Archivio per Categoria Famiglie, genitori e figli

Non basta l’iniziativa o il fare … Occorre un processo di costruzione del senso

Lo “spopolamento” o la “infertilità” o gli altri problemi sociali evocati nelle discussioni generate dalla ingenua iniziativa di promuovere manifestazioni tipo il fertility day, lasciano in secondo piano un argomento inaggirabile: quello della genitorialità.

Genitori non siamo perché abbiamo procreato (con indiscusso e prevalente impegno delle mamme), questo lo fanno anche gli animali. O perché è stabilito da una norma giuridico-amministrativa.

I genitori sono tali nella pratica della genitorialità, della ri-generazione continua di un progetto che – a partire dall’idea di avere un figlio – si evolve in continuazione attraverso un processo e una costruzione di senso dell’essere papà o mamma.

Ciò che in altri ambiti si definisce “enactement”, un continuo “sostanziare” e un agire “in presenza” e consapevolezza di una responsabilità sociale che non posso delegare o esternalizzare.

E, a pensarci bene, è quanto sta mancando, a mio parere, anche a livello di generatività e ri-generazione, negli organismi sociali grandi e piccoli, nelle imprese e nelle professioni, in cui spesso manca la capacità di generare idee adeguate ai tempi nuovi e farle crescere attraverso progetti “sensati”.

Giovani adulti e religione in Europa

Andare a messa la domenica mattina è lungi dall’essere un’abitudine condivisa da tutti i giovani europei. L’Institut catholique di Paris e la St Mary’s University britannica hanno indagato su credenze e pratiche religiose dei 16-29 enni in 21 paesi europei (oltre a Israele). Peccato non vi si possano leggere dati riguardanti il nostro paese perché l’Italia non è stata toccata da questa indagine.
Il rapporto presenta anche una discussione più approfondita sulla religiosità dei giovani adulti in Francia e nel Regno Unito, nonché sui livelli di affiliazione e pratica specificamente cattolica in tutta Europa.

Prima osservazione, la scristianizzazione del continente è più o meno marcata secondo le nazioni.

La Repubblica Ceca è il paese più ateo in Europa: il 91% dei giovani non rivendica alcuna affiliazione religiosa.

Al contrario, la Polonia è il paese più cristiano dell’Unione europea: l’83% dei giovani si definisce cattolico e solo il 17% non ha religione. I cattolici del paese sono ancora molto attivi: il 47% frequenta la Messa settimanale e il 60% prega almeno una volta alla settimana.

In Francia, il 64% dei giovani di 16-29 anni afferma di non avere alcuna religione, il 23% dichiara di essere cattolico, il 10% musulmano, il 2% protestante, l’1% di altre religioni. Tutte le confessioni combinate, solo il 14% dei giovani francesi pregano almeno una volta alla settimana e il 65% non lo fa mai. Il 56% non frequenta mai luoghi religiosi se non per matrimoni o sepolture; Il 6% frequenta almeno una volta alla settimana.

Se la pratica religiosa è notevolmente diminuita, rimane molto attiva tra i giovani cattolici in alcuni paesi … Nella Repubblica Ceca, dove sono una minoranza (9%), il 24% di loro va in chiesa almeno una volta alla settimana. Questo è tanto quanto in Irlanda (dove il 54% dei giovani è cattolico). In Portogallo, più della metà dei giovani tra i 16 e i 29 anni dichiara di essere cattolici e più di un quarto va a messa almeno una volta alla settimana. D’altra parte, mentre solo l’11% dei giovani britannici va in chiesa settimanalmente, il 42% dice di pregare più di una volta alla settimana.

Fonte:
Stephen Bullivant, « Europe’s young adults and religion. Findings from the European social survey (2014-2016) to inform the 2018 synod of bishops », St Mary’s University/Institut catholique de Paris, 2018.
https://www.stmarys.ac.uk/research/centres/benedict-xvi/docs/2018-mar-europe-young-people-report-eng.pdf

Palafreniere, ecco il mio mestiere !

Probabilmente è radicato nella mia anima abbastanza in profondità questo sentimento. Perché ormai da decenni, anche nell’ultimo incontro con una persona della quale ho massima considerazione, è venuto fuori con molta spontaneità.

