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5 – Una caratteristica importante del lavoro di oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto.

Prima dell’avvento delle nuove tecnologie, la maggior parte del lavoro era routinaria e ciò dava una certa stabilità e una certa identità al posto di lavoro e a chi lo occupava. Attualmente la parte routinaria è stata automatizzata e ceduta alla macchina che è diventata, per forza di cose, la protesi cognitiva o il “palliativo tecnico” di molti lavoratori. Spesso a chi lavora resta oggi solo la gestione delle situazioni critiche, degli incidenti di cui le cui ragioni sono spesso molto complesse, tenendo conto della sofisticatezza attuale delle macchine. La variabilità delle soluzioni si è ugualmente accresciuta: là dove erano possibili due soluzioni, ora ve ne compaiono diverse.

L’attività della supervisione al lavoro arriva così a sancire l’emergenza di una realtà nuova, composta di eventi aleatori e non prevedibili, la cui regolazione costituisce il contenuto della gestione dei processi. Lo stress della diagnosi, dell’incidente da anticipare o la riparazione da fare in brevissimo tempo, è diventato un aspetto non trascurabile del lavoro moderno. Uno dei sintomi possibili di questo stato di cose è la “sindrome di sfinimento mentale” che Frese e Hesse (1995) hanno descritto come il fatto “che una persona si sente affaticata fisicamente, tanto da non essere più capace di identificarsi con il suo lavoro, avendo la sensazione che il suo ideale, le sue idee o il suo potenziale non possono più realizzarsi”. Ciò che di solito si manifesta attraverso una mancanza di motivazione e di produttività e attraverso l’aumento del tasso di assenteismo e dei disturbi a carico della salute fisica e mentale delle persone (abbassamento del livello di vigilanza, reattività, disturbi psicosomatici, sindromi depressive, ecc.).

L’aumento di condizioni “limite” come quelle appena accennate, è stato ormai da tempo messo in relazione con l’evoluzione generale dell’organizzazione del lavoro, spinta ad ottenere il massimo della produttività e della redditività in un contesto di concorrenza estrema (Levi, 1999; Cox T., Griffiths A., Rial-Gonzales E., 2000; Third European Survey on Working Conditions, 2000,Peter e Siegrist, 2000; Tennant, 2001; Kiecolt-Glaser et al., 2002)

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

6 – Tener conto dei rischi psico-sociali

I rischi per la salute mentale dei lavoratori in rapporto, diretto con situazioni esposte a tensioni psico-sociali estreme e costanti, sono stati più volte evidenziati da C. Dejours sin dal 1990.

Tuttavia, molte delle persone toccate dal problema spesso trascurano il fatto che lo stress professionale non comprende solo una reazione del singolo a determinate situazioni aziendali; ma è anche il risultato di una prassi aziendale generalizzata. Spesso si sottovaluta l’evidenza che, oltre ai fattori individuali, anche alcuni fattori aziendali come le attività di management, le condizioni di lavoro e la cultura aziendale possono giocare un ruolo decisivo nell’insorgenza dello stress e dei rischi psico sociali sul posto di lavoro.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO, 1986) ha per la prima volta definito i rischi psico-sociali in termini di interazioni tra contenuto del lavoro, gestione ed organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative da un lato, e le competenze e le esigenze dei lavoratori dipendenti dall’altro. Tali interazioni possono essere pericolose perché influiscono sulla salute dei lavoratori dipendenti attraverso le loro percezioni e la loro esperienza (in questo caso si accenna al vissuto soggettivo delle persone).

Nella “ricerca sullo stress correlato al lavoro”, pubblicazione ufficiale della European Agency for Safety and Healt at Work (2000), era già ben evidente che i rischi psico-sociali, possono esercitare anche effetti diretti sulla persona, effetti che non sono mediati dall’esperienza di stress. Ma, probabilmente, la definizione più soddisfacente è quella proposta da Cox e Griffihs nel 1995; i quali affermano che i rischi psico-sociali sono correlati con “quegli aspetti di progettazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro, e i loro contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono dar luogo a danni di natura psicologica, sociale o fisica”.

