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Chi non ha tempo prenda tempo

Dal 1967, un secondo è rappresentato dalla durata di “9.192.631.770 periodi della radiazione corrispondente alla transizione tra due livelli dello stato fondamentale dell’atomo di Cesio 133° (sic!). L’ora è rimasta di 3.600 secondi.
24 ore per un giorno, non una di meno o di più; nell’arco della settimana diventano 168, pari a minuti 10.080 e complessivi 604.800 secondi. Una “cifra” direbbero a Roma.
Il tempo è un patrimonio importante della nostra umanità, un capitale democraticamente ripartito per ciascuno di noi e uguale per tutti.
Qualcuno asserisce che è più ragionevole affidare ad altri il proprio portafogli piuttosto che l’agenda, forse pensando al valore del tempo e alla sua importanza vitale.
Spesso però, per aver padronanza sul proprio tempo, è sufficiente la piccola parola NO. Uno strumento semplice e utile.
Gestire il tempo vuol dire amministrare la disponibilità di se stessi. Chiedersi “per chi” e per “che cosa” sono disponibile, riguarda decidere e fare delle scelte chiave.
Ciò significa, ad esempio, che se “il lavoro viene prima di tutto”, la famiglia e/o le mie relazioni extra lavoro soffrono e così la mia interiorità o la mia stabilità esistenziale o il mio equilibrio psicofisico.

Vittorio Tripeni (2002) ” Chi non ha tempo, prenda tempo “, in “Oltre il Giardino”. eBook 2018

Razionalità dell’agire imprenditoriale

Le molteplici logiche dell’agire imprenditoriale costituiscono una notevole fonte di spunti per riflettere sulle modalità della successione, sia rispetto al profilo, sia rispetto allo stile di direzione dell’imprenditore. All’inizio degli anni ’90 Michel Bauer (Bauer M., Les Patrons de PME entre le Pouvoir, l’Entreprise et la Famille. Paris, InterEditions, 1993), ha descritto molti casi, dai quali ha tratto la conclusione che occorre mettere in discussione l’esclusività della razionalità economica alla base delle scelte imprenditoriali. Sostenendo che le operazioni economiche sono certamente importanti, ma non sono esaustive e non rendono onore alla complessità dei problemi che devono affrontare gli imprenditori.

Bauer scrive che i dirigenti d’impresa spiegano tutto attraverso i numeri; evitando di evocare le loro preoccupazioni famigliari, le difficoltà e/o i piaceri dell’esercizio del potere, che tuttavia influiscono sul loro operato. Si adeguano scrupolosamente alla regola del “parlare-soltanto-economico”. Del resto, dice Bauer, in un mondo caratterizzato da esigenze d’efficacia e razionalità, di modernità e competenza, come potrebbero confessare queste realtà più “tradizionali” che coinvolgono la sfera affettiva e politica, i sentimenti e la parentela? Il fatto è che anche i loro interlocutori rispettano tutto questo e non derogano mai alla regola del “parlare-soltanto-economico”. Ad esempio, per spiegare, salutare o criticare le strategie decise ai vertici delle aziende, gli osservatori più credibili (giornalisti, economisti, analisti finanziari, ecc.) si esprimono come se non conoscessero un solo modo di esprimersi: quello economico. Tutti i discorsi “seri” fanno così apparire l’imprenditore come un essere che prende ogni decisione in funzione della sola razionalità economica. Ma, a questo punto, lo scarto tra realtà e linguaggio può diventare ragguardevole, in quanto nessuno affronta il “non detto”, il non economico, che diventa pertanto un vero tabù.

