseguenze costose per le persone che lavorano e per le loro famiglie ma anche per le aziende.

Le ricerche scientifiche lo hanno dimostrato: un gran numero dei genitori impegnati, soprattutto le madri, vivono un livello di stress eccessivo in ragione della tensione crescente tra lavoro e famiglia. Per queste persone gli effetti si avvertono sul piano della salute fisica e mentale (fatica, stress, insonnia, burout, depressione, ecc.), sul piano economico e professionale ( si corre il rischio di verdersi ridurre il valore dell’impiegabilità e di conseguenza l’avanzamento di carriera, ma soprattutto si rischia di perdere denaro in relazione alla riduzione del tempo lavorato o alla richiesta di ferie non pagate per ragioni familiari, ecc.), così che sul piano relazionale e affettivo (deteriorizzazione delle relazioni genitori-figli, ridotta disponibilità verso il coniuge, verso la famiglia allargata, gli amici, ecc.). Fino a questo momento, sono soprattutto le donne che hanno assorbito i contraccolpi di questa realtà; anche perché esse sono attualmente più presenti sul mercato del lavoro e allo stesso tempo continuano ad assumersi il carico della maggior parte dei compiti domestici e familiari.

E’ provato che le aziende subiscono anch’esse dei contraccolpi derivanti dal conflitto lavoro-famiglia e che esse ne pagano il prezzo. I costi si traducono tra l’altro in termini di assenteismo e di ritardi, di diminuzione della motivazione al lavoro, dell’avvicendamento del personale, del rifiuto di nuove assegnazioni o promozioni, di difficoltà di reclutamento, di formazione insufficiente della mano d’opera in ragione della mancanza di tempo da dedicarvi (durante o fuori gli orari regolari di lavoro)

La interferenza dei ruoli tra quello di genitore/famigliare e quello di lavoratore diventa dunque sempre più grande e non può più essere ignorata.