Genitori, ascoltate i figli

Genitori, ascoltate i figli

Trovo molti punti in comune con quanto il collega afferma. E, con molto piacere, condivido l’intervista a Luigi Ballerini, curata da Giorgio Romeo (La Sicilia, 19 gennaio 2015)

 

Cosa significa essere genitori oggi? Come rapportarsi alla diffusione delle nuove tecnologie tra i più piccoli? E come rivedere il rapporto con i propri figli affinché sia più sano? In un’epoca in cui la perdita di valori impera nel nostro quotidiano queste sono solo alcune delle questioni che assillano le menti di molti padri e madri. Ne abbiamo parlato con Luigi Ballerini, psicoanalista e scrittore che da molti anni si occupa di tematiche relative all’infanzia. Lo abbiamo incontrato ieri presso il teatro “Sipario Blu” dell’Istituto Sant’Orsola in occasione di un “open day” durante il quale ha presentato il suo nuovo volume “Adesso cosa faccio?” (Edizioni Lindau, 2014).

 

Perché è necessario ripensare il rapporto tra genitori e figli? 

«Una delle domande che spesso mi pongono i genitori quando hanno un problema con i loro figli è: “Adesso cosa faccio?”. La vera domanda tuttavia, in un momento di difficoltà, dovrebbe essere: “Qual è l’origine del problema?”. Il problema è che tendiamo ad avere un’idea di educazione molto unilaterale: il bambino è visto come fosse carta assorbente e non c’è nulla di più sbagliato. L’apprendimento non funziona per osmosi. È necessaria allora una posizione di ascolto nei confronti dei figli, l’unica che ci consente di accorgerci davvero quando le cose non vanno bene. Perché, a volte, facciamo davvero fatica a capirlo».

 

Quanto incidono nella formazione dei figli le aspettative dei genitori?

«I bambini di oggi sono sempre più sopraffatti dalle richieste di performance, sia a casa che a scuola. Ad esempio è molto diffusa l’idea che si debba arrivare in prima elementare sapendo già leggere e scrivere. Siamo così sicuri sia necessario? Il cosiddetto “edutainment” (una crasi di education e intertainment) è sostanzialmente basato su un inganno: facciamo finta che giochi, ma nello stesso tempo impari. Lo scopo è arrivare prima degli altri ma, in realtà, questo interessa solo agli adulti. Tutti vogliono il meglio per i propri figli, ma il rischio diviene quello di fare un confronto con un “bambino ideale”. Confronto dal quale nostro figlio uscirà inevitabilmente sconfitto».

 

Il rapporto con le nuove tecnologie preoccupa e angoscia molti genitori. Come comportarsi a riguardo?

«I genitori di oggi si trovano di fronte a delle sfide sempre nuove in ambito tecnologico. Ultimamente mi è stato chiesto come fare a togliere un iPad a un bambino di tre anni, una problematica che, ovviamente, pochi anni fa non esisteva. In ogni caso è importante non essere anacronistici: viviamo nel 2015 e, così come non andiamo in giro in carrozza, non possiamo far finta che certi strumenti non esistano. Pensare di dare il cellulare al proprio figlio solo quando studierà al liceo è una posizione che andava bene 5 – 10 anni fa, ma oggi si correrebbe solo un altro rischio: quello dell’esclusione sociale, poiché tutti i suoi coetanei ne faranno un largo uso per relazionarsi».

 

E in merito ai pericoli della rete?

«Credo fortemente che la sfida col virtuale si vinca nel reale. Tanto più i giovani avranno una vita reale soddisfacente, amici con cui uscire o andare al cinema, tanto più il virtuale si metterà al suo servizio, venendo utilizzato, ad esempio, per organizzare velocemente una partita. In assenza del reale, viceversa, c’è il rischio di diventare preda o predatore nella rete. È importante avere uno sguardo a tutto tondo sulla vita dei ragazzi, non solo una logica di controllo o protezione. A volte, preoccupati dalla sicurezza, pensiamo che nostro figlio in casa sia più sicuro, ma in realtà internet apre la strada a qualsiasi porcheria. Se esce fuori dicendo che va a giocare a pallone con gli amici sono costretto a fidarmi, ma è certamente meno rischioso che favorire un isolamento dentro il quale si potrebbe perdere».

 

Ogni volta che un fatto di cronaca nera coinvolge un minore si crea un dibattito su quanto sia opportuno farne un caso mediatico. Che impatto ha questo sui bambini?

«In generale media come la televisione dovrebbero resistere alla tentazione di alimentare il gusto sadico che c’è nel divulgare certe immagini e informazioni. Sapere esattamente come viene stretta una fascetta non aggiunge nulla al valore di una notizia. Molto spesso, tuttavia, vorremmo proteggere i nostri bambini dalla realtà. Recentemente mi è capitata una bambina cui è stato nascosto che era morta la nonna. In realtà lei ha passato mesi a chiedersi che fine avesse fatto. La difficoltà vera era dei genitori che non sapevano come porre la questione della morte, la figlia, invece, l’avrebbe accettata. Con i bambini si può parlare di tutto, ma bisogna parlarne bene. Sottoporli ai dettagli morbosi di un omicidio non fa bene a loro, e nemmeno a noi».

Info sull'autore

admin administrator