Ecco i punti di riferimento in materia di stress che ispirano le attuali politiche di promozione della salute nei luoghi di lavoro. Quello dello stress associato alla esposizione ai rischi fisici (in sostanza, la  tensione e la paura da parte dei lavoratori di essere esposti a situazioni di pericolo derivanti dall’ambiente fisico e/o dall’uso di sostanze e prodotti pericolosi) e quello dello stress associato alla esposizione verso rischi psico-sociali (relativi al contesto del lavoro e al contenuto del lavoro)

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

 

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni dell’economia e delle imprese.

I primissimi dati forniti dalla Commissione delle Comunità eurpopee (2000), hanno messo in luce che la “non qualità” del lavoro si traduce in una perdita di capacità produttiva per l’economia (500 milioni di giornate di lavoro perse nel 1999 a causa di infortuni o di problemi di salute) e in spese per indennizzi e prestazioni il cui finanziamento pesa, in larga misura sulle imprese. Quasi 350.000 persone sono state costrette a cambiare occupazione o luogo di lavoro o a diminuire la durata del lavoro e quasi 300.000 presentano diversi gradi di invalidità

A livello dell’impresa stessa, la non qualità si traduce in un degrado della sua immagine nei confronti del mondo esterno: dei dipendenti, dei clienti, dei consumatori e, più in generale, del pubblico, che è sempre più sensibile ai temi legati alla sicurezza. Un ambiente di lavoro sano consente inoltre di affermare l’immagine di prodotti o di servizi di qualità e il suo miglioramento dipende da una strategia globale di “gestione della qualità” e di responsabilità sociale, che apporta benefici alle prestazioni e alla competitività

La promozione di “un vero benessere sul luogo di lavoro” che sia tanto fisico quanto psicologico e sociale, e che non si misuri semplicemente con l’assenza di infortuni o di malattie professionali. (Comunicazione della Commissione, 2002) diventa così una importante leva di sviluppo organizzativo per le aziende.

Spesso si incontrano persone che criticano le misure preventive contro lo stress e i rischi psico sociali sul posto di lavoro, affermando che comportano costi elevati. Però, se consideriamo il personale unicamente come fattore di spesa, quando sarà necessario prendere una decisione, queste misure possono apparire onerose. “Ma se si persegue l’idea di investire in risorse umane o capitale umano, i vantaggi a lungo termine sono maggiori dei costi immediati” (Udris, 2003). Considerare il personale come un costo oppure come un investimento comporta strategie e modi di pensare diversi. Tra un’analisi del problema a breve o lungo termine, occorre distinguere la “differenza”; infatti, se si investe nel lungo periodo si avranno meno assenze, meno fluttuazioni del personale, maggiore motivazione e una migliore salute.

Di solito, quando si parla di miglioramento delle condizioni di lavoro si pensa spesso a grossi cambiamenti, che investono vari ambiti quali l’ergonomia, la gestione aziendale, lo sviluppo organizzativo, ecc. Tali fattori sono certamente importanti, ma non dobbiamo dimenticare che anche piccoli passi possono produrre risultati e molti di questi non comportano alcuna spesa. Si pensi ad esempio che con la riorganizzazione dei compiti e delle funzioni, attraverso discussioni e riunioni di gruppo, è possibile introdurre piccoli cambiamenti che possono contribuire a ridurre lo stress sul posto di lavoro e aumentare il grado di soddisfazione dei dipendenti.

La salute è un bene fondamentale e sappiamo che il concetto di salute si è evoluto nel tempo: da una rappresentazione basata sull’assenza di patologie, si è passati a una rappresentazione della salute come realizzazione intenzionale, di intervento dinamico dell’individuo nel suo ambiente. Essa va intesa come benessere fisico, psichico e sociale; vista anche come il risultato di fattori sociali ed economici che esulano dalla sfera esclusiva dell’attività sanitaria.