Sembra pertanto – dice Bauer – che gli imprenditori seguono in modo esclusivo la logica dell’efficacia economica e che le questioni di potere e le vicende famigliari non pesano affatto sulle loro decisioni.
Per comprendere le difficoltà incontrate da un imprenditore al momento di preparare la sua successione occorre rendersi conto del carattere riduttivo delle argomentazioni economiche; à necessario uscire dagli schemi strettamente economici o “manageriali” per comprendere il comportamento effettivo dei dirigenti e degli imprenditori.. Ai vertici delle aziende, anche se tabù, le logiche politiche e famigliari sono ancora importanti. Occorre mettere in discussione la regola del parlare-soltanto-economico, cogliendo così le complesse dinamiche che agevolano o impediscono la successione dell’impresa familiare. Vi sono logiche sotterranee che, pur non essendo economiche, pesano sulle decisioni. Occorre scoprire il non detto e far apparire in tutta la sua evidenza che l’imprenditore, nella sua attività professionale, è un essere molto più complicato rispetto alle usuali rappresentazioni, molto più sensibile e complesso di quanto non rivelino i discorsi freddi ed astratti della teoria economica. Il nodo critico della trasmissione, sottolinea Bauer, sta nella pluralità delle razionalità presenti nella testa di ogni imprenditore e nell’esito dei conflitti che le diverse scelte possibili provocano.

Un imprenditore è “un uomo a tre teste”. Questa la “legge fondamentale” dedotta da Bauer. In parte è Homo oeconomicus, interessato ai risultati della sua azienda e ai guadagni che produce. In parte è Homo politicus che, come tutti gli uomini politici, cerca di consolidare il suo potere o, quanto meno, di conservarlo. Infine è Pater familias che, come molti padri di famiglia, cerca a suo modo di aiutare i figli.
Al comando della sua azienda un imprenditore agisce non soltanto secondo una razionalità economica, ma allo stesso tempo secondo una razionalità politica ed una famigliare. La sua attività professionale, costituita dall’insieme delle decisioni che prende, va considerata come il prodotto di questa tripla razionalità.

Bauer delinea alcune situazioni tipo per descrivere come dirige la sua impresa un capo che funziona soltanto secondo la sua razionalità politica e come immagina la sua eventuale successione. Secondo l’autore, alcuni capi non trasmettono spontaneamente la loro impresa, a meno che non si intenda con questo: “abbandonare volontariamente la poltrona dopo aver selezionato e poi formato il successore”. La loro testa di homo politicus non li spinge affatto ad abbandonare il potere, ma anzi a conservarlo.
Altri capi evitano di avere accanto un delfino; al massimo accettano un “erede di famiglia”, ma mantenendolo nella condizione di “erede-che-aspetta-passivamente”.
Vi sono altri imprenditori particolarmente reticenti a dividere l’esercizio del potere. Vegliano perchè la loro autorità non possa essere messa in discussione.
Alcuni capi d’impresa provano molta difficoltà a smettere di lavorare a un’età che per i dipendenti corrisponde a quella della pensione. Tendono piuttosto a rimanere aggrappati al loro potere ed a conservare le loro prerogative il più a lungo possibile. E’ il caso di quelli che rimangono al timone anche da vecchi e non pensano di preparare la successione perché non hanno che settant’anni …

La storia di ogni passaggio generazionale d’impresa è frutto di una complessa interazione tra le tre “teste” dell’imprenditore e le soluzioni aprioristiche per risolvere i problemi di successione rischiano di essere poco incisive se non tengono conto delle modalità di gestione (del potere) della governance.