Alla domanda: “Ma tu, di cosa ti occupi esattamente?” Ho risposto proponendo l’immagine del palafreniere: “Aiuto le persone a salire sul loro cavallo affinché trovino la strada più agevole per raggiungere i loro obiettivi”.
E’ un mio credo l’attività che svolgo, dove arte, religione e scienza si interpenetrano e fecondano il mio essere e il lavoro che faccio. Quello di stare al fianco delle persone; affinché esse stesse, attraverso la ri-scoperta e il ri-conoscimento delle loro capacità e dei loro talenti, riescano ad emergere dalla palude del disagio.

 

Palafreniere, ecco il mio mestiere !

Probabilmente è radicato nella mia anima abbastanza in profondità questo sentimento. Perché ormai da decenni, anche nell’ultimo incontro con una persona della quale ho massima considerazione, è venuto fuori con molta spontaneità.

Alla domanda: “Ma tu, di cosa ti occupi esattamente?” Ho risposto proponendo l’immagine del palafreniere: “Aiuto le persone a salire sul loro cavallo affinché trovino la strada più agevole per raggiungere i loro obiettivi”.

E’ un mio credo l’attività che svolgo, dove arte, religione e scienza si interpenetrano e fecondano il mio essere e il lavoro che faccio. Quello di stare al fianco delle persone; affinché esse stesse, attraverso la ri-scoperta e il ri-conoscimento delle loro capacità e dei loro talenti, riescano ad emergere dalla palude del disagio.

 

 

Fattori psico-sociali di rischio nella vita lavorativa delle donne: possibili interventi di prevenzione-protezione

Condividendo queste mie riflessioni ricordo le persone che nel tempo mi hanno interpellato per chiedermi un consiglio o un aiuto.

Userò qualche brano dei messaggi che mi sono stati inviati, per avere uno sfondo di riferimento che insieme ai dati della ricerca illustrata dalla dottoressa Sgorbati ci aiutano a calarci nella realtà della sofferenza al lavoro.

Maria Cristina, ha maturato una notevole esperienza nel settore della segreteria legale. Mi dice che nonostante la figura della segretaria sia cambiata rispetto a un tempo, nella forma e nella sostanza, ha dovuto riscontrare che nel privato la figura professionale della segretaria viene scambiata con quella della schiava. “ho passato gli ultimi nove anni in un altro studio legale dove addirittura mi venivamo date responsabilità (ovviamente non retribuite adeguatamente) impensabili per una semplice segretaria (dico che nonostante il trattamento schiavistico mi veniva comunque riconosciuta una certa capacità). Sono incappata in questo studio centralissimo e molto prestigioso, ho creduto di poter crescere professionalmente, sono stata praticamente utilizzata solo ed esclusivamente per spedire raccomandate, acquistare il pranzo agli avvocati e preparare loro il te o il caffè. Ho cercato di darmi da fare con discrezione per tentare di farmi notare, ma ho trovato un muro di gomma … Così, con tanta esperienza maturata e tanta voglia di lavorare sul serio, mi sono vista utilizzata unicamente per la cucina e per svuotare le taniche dei condizionatori. Oggi, dopo l’ennesima critica inutilmente distruttiva del titolare dello studio (non sono stata capace di acquistargli un pranzo come lui desiderava – pane tagliato troppo spesso, prosciutto secco – ho preso le mie cose e me ne sono andata… La domanda che rivolgo è questa: sono troppo suscettibile o il mondo del lavoro è diventato un enorme tritacarne?

Lucia lavora in una azienda ospedaliera e scrive “il servizio in cui lavoro ha un responsabile medico dirigente, è la persona che mi ha reso e mi rende la vita impossibile. Episodi di aggressività verbali, escandescenze ingiustificabili, parolacce, umiliazioni e mortificazioni davanti ai pazienti e dipendenti, si protraggono da anni. Insieme ad altre due colleghe che stanno vivendo la stessa esperienza, abbiamo avvertito chi di dovere, abbiamo fatto anche una relazione, ma non si è ancora ottenuto un riscontro. Questa situazione ha reso invisibile la mia permanenza al servizio ed ha influito negativamente sulla mia salute. Infatti da qualche tempo ho problemi gastrici, di ansia, di insonnia, depressione e un grande MAL DI LAVORO”