 

 

 

Quanto precede appartiene a una raccolta di appunti:

1 – un equilibrio costantemente instabile

2 – Stiamo vivendo una “mutazione genetica” delle nostre abitudini

3 – Comparse in una commedia di cui non siamo né registi né sceneggiatori

4 – Ritmo e intensità invece di fluidificare le attività di lavoro, le rendono spesso stressanti, pericolose e angosciose

5 – Una caratteristica importante del lavoro d’oggi è che l’equilibrio tra routine e problemi da risolvere è stato interrotto

6 – Tener conto dei rischi psicosociali

7 – Un’organizzazione e un ambiente di lavoro sani e sicuri sono fattori che migliorano le prestazioni

8 – la promozione della salute organizzativa

9 – Bibliografia di riferimento

Che costituiscono l’Introduzione alle lezioni del 31 marzo, 5 e 7 aprile 2014) del corso di Psicologia delle relazioni all’Università Cattolica di Milano (Facoltà di Economia)

Il front-line del benessere organizzativo – Attori, fattori strutturali e processi, nella gestione del rischio psico-sociale”.

 

La leadership che verrà

Attraverso la robotizzazione e la digitalizzazione il lavoro sta cambiando forma e, di conseguenza, subisce una trasformazione anche la “presenza” umana al lavoro. Alla luce delle sfide che le aziende stanno affrontando, quali saranno le competenze chiave per mobilitare i collaboratori e raggiungere il successo? Quale potrebbe essere un profilo tipico del leader di domani?

Attraversiamo una lunga fase di mutevoli e continui adattamenti. All’interno di uno scenario che da tempo – e a ragione – viene indicato attraverso l’acronimo VUCA

La V (volatility) della volatilità, si riferisce alla natura e alle dinamiche dei cambiamenti caratterizzati da fluttuazioni, turbolenze e disruption. Un fenomeno che si sta verificando con maggiore frequenza rispetto al passato ed è incrementato, oltre che dalla liberalizzazione del commercio e della concorrenza globale, dalla crescita esponenziale della digitalizzazione e della connettività. Maggiore è la volatilità, più i cambiamenti sono veloci. Ragion per cui la natura, i ritmi e l’ampiezza di ciò che cambia non sono più prevedibili e non è possibile ricondurre il cambiamento ad un quadro di riferimento conosciuto e stabile.

La U (uncertainty) indica l’incertezza o la mancanza di prevedibilità degli eventi. Oggi è praticamente impossibile utilizzare le esperienze passate per prevedere il futuro, in quanto il futuro ormai non rappresenta più una pacifica proiezione del passato. Basarsi sulle esperienze trascorse per fare previsioni non ha più senso e all’incertezza si accompagna spesso la difficoltà di comprendere pienamente cosa sta succedendo. Più il mondo è incerto, più difficile fare previsioni e più complicato prendere decisioni sensate.

La C (complexity) è quella della complessità. Caratteristica di un aggregato organico e strutturato in parti tra loro interagenti, in base alla quale il comportamento globale del sistema non è immediatamente riconducibile a quello dei singoli elementi, perché dipende dal modo in cui essi interagiscono. Un contesto è tanto più complesso quanto più i fattori da considerare sono numerosi, diversi tra loro e diverse sono le relazioni tra gli elementi. Questo è quanto sta accadendo nella vita delle nostre aziende, dove aumentano sempre di più fattori interni ed esterni da gestire contemporaneamente. Ad esempio, la maggiore capacità di interconnessione, aumenta la complessità del sistema e questo rende sempre più complicato analizzare la quantità complessiva delle informazioni.

L’ultimo elemento in gioco è la ambiguità (ambiguity). Cioè la difficoltà di farsi un’idea precisa di ciò che sta accadendo. Poca chiarezza sugli eventi e, di conseguenza, difficoltà di decifrarli e addirittura comprenderli. Si presenta pertanto una situazione ambigua data la incompletezza delle informazioni, incompleta, contraddittoria o poco definita, che non permette di giungere a conclusioni certe. Sono occasioni in cui ci si trova di fronte a eventi che denotano incerta natura o provenienza, che lasciano perplessi sugli sviluppi o le intenzioni, che creano molta ansia.

Le organizzazioni del lavoro stanno affrontando cambiamenti impegnativi paragonabili a quelli che hanno preceduto il passaggio dal mondo agricolo a quello industriale. La digitalizzazione, la robotizzazione e l’intelligenza artificiale stanno cambiando radicalmente il mondo del lavoro. Gli artefatti tecnologici svolgeranno molte delle attività sinora eseguite dagli esseri umani e, allo stesso tempo, creeranno nuovi posti di lavoro, sosterranno nuove attività produttive di beni e di servizi.