Fiducia e condivisione

Per creare un ambiente di lavoro sano e produttivo ci sono condizioni essenziali dalle quali non si può prescindere. In primo luogo realizzare una gestione organizzativa e un contesto di lavoro fondati sui valori e sulla fiducia.
La fiducia si comunica favorendo un vasto grado di autonomia decisionale, riducendo allo stesso tempo i controlli rigidi e creando opportunità per attribuire deleghe più ampie.
Attraverso l’ascolto attivo dei collaboratori si può manifestare il necessario rispetto verso le persone e attivare un libero scambio di opinioni sul “perché” e il “come” fare le cose; rimanendo consapevoli del proprio comportamento e allo stesso tempo incoraggiando la individualizzazione dei valori dell’organizzazione da parte degli altri. Tutto questo è possibile solo se siamo capaci di comunicare “in prima persona”.
Lo stimolo a crescere si trasmette attraverso politiche flessibili, accordando un margine di manovra discrezionale e facendo ben comprendere che l’organizzazione è capace di sostenere i dipendenti che fanno il loro lavoro.
È importante condividere l’informazione sulle finalità dell’organizzazione e le mutevoli priorità di essa; è altresì importante manifestare fiducia nella professionalità dei collaboratori e rispetto della loro onestà e competenza.
Il fatto di condividere il potere nell’organizzazione, favorisce lo spirito di appartenenza, una migliore gestione delle aspettative e allo stesso tempo una più evidente efficacia organizzativa.
In definitiva, condividere il potere vuol dire aprire un dialogo con i collaboratori prima di mettere in atto nuove iniziative e orientamenti strategici; ed anche esplicitare le finalità e le decisioni; cioè essere “trasparenti”.
È inoltre necessario aumentare le occasioni di comunicazione uno a uno e prendere del tempo per conoscere meglio il personale e i colleghi.
La collegialità delle decisioni comporta il vantaggio di un approccio centrato sull’equipe. Ne risulta un coinvolgimento più attivo dei singoli componenti e una organizzazione che lavora in modo più orizzontale. La competizione interna potrebbe addirittura risultare benefica e un processo di pianificazione aperto e sarebbe la migliore garanzia di un contesto di lavoro collegialmente sano. I componenti dell’equipe devono essere in grado di discutere le modalità tradizionali (le abitudini) di fare le cose. Devono poter comprendere ciò che può essere considerato un rischio accettabile e essere incoraggiati ad utilizzare la flessibilità che appartiene al loro potere personale.
Al di là del bisogno di consultarsi regolarmente e di comunicare con il personale ad ogni livello, sarebbe necessario dare importanza all’avere in comune una medesima comprensione dell’attuale orientamento dell’organizzazione del lavoro (e, possibilmente, delle motivazioni) nonché avere una visione comune sul piano strategico per arrivarci.

 

 

Vittorio Tripeni (2004) ” Fiducia e condivisione “, in “Oltre il Giardino”. eBook 2018

Corso Garibaldi, ore 9,25

L’evento – fuori dell’ordinario – è di questi giorni.

A Milano, città indaffarata per eccellenza, le persone meno distratte hanno potuto notare una coppia, avanti negli anni, sulla settantina, lui diritto nella sua piccola statura e fermo sulle sue gambe, a tenere il braccio di lei che procede a piccoli passi con il busto in avanti.

La signora si ferma, il marito l’asseconda, lei si china a raccogliere un arnese – una sega per il ferro – caduto dalle mani di un artigiano che, attraversando il marciapiedi, sta recandosi verso il suo furgone per depositarvi le cose già utilizzate per il lavoro fatto in precedenza. Non sono state sufficienti le esortazioni di quell’uomo a distogliere l’iniziativa della signora, che in quel momento non si è sentita indifferente – e tanto meno imbarazzata – verso l’impaccio e le difficoltà dell’altro. Archeologia.

La scena, messa a confronto con quella dell’indifferenza quotidiana compresa la distratta pietà di noi sempre impegnati, incoraggia a riflettere.
Siamo troppo indaffarati per occuparci degli altri, anche del nostro vicino.

Anche quando ci troviamo nella stessa stanza.

 

Vittorio Tripeni (2002) ” Corso Garibaldi, ore 9,25 “, in “Oltre il Giardino”. eBook 2018

lo specchio dell’anima

Chi ama percorrere i sentieri di montagna riconosce la bellezza di quei minuscoli orti, veramente un fazzoletto di terra, che appaiono con tutto il loro splendore e vigore in mezzo ai prati prospicienti le malghe e le baite delle nostre Alpi.

Belli e ordinati, la maggior parte di essi, ricchi di colori e profumi, sanno mostrarci l’attenzione e la passione delle persone che prestano loro amorevolissime cure, ricevendone in cambio ortaggi e fiori bellissimi. Altri stridono per la loro trascuratezza e ciascuno di noi comprende che in quel caso chi “zappa l’orto” non lo fa con amore; ragion per cui è costretto a raccogliere frutti di tutt’altro aspetto e senza la soddisfazione degli occhi e del cuore.

Anche un pezzo di terra sa rispecchiare l’anima di chi lo possiede e lo coltiva. Anche un vaso di fiori.

Capita, a volte, di percorrere gli spazi interni di un’azienda e intuire lo stato dell’anima che vi aleggia. A volte un vaso di fiori, le foglie ingiallite, la terra secca, può “comunicare” molto di più di ciò che viene scritto o detto.

Vittorio Tripeni (2002) ” lo specchio dell’anima “, in “Oltre il Giardino”. eBook 2018