Luisa è un capo, è dirigente di una struttura. Dice che il suo problema “sono i colleghi o meglio, i suoi subalterni. Questo suo modo di gestire il rapporto di lavoro: più democratico, alla pari e improntato alla collaborazione, non è piaciuto soprattutto ai più vecchi che paradossalmente preferivano la gestione precedente in cui non erano costretti a gestirsi e ad assumersi responsabilità. Per di più, i colleghi che hanno avuto il coraggio di appoggiarmi sono stati emarginati e calunniati in modo sottile e cattivo; tanto che alcuni, per quieto vivere si sono tirati indietro. Il nuovo sistema di lavoro è ora consolidato e naturalmente non torniamo più indietro, ma la loro vendetta sta nei piccoli o grossi dispetti quotidiani. Non parliamo poi dei pettegolezzi continui… Io soffro perché non credo di comportarmi male con loro, non capisco e alcune volte penso di essere io paranoica e di esagerare …”

Sono alcune esperienze che alla luce del rapporto sulle “problematiche legate al genere nel campo della sicurezza e della salute al lavoro”, recentemente pubblicato (2003) dalla Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro, assumono maggiore rilievo. Rappresentano vissuti personali che ormai sono stati legittimati dalla ricerca scientifica sullo stress e i rischi psico sociali correlati alla attività lavorativa. Sono storie, insieme a molte altre, che invitano a considerare la salute al lavoro come un bene primario e irrinunciabile.

Tenendo conto che lo stress, ancora oggi, non è ritenuto un pericolo evidente per la salute e la sicurezza al lavoro. Ancora si pensa che lo stress non rappresenti un evidente rischio per la salute, non sembra essere una minaccia diretta come le sostante chimiche o l’amianto, ad esempio, oppure come quelle condizioni pericolose del lavoro che manifestano rischi più tangibili rispetto alla sofferenza psichica e mentale o all’ansia, spesso considerate solo come dipendenti dallo stile di vita delle persone e alla loro “incapacità” di affrontare i problemi. Elementi questi ultimi che di solito costituiscono il pretesto per attribuire alle persone problemi che verosimilmente dipendono dal contesto di lavoro

In realtà, che ci possano essere relazioni strette tra modalità e organizzazioni del lavoro, influenti direttamente sul benessere delle persone e delle organizzazioni, tutto ciò è ormai evidente. Si veda ad esempio la pubblicazione della ricerca sul lavoro correlato allo stress realizzata nel 2000 (COX T., GRIFFITHS A., RIAL-GONZALES E. (2000), Research on Work-related Stress) per conto della Agenzia Europea per la sicurezza e la salute sul lavoro e pubblicata in Italia da ISPESL nel 2002. Dati che hanno ricevuto un sostanziale appoggio “politico” durante la Conferenza Nazionale sulla Salute e Sicurezza nei luoghi di lavoro, il simposium europeo sulla promozione della salute nei Paesi del sud Europa, tenuto a Siracusa 5-6-7 aprile 2001. (si vedano gli Atti pubblicati da ISPESL nel 2002).

Il recente rapporto che costituisce il punto di riferimento del nostro convegno (Problematiche legate al genere nel campo della sicurezza e la salute sul lavoro/Gender issues in safety and healt at work) pone in luce che tra la vita lavorativa delle donne e quella degli uomini vi sono differenze fondamentali che influiscono sulla salute e la sicurezza del loro lavoro. Uomini e donne, anche se impiegati nello stesso settore o nello stesso tipo di lavoro, sono soggetti a richieste e fattori di stress diversi.

Costituendo allo stesso tempo un ponte di raccordo operativo con la strategia comunitaria definita nella Comunicazione della Commissione Europea, COM(2002) 118 def., “Adattarsi alle trasformazioni del lavoro e della società, una nuova strategia comunitaria per la salute e la sicurezza del lavoro 2002-2006”.