Tutto ciò richiederà nuovi assetti organizzativi e modalità di gestione più appropriate delle risorse umane e delle relazioni di lavoro, sia nell’ambito dei rapporti tra persone che tra queste ultime e le tecnologie. Le evoluzioni nel mondo del lavoro e nelle organizzazioni del lavoro producono inevitabili disruption anche nel campo del management e della leadership. Al crocevia delle problematiche tecnologiche, strategiche e umane, la posizione del leader sarà davvero delicata.

Il management e la leadership hanno un’influenza diretta e tangibile sull’impegno dei dipendenti. Anche se rimane ancora valido il vecchio principio che la loro funzione è soprattutto quella di garantire una efficace collaborazione all’interno di un’organizzazione, sarà il modo di attuare questa collaborazione che avrà bisogno di adattarsi con le esigenze dei tempi attuali.

Molto probabilmente, alcune caratteristiche specifiche della leadership come passione, impegno, disciplina, carisma saranno combinate con nuovi valori: flessibilità, creatività, curiosità, innovazione, ottimismo. Un nuovo stato mentale dovrà essere coltivato, fatto di auto-accettazione, di umiltà, di resilienza. Grazie a una nuova modalità di porsi in relazione con gli altri, basata sulle competenze emozionali e comunicative, le situazioni difficili e gli inevitabili conflitti che inevitabilmente ne derivano, potranno essere gestiti. Tutte queste capacità dovranno essere dispiegate in un contesto dinamico, in perpetuo cambiamento. In definitiva, l’obiettivo principale sarà quello di sviluppare una serie di competenze per far avanzare l’intelligenza collettiva all’interno dell’azienda.

È certo difficile fare previsioni. Però trovo interessante uno scenario che è emerso già qualche anno fa, da una serie di interviste a un gruppo di esperti di fama internazionale realizzate da Suzanne Dansereau, delle quali è stata pubblicata un’ampia sintesi su Gestion, la rivista canadese di management (vol. 41/2016, pag. 70-73).

Tutti concordano sul fatto che in un ambiente volatile, incerto, complesso e ambiguo, la scelta di un leader non si concentrerà su competenze specifiche, ma sul suo potenziale di successo.

Ecco dieci qualità che lo aiuteranno a sviluppare questo potenziale.

A differenza del leader eroico degli anni ’80, egli si renderà conto che non potrà affrontare tutte le sfide che gli si presenteranno. E sarà consapevole che in un mondo digitale in cui tutto è interconnesso (interrelato/interdipendente), la sua influenza sarà limitata e non sarà più l’unico a essere in possesso delle risposte. Probabilmente non sarà in prima linea, ma piuttosto dietro perché il suo ruolo non sarà quello di comandare, ma di creare un contesto in cui tutti possano svolgere un ruolo di protagonista e quindi assumere la leadership, prendere il suo posto e realizzare progetti. In questo modo, la leadership nell’organizzazione di domani sarà federata. Ci sarà un leader al vertice, ma la funzione sarà ovunque nell’organizzazione e anche fuori perché il leader di domani non controllerà l’organizzazione ma soprattutto contribuirà a dargli forma.

La curiosità sarà una qualità essenziale. Il suo ruolo sarà quello di indirizzare nuove idee, assorbirle e tradurle in azioni concrete che permetteranno di cambiare le regole del gioco. Mentre il leader di ieri era un esperto nel suo campo e aveva una visione chiara delle azioni da intraprendere, quello di domani manifesterà una curiosità insaziabile, non solo sul campo che riguarda la sua azienda, ma anche in molte altre aree. Questo leader che vuole apprendere porrà molte domande piuttosto che offrire risposte.

Si dice spesso che il leader deve pensare fuori dagli schemi, ma domani penserà riferendosi a diversi “frame”. L’organizzazione non è più una macchina ma un organismo vivente, un sistema aperto. È finita l’epoca in cui un leader poteva tracciare un percorso seguito da tutti: il leader di domani dovrà affrontare imprevisti. Imparerà ad amare l’ambiguità perché questa imporrà “nuove abitudini mentali” che gli permetteranno di affrontare la complessità. Invece di gestire il probabile, il leader dirigerà il possibile; invece di cercare di rendere tutti d’accordo, adotterà diverse prospettive; invece di semplificare e ottimizzare le attività una per una, imparerà a distinguere dei sistemi; infine, invece di decidere e definire “la” strategia, sperimenterà alla periferia, attraverso verifiche che potrebbero fallire senza minacciare l’impresa.