Leggendo tale rapporto dobbiamo riconoscere che i rischi al lavoro, relativamente alla sicurezza e salute delle donne, sono stati sottovalutati e trascurati rispetto a quelli per gli uomini, sia nella ricerca che nella prevenzione. Non è possibile migliorare la sicurezza e la salute delle donne al lavoro senza tenere conto dei problemi di discriminazione sul lavoro e nella società.

Un approccio olistico alla sicurezza e alla salute sul lavoro, compresa l’interfaccia lavoro-vita privata e i problemi più vasti della organizzazione del lavoro e dell’occupazione, migliorerebbe la prevenzione dei rischi professionali per il benessere tanto delle donne quanto degli uomini.

Un approccio olistico deve tenere conto della diversità. Le azioni intese a migliorare l’equilibrio lavoro-vita privata devono tener conto degli orari di lavoro delle donne e degli uomini e devono essere concepite in modo da generare benessere per entrambi i generi.

Tale Rapporto evidenzia con forza un problema molto spesso rimosso e da’ coraggio a tutti noi operatori della salute, nonché psicologi del lavoro, che con convinzione vogliono approntare strumenti utili ed efficaci per farvi fronte.

Sono molti gli elementi di conoscenza contenuti in esso che confermano le nostre intuizioni e i nostri interventi nel campo della promozione della salute e la prevenzione dei rischi psico-sociali al lavoro. L’iniziativa “DiversaMente” sposa l’idea che il lavoro può avere conseguenze dirette sulla nostra salute fisica e mentale. Allo stesso vuole rendere sempre più evidente che quando si parla di salute mentale al lavoro, occorre valutare il sentimento di benessere o di malessere psicologico ed emotivo che la persona prova nel luogo di lavoro. Tenendo in considerazione, che le differenze di genere nelle condizioni di lavoro, si ripercuotono notevolmente sulle differenze di genere nelle conseguenze per la salute legate al lavoro.

I problemi di salute mentale al lavoro possono essere diversi, tra di essi ne evidenziamo alcuni, quali ad esempio i disturbi dell’umore (i disturbi unipolari che pongono in luce una sofferenza di depressione e quelli bipolari più comunemente conosciuti come stati maniaco-depressivi). L’ansia viene ugualmente considerata come una malattia mentale al lavoro. Essa può assumere la forma di un attacco di panico o quella di ansia generalizzata che si manifesta per lunghi periodi. Lo stress è indubbiamente il problema più conosciuto. Descritto come una disparità tra le risorse di una persona e le richieste dell’ambiente alle quali deve rispondere. Lo stress è stato anche definito come uno stato psicologico che fa parte e riflette un processo più ampio di interazione tra le persone ed il proprio ambiente di lavoro.

L’Organizzazione Internazionale del Lavoro (ILO 1986) ha per la prima volta definito i rischi psico sociali in termini di interazioni tra contenuto del lavoro, gestione ed organizzazione del lavoro, condizioni ambientali e organizzative da un lato, e le competenze e le esigenze dei lavoratori dipendenti dall’altro. Tali interazioni possono essere pericolose perché influiscono sulla salute dei lavoratori dipendenti attraverso le loro percezioni e la loro esperienza (in questo caso si accenna al vissuto soggettivo delle persone).

Nella “ricerca sullo stress correlato al lavoro”, pubblicazione ufficiale della European Agency for Safety and Healt at Work (2000), viene pure affermato che i rischi psico sociali, possono esercitare anche effetti diretti sulla persona, effetti che non sono mediati dall’esperienza di stress. Ne consegue che una definizione più soddisfacente potrebbe essere quella proposta da Cox e Griffihs nel 1995; i quali affermano che i rischi psico sociali possono essere considerati come“quegli aspetti di progettazione del lavoro e di organizzazione e gestione del lavoro , e i loro contesti ambientali e sociali, che potenzialmente possono dar luogo a danni di natura psicologica, sociale o fisica”.

Anche lo sfinimento professionale o burn out è molto conosciuto. Può derivare da una condizione di stress lavorativo prolungato nel tempo, caratterizzato dalla percezione del soggetto di trovarsi in una situazione senza prospettive, di non intravedere una via di uscita dalla sua condizione di sofferenza.

Infine possiamo far cenno anche alla sofferenza mentale generalizzata, uno stato psichico che vive la maggior parte delle persone che lavorano, le quali mettono in atto strategie difensive di diverso tipo per far fronte alle situazioni che generano ansia, dipendenti dalle condizioni di lavoro “febbrile”, soprattutto per evitare di manifestare lapropria sofferenza e il proprio stato di disagio al lavoro. (è ciò che, a partire dagli studi di Christophe Dejours, chiamiamo “banalizzazione del male” e “rimozione della sofferenza”)

Per quanto riguarda le cause dei problemi di salute mentale, possiamo parlare dei fattori individuali che possono predisporre la persona a sviluppare una sofferenza mentale. Ad esempio, gli studi hanno dimostrato che le personalità di Tipo A, cioè quelle persone considerate come altamente competitive, ambiziose, perfezioniste e che hanno bisogno di controllare ogni cosa, siano più soggette a problemi di salute psichica e mentale. Allo stesso tempo vi sono lavoratori che pongono in essere strategie di adattamento che risultano inappropriate; ad esempio fanno uso di sostanze o di alcool per cercare di abbassare il livello di tensione psichica. Chi ha scarsi interessi al di fuori del lavoro e che vive uno stile di vita improntato da un’inadeguata alimentazione, scarsa attività fisica, ecc., rischiano di avere problemi.

Altri fattori di rischio, così come ben evidenziato dal rapporto sulle problematiche legate al genere, possono dipendere dalla dimensione di genere.

Possiamo quindi far cenno ai fattori correlati con l’organizzazione del lavoro. All’interno delle organizzazioni, le cause di tensione mentale e affettiva possono situarsi su differenti piani: la organizzazione del lavoro, la eventuale mancanza di risorse umane appropriate, le esigenze della clientela, il ritmo serrato dell’attività, le relazioni interpersonali, ecc. .Ecco un quadro schematico dei fattori di rischio correlati con l’organizzazione del lavoro

 

FATTORI DI RISCHIO ORGANIZZATIVO

Caratteristiche stressanti relativamente a:

  1. esigenze relative all’impegno e al ruolo:
  • quantità eccessiva di lavoro
  • pressioni dipendenti dalla ristrettezza o mancanza di tempo
  • continuo aumento di responsabilità
  • eseguire compiti senza essere adeguatamente preparati
  • conflittualità legata all’urgenza/importanza dei compiti
  • incertezza sul lavoro da svolgere
  • priorità indefinite o ambigue
  • impegni sovente interrotti
  1. livello di partecipazione alle decisioni
  • scarsa o nulla la consultazione
  • scarso o nullo l’incoraggiamento ad esprimere un punto di vista ulteriore
  • scarse o nulle le informazioni sulle decisioni che hanno un impatto diretto sulle persone
  • poca trasparenza o suggestione nelle comunicazioni
  1. riconoscimento al lavoro (ruoli e competenze)
  • mancanza di rispetto da parte superiori e dei colleghi
  • cambiamenti inaspettati o indesiderati che possono influire sulla carriera o la sicurezza del posto di lavoro
  • deboli prospettive di carriera
  • remunerazione non soddisfacente
  1. Autonomia decisionale al lavoro
  • scarsa libertà per decidere come fare il proprio lavoro
  • scarsa influenza sulla organizzazione del lavoro
  1. Relazioni
  • con i colleghi
  • con i superiori
  • con la clientela
  1. Ambiente e condizioni fisiche del lavoro
  • condizioni difficili
  • disposizione degli ambienti
  1. Orari di lavoro
  • turni
  • ampiezza delle “ore” di lavoro
  • straordinari
  • urgenze

ecc.

Per quanto riguarda gli interventi sugli elementi estrinseci alla persona, ovvero quelli che portano l’attenzione sul lavoro, le condizioni di lavoro e la sua organizzazione, ne abbiamo parlato in altre occasioni.

Nella metodologia operativa di “elpore th.” vengono attivati tre livelli di intervento per la gestione delle problematiche psicologiche legate al lavoro.

La prevenzione di primo livello tende a modificare o a eliminare i fattori di rischio presenti nell’organizzazione e suscettibili di nuocere alla salute psicologica di chi lavora. In questo caso si tratta di interventi volti innanzitutto a ridurre gli effetti incidenti sulla persona, come ad esempio le riunioni individuali o di equipe, la formazione, l’analisi delle posizioni e dei compiti, la valutazione delle competenze, i percorsi di carriera.