Durante la sua carriera, il leader del domani occuperà diverse posizioni, farà esperienze diverse. Potrà spostarsi anche in tutto il mondo e si confronterà con varie culture; molto probabilmente non rimarrà confinato solo nel suo paese, soprattutto perché una buona parte dei mercati sarà incuneata all’interno di zone in via di sviluppo.

Una delle grandi differenze tra il leader di domani e il leader di ieri sarà che dovrà eccellere in tutti i campi della comunicazione, sia di persona, sui social media, di fronte a un pubblico di 300 persone o parlando con dipendenti che lavorano a migliaia di chilometri da casa e che non si saranno mai incontrati. Queste abilità sono già ricercate più che mai, l’organizzazione chiede al leader di sapere come evidenziare i messaggi da trasmettere al pubblico, di sviluppare il potenziale della propria personalità digitale e, di conseguenza, migliorare l’immagine del marchio. Facendo molta attenzione, perché l’autenticità è fondamentale.

Il leader di domani dovrà essere vicino alle persone che lo circondano e non solo creerà legami ma li manterrà anche. Non vorrà vincere una discussione quanto essere in contatto con le persone. Non eviterà il conflitto, ma mostrerà rispetto ed empatia per gli altri pur non avendo paura dello scontro. Sarà pronto a dare di più e saprà che ne riceverà da parte degli altri. Più che mai, le relazioni saranno significative e autentiche. In effetti, la fine della leadership eroica annuncia l’arrivo di una cultura di stretta collaborazione. In questo contesto, la vicinanza è fondamentale.

Il necessario equilibrio famiglia-lavoro è diventato un tema importante per la generazione X. Il leader di domani sarà ancora più multidimensionale. Dovrà abbracciare la complessità, cogliere la moltitudine di punti di vista e opinioni e comprendere bene gli ambienti che sono spesso multiformi e multiculturali. Un buon bagaglio di esperienze e background variegato diventa estremamente redditizio in questo contesto.

Il leader di domani vorrà che la sua azienda abbia un impatto positivo sulla società, l’ambiente, il pianeta, oltre a creare valore per gli azionisti. Il mondo del lavoro richiede un leader sempre più responsabile, più etico, onesto e generoso; anche perché i dipendenti saranno orientati a scegliere un’organizzazione che li impieghi in funzione della sua missione, della sua responsabilità sociale, dei suoi prodotti, in breve degli impatti che tuto questo avrà sul bene comune. È quasi una certezza che in dieci anni, i rischi sociali e umani di qualsiasi progetto saranno anche calcolabili come i rischi ambientali. Agire in modo responsabile sarà nell’interesse di ogni azienda.

Dovrà avere il coraggio di agire, non aver paura di lasciare il confort per andare avanti, non rinviare decisioni difficili, dispiacere ad alcune parti interessate, avere il coraggio di dire la verità e non quello che gli altri vogliono sentire, saper riconoscere quando si sbaglia. Il leader dovrà incoraggiare tutto il suo staff a parlare francamente e offrire loro più opportunità di apprendimento non avendo paura che falliscano o cambino la loro organizzazione. L’intera attitudine al fallimento deve essere diversa: il fallimento insegna e rende umili.

Dal momento che sarà in grado di navigare da una cultura all’altra, il leader di domani sarà più aperto alla diversità. Cercherà di circondarsi non di persone che saranno come lui ma con persone che lo completeranno e che non penseranno come lui. La diversità sarà una leva. Per progredire, un’organizzazione che opera in un mondo complesso e ambiguo ha bisogno di diversità e “dissidenza costruttiva”. È tanto una questione di diversità culturale, etnica e sessuale quanto di diversità di valori. Il leader di domani avrà un maggiore rispetto per le differenze. La sua forza risiederà nella sua capacità di mettere in collegamento idee e persone.