Si tratta perciò di azioni che permettono di adattare le circostanze o la situazione di lavoro alle persone. Con ciò possono essere eliminate o ristrutturate le fonti dei problemi, reintegrando le attività quotidiane di gestione e producendo di conseguenza effetti a lungo termine.

Alcuni esempi di prevenzione primaria:

  1. incontri individuali o di gruppo:
  • analisi partecipativa per la valutazione dei rischi
  • analisi partecipativa di specifici problemi
  • chiarire meglio il ruolo/i o il compito/i
  • offrire opportunità di supporto sociale
  1. assessment:
  • analisi delle posizioni e dei compiti per diminuire la ambiguità dei ruoli, che allo stesso tempo diventa occasione per:
  • verificare se vi è sovraccarico di lavoro
  • chiarire meglio i ruoli e le competenze
  • valutare il clima organizzativo e la cultura dell’organizzazione
  1. valutazione del personale e bilancio delle competenze:
  • occasione di valutare l’effettivo carico di lavoro e responsabilità
  • opportunità di riconoscere e apprezzare i rendimenti/performance
  • occasione per far emergere i propri obiettivi di carriera
  1. formazione

 

Vantaggi della prevenzione primaria

  • tende ad “adattare” o a negoziare un adattamento tra l’ambiente/condizioni di lavoro oppure tra la strategia dell’impresa/cultura organizzativa e le capacità/competenze, possibilità/limiti delle persone
  • elimina o modifica le fonti del problema
  • si integra perfettamente alle normali attività di gestione delle RU
  • produce effetti a lungo termine

 

Con la prevenzione di secondo livello in ambito organizzativo, è possibile aiutare le persone ad apprendere abilità e modalità per riconoscere e gestire le loro reazioni nei confronti di situazioni che generano tensioni. E’ sottinteso che quando si parla di prevenzione secondaria, le persone vivono già dei problemi. In questo contesto gli interventi non influiscono direttamente sulla organizzazione; si tende a rendere consapevoli le persone dei fattori che possono nuocere alla loro salute psicologica, aiutandole a sviluppare efficaci strategie di adattamento. Per aiutare le persone a gestire meglio le situazioni a rischio, si possono utilizzare varie tipologie di intervento in prevenzione secondaria. Ad esempio uno stage sulla gestione del tempo, una efficiente e chiara comnicazione interna, un corso di formazione sulla mediazione dei conflitti, oppure sulla gestione e soluzione di problemi, un programma per incoraggiare sane abitudini alimentari, ecc.

 

Alcuni esempi di prevenzione secondaria:

  • seminari sulla gestione del tempo
  • articoli relativi alla salute psicologica al lavoro da pubblicare sulla intranet aziendale
  • seminari specifici sulla gestione delle emozioni
  • formazione:
  • sulla gestione e la soluzione dei problemi
  • sulla gestione mentale dei conflitti e l’articolazione delle differenze
  • sulla pratica della delega e la responsabilizzazione dei collaboratori
  • sulla gestione dello stress

 

Vantaggi della prevenzione di secondo livello

  • informa e sensibilizza dirigenti e collaboratori sulle problematiche relative alla salute psicologica e mentale al lavoro
  • permette a dirigenti e collaboratori di sviluppare conoscenze specifiche e abilità per far fronte in modo efficace e benefico alle situazioni di stress o di tensione mentale

 

Limiti della prevenzione di secondo livello

  • non modifica o elimina i fattori di rischio
  • lascia la responsabilità alle persone di sviluppare le loro risorse fisiche e psicologiche
  • è un processo orientato a limitare i danni
  • produce soltanto effetti a breve termine

 

 

La prevenzione di terzo livello riguarda soprattutto il trattamento, la riabilitazione, il processo di reinserimento al lavoro e al sostegno delle persone che soffrono o che hanno sofferto in conseguenza di problemi legati alla salute psicologica al lavoro. L’argomento è pressoché disconosciuto in ambito nazionale ma tutti i paesi occidentali se ne stanno occupando con particolare sensibilità.

 

Oggi vogliamo evidenziare soprattutto gli aspetti individuali sui quali porta l’attenzione la iniziativa DiversaMente. In definitiva essi rappresentano l’elemento di variabilità che fa la “differenza”, modulando in positivo o in negativo le risposte individuali nei confronti di un evento critico e stressante. Il quadro è definito dall’esistenza di esperienze stressanti analoghe, precedenti, personali oppure vissute da persone significative per il soggetto. Dalla minore o maggiore disponibilità di informazioni sull’evento o condizione critica. Dalla scelta di strategie di coping che permette di affrontare la situazione, che permette di gestire il disagio emotivo e trovare soluzioni pratiche e razionali per superare le caratteristiche stressanti della condizione esistenziale. Dalla capacità individuale di controllarsi e infine dalla presenza di supporti sociali (al lavoro e fuori), dalla rete di relazioni e naturalmente dalla soddisfazione al lavoro.

 

La nostra attività, che presentiamo sotto l’insegna di” DiversaMente – iniziativa per la cura e l’aiuto centrati sulle persone e le famiglie nel corso di eventi critici del loro ciclo di vita”, è improntata da un motto:

 

lavoriamo insieme

per accogliere, ascoltare, condividere…

rispettare la persona così com’è

ricerchiamo insieme

le modalità efficaci per far fronte alla situazione critica

 

L’ascolto, l’accoglienza, la condivisione e il rispetto, sono alla base delle attività promosse dalle associazioni Elpore th. e Gruppo Edith, impegnate anche nel campo della prevenzione e della formazione.

Insieme si affrontano i dubbi, le paure, lo star male di uomini e donne che si trovano in difficoltà; insieme si scoprono le modalità efficaci per far fronte alle emergenze.

In una ottica di valorizzazione delle risorse individuali, si cerca di favorire la partecipazione e il coinvolgimento delle persone affinché esse stesse, attraverso la riscoperta delle loro capacità e dei loro talenti, riescano ad emergere dalla palude del disagio.

Le varie iniziative sono volte a ri-conoscere, affrontare, prevenire i problemi legati alle situazioni di malessere che possono emergere:

*                all’interno della famiglia, che è il luogo privilegiato per la trasmissione di valori essenziali per la cura, la crescita, lo sviluppo e il benessere della persona;

*                oppure nel contesto delle problematiche legate alla salute della vita lavorativa, nonché alla sicurezza nei luoghi di lavoro;

*                ma anche in quei casi in cui si è esposti a situazioni particolarmente drammatiche e/o violente ed è facile subire le conseguenze di forti traumi psichici.

 

Offriamo un servizio volontario ed assolutamente confidenziale per aiutare le persone che vivono preoccupazioni suscettibili di pregiudicare il loro benessere personale e il loro rendimento al lavoro.

Quali ad esempio:

  1. problemi nelle relazioni intra-familiari;
  2. relazioni interpersonali difficoltose;
  3. problemi di carattere emotivo
  4. stress e burn out correlati al lavoro, ma anche i casi di molestie psicologiche;
  5. problemi di dipendenza da sostanze

 

Il servizio è assicurato da professionisti esperti ed accreditati come psicologi e psicoterapeuti presso l’ordine degli Psicologi della Lombardia.

I primi tre incontri sono completamente gratuiti, nel caso abbiate bisogno di un aiuto più specializzato o di durata più lunga, vi aiuteremo a trovare una risorsa professionale adeguata alla vostra situazione.

 

Concludo ricordando che la maggior parte di noi passa più di un terzo del suo tempo al lavoro e le esigenze reali del lavoro diventano sempre più importanti, influiscono direttamente sulla vita delle persone.

Insomma, la qualità della nostra vita è direttamente proporzionale alla qualità del nostro lavoro.

Questa è una ragione valida perché ciascuno di noi si prenda a cuore la promozione della salute psicologica e la prevenzione dei rischi psico-sociali correlati al lavoro.

 

Contributo per il convegno:

“La salute differente. Fattori psico-sociali di rischio nella vita lavorativa delle donne e interventi di prevenzione-protezione”

Milano, 22 giugno 2004